Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41675 del 11/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41675 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
DI VITA CALOGERO MAURIZIO, nato il 31/05/1969
LIPARI ALFONSO RENATO, nato il 06/07/1970
avverso la sentenza n. 202/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA del 27/06/2013;

visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita in pubblica udienza del 11/11/2014 la
Consigliere dott. Angela Tardio;

relazione fatta dal

udito il !Procuratore Generale in persona del dott. Eduardo
Scardaccione» •che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità dei
ricorsi;

uditi per il ricorrente Di Vita l’avv. Dino Giovanni Milazzo e per il
ricorrente Lipari l’avv. Giacomo Butera, che hanno chiesto
l’accoglimento dei motivi dei rispettivi ricorsi.

Data Udienza: 11/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 giugno 2011 il G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta ha
dichiarato, tra gli altri e per quanto qui interessa, Di Vita Calogero Maurizio e
Lipari Alfonso Renato responsabili in concorso dei delitti di ricettazione e di
detenzione e porto abusivo di quattro fucili a canne sovrapposte o giustapposte,
di provenienza delittuosa e resi clandestini con l’abrasione della matricola,

contravvenzioni concernenti la detenzione di munizioni, ascritte rispettivamente
ai capi 5) e 6), e ha condannato Di Vita alla pena di anni quattro, mesi quattro e
giorni dieci di reclusione ed euro quattrocentottanta di multa e Lipari alla pena di
anni tre, mesi otto e giorni quattro di reclusione ed ero quattrocentoventitre di
multa, ritenuta la contestata recidiva, esclusa per entrambi la circostanza
aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991, riconosciuto il vincolo della
continuazione tra le plurime condotte delittuose e operata la riduzione per la
scelta del rito.

2. La Corte di appello di Caltanissetta con sentenza del 14 febbraio 2012, in
accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, ha ritenuto sussistente
la indicata circostanza aggravante, che ha computato unitamente alla contestata
e ritenuta recidiva, considerata per il solo Lipari equivalente alle circostanze
attenuanti generiche, e ha aumentato la pena ad anni quattro, mesi otto e giorni
dieci di reclusione ed euro cinquecento di multa per Di Vita e ad anni quattro e
giorni quattro di reclusione ed euro duemilaottocento di multa per Lipari.

3. Questa Corte, quinta sezione penale, con sentenza del 12 dicembre
2012, ha accolto i ricorsi proposto dagli imputati Lipari e Dì Vita (estendendone
gli effetti anche al coimputato Cordaro ricorrente per altro) limitatamente al
punto relativo alla circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991
per difetto di motivazione quanto alle linee portanti del ragionamento probatorio
seguito per confutare la decisione di primo grado; ha ritenuto assorbiti gli
ulteriori motivi articolati nell’interesse del ricorrente Di Vita, afferenti all’omesso
riconoscimento del vincolo della continuazione tra la condanna in esame e quella
inflitta al medesimo dalla Corte di assise di appello di Caltanissetta il 15 aprile
1999 e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, e il secondo motivo di
ricorso formulato nell’interesse del ricorrente Lipari quanto alla non esclusa
recidiva, e, annullata la sentenza impugnata sul predetto punto, ha disposto il
rinvio per il relativo nuovo giudizio ad altra sezione della stessa Corte di appello,
con rigetto dei ricorsi nel resto.

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ascritti ai capi 1), 2) e 4) della rubrica, e ciascuno, nei limiti specificati, delle

4. La Corte di appello di Caltanissetta, decidendo in sede di rinvio con
sentenza del 27 giugno 2013, in parziale riforma della sentenza emessa il 9
giugno 2011 dal G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta:

ha rigettato l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica di

Caltanissetta nei confronti di Di Vita e Lipari, ritenendo che non ricorressero i
presupposti per l’applicazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 7
legge n. 203 del 1991;

volta a ottenere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avuto
riguardo alla particolare gravità della condotta tenuta e alla spiccata propensione
a delinquere, attestata dai plurimi precedenti penali, mentre la confessione resa
per i fatti ascritti non era di per sé idonea a far ritenere lo stesso imputato
meritevole di una mitigazione del trattamento sanzionatorio, apprezzata la
particolare evidenza degli elementi di prova acquisiti a suo carico e considerato il
contrasto con tutte le evidenze della tesi difensiva della mancanza di un suo
preventivo accordo con gli altri imputati quanto alla ricezione delle armi;
– ha ritenuto non meritevole di accoglimento anche l’ulteriore richiesta
avanzata dallo stesso Di Vita di considerare i reati in oggetto avvinti sotto il
vincolo della continuazione con precedenti reati già giudicati con condanna
penale definitiva, rilevando che questi ultimi erano stati commessi moltissimi
anni prima e la condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. aveva
riguardato condotte tenute fino al 2001; rappresentando la mancanza di
elementi per ricondurre le condotte a un disegno criminoso unitario rispetto
all’adesione al sodalizio mafioso espressa in tempi remoti, ed evidenziando la
contraddittorietà della richiesta difensiva di escludere la circostanza aggravante
di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 e di ritenere i fatti avvinti dalla
continuazione con precedente reato associativo;
– ha concesso all’imputato Lipari le circostanze attenuanti generiche, tenuto
conto del suo più basso profilo criminale in rapporto ai precedenti penali, con
giudizio di equivalenza rispetto alla contestata recidiva e, ritenuto il vincolo della
continuazione tra i reati ascritti e tenuto conto della diminuente per il rito, ha
rideterminato la pena a suo carico in anni tre e giorni quattro di reclusione ed
euro duecentoquaranta di multa.

5. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi
gli imputati.

6. Di Vita Calogero Maurizio ricorre per mezzo del suo difensore avv. Dino
Giovanni Milazzo e chiede l’annullamento della sentenza sulla base di due motivi.

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– ha ritenuto non accoglibile la richiesta espressa nell’interesse di Di Vita

6.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità dell’ordinanza
emessa dalla Corte di appello di Caltanissetta all’udienza del 30 maggio 2013 e,
conseguentemente, della sentenza del 27 giugno 2013, per violazione dell’art.
627, comma 3, cod. proc. pen. e insufficiente e contraddittoria motivazione, ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

b) ed e), cod. proc. pen., anche con

riferimento all’art. 36 cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, pur avendo questa Corte annullato la sentenza del 14
febbraio 2012 della seconda sezione della Corte di appello di Caltanissetta con

collegio di Corte di appello nella nuova formazione denominata sezione prima
penale, giudicante per il rinvio, hanno già composto il Collegio giudicante a suo
carico nel procedimento definito con sentenza oggetto di annullamento con
rinvio, concorrendo a deliberare le ordinanze emesse il 13 novembre 2012 e il 3
agosto 2012 in materia de libertate e l’ordinanza del 5 febbraio 2013 in materia
di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
6.1.1. Il difetto di compatibilità è stato già dedotto in sede di udienza del
procedimento di rinvio del 30 maggio 2013, in particolare rappresentandosi che:
– con le ordinanze del 3 agosto 2012 e del 13 novembre 2012 emesse in
materia cautelare dalla seconda sezione penale, composta nel primo caso da due
dei componenti del successivo collegio giudicante in sede di rinvio, e nel secondo
caso da uno dei componenti di detto successivo collegio, si sono espresse
valutazioni di merito in ordine alla condizione processuale di esso ricorrente e del
coimputato Lipari e ai titoli di reato contestati, dopo essersi appreso e
apprezzato ogni riferimento documentale con riguardo alle pregresse pronunce a
suo carico e ai sui precedenti penali;
– anche con l’ordinanza del 5 febbraio 2013, emessa in materia di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato dalla seconda sezione penale,
composta da uno dei componenti del successivo collegio giudicante in sede di
rinvio, sono state manifestate valutazioni di merito all’esito dell’apprezzamento
degli elementi afferenti alla sua condizione processuale.
6.1.2. La Corte di appello, non accogliendo la richiesta di astensione di due
componenti del collegio giudicante, qualificata come sollecitazione all’astensione,
è incorsa nei denunciati vizi, poiché, a prescindere dal nomen della sezione, due
componenti del collegio che ha emesso l’ordinanza del 3 agosto 2012 e un
componente del collegio che ha emesso le altre ordinanze ed espresso
valutazioni di merito, hanno composto il collegio nel procedimento di rinvio,
rendendo inattuato nella sostanza il rinvio disposto da questa Corte ad altra
sezione della Corte di appello.
6.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione dell’art. 627, comma 3, cod.
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rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della stessa Corte, due componenti del

proc. pen. in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche da
ritenersi prevalenti o quantomeno equivalenti alla contestata recidiva, e vizio
assoluto di motivazione in ordine alla mancata riduzione della pena
concretamente applicata.
6.2.1. Secondo il ricorrente, la Corte di appello non ha rispettato il principio
espresso da questa Corte, che con la sentenza di rinvio aveva affermato che la
questione relativa alla concessione delle circostanze attenuanti generiche doveva
dipendere, logicamente e strutturalmente, dalla soluzione attinente alla

n. 203 del 1991, e, quindi, che, una volta ritenuta insussistente detta
circostanza, dovevano concedersi le indicate attenuanti, avuto riguardo ai
requisiti di cui all’art. 133 cod. pen.
La Corte, invece, ha illogicamente utilizzato le stesse motivazioni per negare
sia la sussistenza della indicata aggravante sia la concessione delle circostanze
attenuanti generiche, dando rilievo nel secondo caso ai precedenti penali, che
ha, invece, ritenuto risalenti nel tempo e non conducenti alla formulazione di un
attuale giudizio di sussistenza dell’aggravante e ha considerