Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41685 del 28/10/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41685 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAGNOTTA GIACOMO, nato il 10/10/1975
avverso l’ordinanza n. 1557/2013 TRIBUNALE SORVEGLIANZA di
CATANZARO del 13/02/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angela Tardio;
letta la requisitoria del Procuratore Generale Dott. Francesco
Salzano, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato con le conseguenze di legge.

Data Udienza: 28/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13 febbraio 2014 il Tribunale di sorveglianza di
Catanzaro ha rigettato il reclamo proposto da Pagnotta Giacomo, detenuto
presso la Casa circondariale di Siano in espiazione della pena di anni nove di
reclusione, di cui al provvedimento di cumulo della Procura Generale presso la
Corte di appello di Catanzaro del 10 maggio 2013, avverso l’ordinanza del 22
luglio 2013 del Magistrato di sorveglianza di Catanzaro, che, concessi giorni

2010 al 3 marzo 2013, aveva rigettato la richiesta del beneficio relativamente ai
semestri dal 27 novembre 2006 al 12 novembre 2006 (rectius: 2007) e dal 3
settembre 2002 (rectius: 2009) al 3 settembre 2010.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– il provvedimento recla to aveva correttamente valutato non
positivamente il periodo di in quanto, successivamente a esso, il
reclamante si era reso responsabile di gravi reati (e in particolare del reato di
associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, consumato dal 1990 e
permanente fino al 22 settembre 2009), per cui era in espiazione pena,
dimostrando in modo inequivocabile la sua mancata partecipazione all’opera di
rieducazione nel periodo precedente;
– la condanna, in quanto relativa a reato permanente fino al 22 settembre
2009, inficiava anche il primo semestre della detenzione in corso (3 settembre
2009/3 marzo 2010);
– anche il secondo semestre (3 marzo 2010/3 settembre 2010) era
pregiudicato, poiché il reclamante era stato condannato in primo grado per i reati
di associazione per delinquere di stampo mafioso e altro, consumati dal 1990 al
luglio 2010.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore, l’interessato Pagnotta, che ne chiede l’annullamento sulla base
di unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed
e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale in
ordine alla mancata concessione del beneficio richiesto e mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sul punto.
Secondo il ricorrente, il Tribunale è incorso nei denunciati vizi per avere
escluso il chiesto beneficio con riguardo al periodo di presofferto cautelare (dal
27 novembre 2006 al 12 novembre 2007), espiato con riguardo ai reati per i
quali è in corso l’esecuzione della pena, ritenendo cessata la loro permanenza al
momento della emissione della sentenza di primo grado, ossia in data 22
settembre 2009, senza considerare che, nonostante la contestazione
2

duecentoventicinque di liberazione anticipata quanto ai semestri dal 3 settembre

cronologicamente aperta “con attualità della condotta criminale”, la condotta si è
protratta, come emerge dalla motivazione della sentenza (pagg. 100-101), fino
all’agosto 2004, tanto da avere egli beneficiato dell’indulto per lo stesso reato
con ordinanza n. 20 del 19 febbraio 2014.
Né il Tribunale poteva legittimamente e logicamente escludere il semestre
dal 3 settembre 2009 al 3 marzo 2010, ritenendo permanente fino alla sentenza
di primo grado (22 settembre 2009) una condotta cessata nell’agosto 2004, e
l’ultimo semestre dal 3 marzo 2010 al 3 settembre 2010, ritenendo ostativa una

mafioso, avendo la difesa prodotto il dispositivo della sentenza emessa dalla
Corte di appello di Catanzaro che, in riforma della sentenza di primo grado,
aveva emesso decisione assolutoria.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta, concludendo per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata,
stante la fondatezza del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. È principio consolidato che la finalità principale del beneficio della
liberazione anticipata è quella di consentire un più efficace reinserimento nella
società del condannato che abbia offerto la prova di partecipazione all’opera di
rieducazione, anche senza attingere quel “sicuro ravvedimento” che, invece,
esige l’art. 176 cod. pen. per la concessione della liberazione condizionale (Corte
cost. n. 276 del 1990).
Consegue a tale rilievo che la valutazione rimessa al giudice della
sorveglianza consiste nell’accertare se nel comportamento tenuto dal
condannato, durante la detenzione, siano rinvenibili elementi sintomatici di una
evoluzione della sua personalità verso modelli socialmente validi e di un processo
di revisione delle motivazioni, che l’hanno indotto a perseguire scelte criminali
(Corte cost. n. 352 del 1991), e che il beneficio non può essere negato in
presenza dì violazioni (della disciplina carceraria o punibili come reati) che siano
di lieve entità e, comunque, scarsamente significative, in termini contenutistici,
di incompatibilità con il richiesto atteggiamento partecipativo, non potendo in
nessun caso prescindersi dall’esame delle relazioni comportamentali relative
all’intero periodo e dalla valutazione di tutti gli aspetti del singolo fatto.
2.1. Ulteriore conseguenza dell’indicato principio è che, ai fini della
concessione del beneficio della liberazione anticipata, la normale valutazione per

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condanna di primo grado per il reato di associazione per delinquere di stampo

semestri del comportamento del condannato, se non esclude che un fatto
negativo possa riverberarsi anche sulla valutazione dei semestri diversi da quello
in cui il fatto è avvenuto, richiede comunque che la condotta cui si attribuisce
tale effetto “espansivo” risulti e sia valutata come particolarmente grave ed
effettivamente sintomatica di una generalizzata mancanza di adesione alle
finalità del trattamento (tra le altre, Sez. 1, n. 102 del 07/12/2001,
dep. 04/01/2002, Di Stasi, Rv. 220484; Sez. 1, n. 14610 del 24/01/2011,
dep. 12/04/2011, Punzettí, Rv. 249852; Sez. 1, n. 30299 del 30/03/2011,

dep. 12/03/2013, Mansi, Rv. 255406).
In tal senso si è, in particolare, ribadito che il giudizio sui comportamenti
tenuti anche in ambiente extramurario dal soggetto che, dopo la custodia
cautelare, in stato di libertà abbia continuato a delinquere non può essere
pretermesso, ma deve necessariamente entrare a far parte della valutazione
complessiva della sua condotta, a nulla rilevando l’assenza di illeciti disciplinari
durante il periodo di detenzione (tra le altre, Sez. 1, n. 3342 del 30/04/1999,
dep. 07/07/1999, Bayrak, Rv. 213939; Sez. 1, n. 18012 del 20/03/2004,
dep. 19/04/2004, Prandin, Rv. 227977), e si è osservato che, ai fini della
concessione della liberazione anticipata, anche un comportamento del
condannato posto in essere dopo il ritorno in libertà può giustificarne
retroattivamente il diniego, quando sia considerato, con giudizio globale,
dimostrativo dì una non effettiva partecipazione del medesimo alla precedente
opera di rieducazione ed espressione del suo sostanziale rifiuto di
risocializzazione (tra le altre, Sez. 1, n. 37345 del 27/09/2007, dep. 10/10/2007,
Negri, Rv. 237509; Sez. 1, n. 20889 del 13/05/2010, dep. 03/06/2010,
Monteleone, Rv. 247423; Sez. 1, n. 42571 del 19/04/2013, dep. 16/10/2013,
Cagnoni, Rv. 256694).
2.2. In coerenza con gli indicati condivisi principi si è ulteriormente
rappresentato che, nel procedimento di sorveglianza, ben possono essere
valutati fatti costituenti ipotesi di reato senza necessità di attendere la
definizione del relativo procedimento penale, contando solo la valutazione della
condotta del condannato al fine di stabilire se lo stesso -prescindendo
dall’accertamento giudiziale delle sue responsabilità- sia meritevole dei benefici
penitenziari (tra le altre, Sez. 1, n. 6989 del 09/12/1999, dep. 29/12/1999,
Saponaro, Rv. 215125; Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011, dep. 05/09/2011,
Assisi, Rv. 250824; Sez. 1, n. 42571 del 19/04/2013, dep. 16/10/2013,
Cagnoni, Rv. 256695).

3. Deve ulteriormente rilevarsi in diritto che questa Corte ha anche
affermato che, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia
4

dep. 29/07/2011, Barbi, Rv. 250906; Sez. 1, n. 11597 del 28/02/2013,

stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta” o a consumazione in atto, senza
cioè l’indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola per la
quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di
primo grado, non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data.
3.1. Si è, al riguardo, precisato che l’indicata regola ha un valore
esclusivamente processuale, nel senso di esonerare il giudice dalla necessità di
ulteriori contestazioni qualora dagli atti emerga che la condotta illecita sia
proseguita anche dopo la data dell’accertamento, e non ha valore sostanziale di

verificarsi ditale protrazione, gravando pur sempre sull’accusa l’onere di fornire
prova adeguata del protrarsi della condotta criminosa, eventualmente, fino
all’indicato ultimo limite processuale.
Tale principio, costante per quanto concerne la fase di cognizione (tra le
altre, in materia di prescrizione, Sez. 1, n. 13265 del 08/03/2002,
dep. 08/04/2002, Gambardella, Rv. 221223; Sez. 3, n. 4273 del 04/12/2002,
dep. 30/01/2003, Nasca, Rv. 223556; Sez. 6, n. 7321 del 11/02/2009,
dep. 19/02/2009, M., Rv. 242920, in motivazione; Sez. 1, n. 39221 del
26/02/2014, dep. 24/09/2014, P.G. in proc. Saputo e altro, Rv. 260511; in tema
di “ne bis in idem”, Sez. 1, n.31479 del 07/06/2013, dep. 22/07/2013, P.G. in
proc. Carbone, Rv. 256632), è stato più volte espresso anche con riguardo alla
fase esecutiva (tra le altre, in materia di liberazione anticipata, Sez. 1, n. 774 del
14/12/2004, dep. 17/01/2005, Lucarelli; Sez. 1, n. 46583 del 17/11/2005, dep.
20/12/2005, Piccolo, Rv. 232966; Sez. 1, n. 37355 del 26/09/2007,
dep. 10/10/2007, Cannella, Rv. 237506; Sez. 5, n. 25578 del 15/05/2007,
dep. 04/07/2007, Sinagra, Rv. 237707; in materia di computo della pena ex art.
657 cod. proc. pen., Sez. 1, n. 20238 del 22/03/2007, dep. 24/05/2007,
Lounici, Rv. 236664; in tema di revoca di indulto, Sez. 1, n. 33053 del
12/07/2011, dep. 02/09/2011, Caliendo, Rv. 250828; Sez. 1, n. 45295 del
24/10/2013, dep. 08/11/2013, Formicola, Rv. 257725)
3.2. Si è, in particolare, evidenziato che, qualora dalla data di cessazione
della permanenza debba farsi derivare, anche in sede esecutiva, un qualsiasi
effetto giuridico, non è sufficiente il riferimento alla data della sentenza di primo
grado, ma occorre verificare se il giudice di merito abbia o meno ritenuto,
esplicitamente o implicitamente, provata la permanenza della condotta illecita
oltre la data dell’accertamento e, eventualmente, se tale permanenza risulti
effettivamente accertata fino alla sentenza, e si è rappresentato che ai fini, che
qui interessano, del riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata (al
quale, collegato esclusivamente alla valutazione in concreto di comportamenti, a
maggior ragione il principio è applicabile) è necessario che il giudice verifichi, alla
luce della motivazione della sentenza di condanna, le date cui devono essere
5

inversione dell’onere della prova a carico dell’imputato in ordine all’effettivo

riferite in concreto ed entro le quali devono ritenersi concluse le condotte di
partecipazione attribuite al condannato (tra le altre, Sez. 5, n. 25578 del
15/05/2007, citata)

4. L’ordinanza impugnata non si è adeguata a tali principi, che il Collegio
condivide e riafferma.
4.1. Il Tribunale di sorveglianza, infatti, nel verificare la sussistenza delle
condizioni per la concessione del beneficio della liberazione anticipata, ha

presofferta oggetto della richiesta (27 novembre 2006/12 novembre 2007), che
successivamente a esso il reclamante, e odierno ricorrente, si era reso
responsabile del reato di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico,
la cui consumazione si è protratta dal 1990 fino al 22 settembre 2009, ponendosi
tale ricaduta nel reato come dimostrativa in modo inequivocabile della mancata
antecedente partecipazione dello stesso all’opera di rieducazione.
Con tale apprezzamento il Tribunale, che ha prescisso da ogni
considerazione in ordine alla riferibilità, dedotta dal ricorrente, della custodia
cautelare indicata al reato associativo, giudicato con la sentenza del 22
settembre 2009, e in ordine alla condotta dello stesso in ambiente penitenziario,
non ha neppure adempiuto all’onere di verificare, sulla scorta della motivazione
della stessa sentenza di condanna, quale fosse -al di là del dato processuale
della coincisa cessazione della permanenza del reato con la data di emissione
della sentenza di primo grado (22 settembre 2009)- la data cui, in rapporto allo
stesso periodo di presofferto, andava riferita (in concreto) ed entro la quale
doveva ritenersi conclusa la condotta di partecipazione attribuita al ricorrente.
4.2. Le indicata lacune, rilevanti sul piano logico-argomentativo e su quello
della corretta interpretazione delle norme applicate secondo i richiamati principi
di diritto, riguardano anche il diniego del beneficio per il primo semestre (3
settembre 2009/3 marzo 2010) della detenzione in espiazione della pena di anni
nove di reclusione di cui al cumulo del 10 maggio 2013.
Le ragioni dell’opposto diniego si sono, in particolare, risolte nel solo rilievo
dell’ostacolo al chiesto riconoscimento derivante dalla stessa pronuncia di
condanna del 22 settembre 2009, inferendosi l’esclusione delle condizioni per
l’accesso del ricorrente al chiesto beneficio dalla natura permanente del reato in
esecuzione di pena e dal riferimento al dato processuale della cessazione della
permanenza alla data della pronuncia giudiziale, senza alcuna verifica della
condotta illecita di partecipazione al sodalizio dedito al narcotraffico, in concreto
tenuta dal ricorrente, e della sua effettiva protrazione nel tempo ovvero della sua
eventuale pregressa cessazione.

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innanzitutto rappresentato in fatto, individuato il periodo di carcerazione

4.3. Né è più specifico il giudizio afferente al successivo semestre (3 marzo
2010/3 settembre 2010), in ordine al quale il Tribunale, dopo avere evidenziato
che il ricorrente era stato condannato in primo grado per il reato di associazione
per delinquere di stampo mafioso e altri reati “consumati dal 1990 al luglio

2010”, ha limitato le sue argomentazioni al rilievo, confortato dall’operato
richiamo giurisprudenziale (Sez. 1 n. 2450 del 1998), della valutabilità -come
indicativa di scarsa partecipazione all’opera di rieducazione- della denuncia per
fatti di reato commessi in corso di detenzione, e alla considerazione della

non definitiva.
E invero, mentre il discorso giustificativo della decisione è all’evidenza
manchevole nella stessa correlazione del principio di diritto al fatto, del quale è
pure indicato come esplicativo, nel provvedimento impugnato è del tutto carente
l’apprezzamento circa gli ulteriori fatti di reato ascritti al reclamante con la
indicata sentenza non definitiva (che, peraltro, il ricorrente ha assunto essere
stata riformata con esito assolutorio) e circa i connotati di gravità concretamente
ravvisati in relazione alla valenza negativa a essi attribuita.
Non è, in particolare, specificato in che modo i reati genericamente
richiamati e collocati, senza ulteriore specificazione, nell’indicato ampio arco
temporale, abbiano avuto influenza sul periodo in questione nel cui ambito è
ricompresa la data finale della loro consumazione, non meglio rappresentata nel
suo carattere processuale ovvero sostanziale, e in quali termini gli stessi reati
abbiano palesato una condotta del ricorrente restia al processo di rieducazione,
non risultando dalla ordinanza alcun riferimento alla condotta intramuraria dello
stesso né alcun cenno all’opera rieducativa intrapresa e ai suoi contenuti,
sviluppi e risultati.

5. Il provvedimento impugnato, che non ha fornito corretta e coerente
giustificazione delle ragioni della decisione relativamente agli indicati periodi di
detenzione, va di conseguenza annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza
di Catanzaro che, in diversa composizione nel rispetto dell’art. 34 cod. proc.
pen., procederà a nuovo esame, tenendo presenti gli indicati principi di diritto e i
formulati rilievi.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
sorveglianza dì Catanzaro.
Così deciso in Roma I

.

presenza nella specie non di una mera denuncia ma di una condanna, anche se

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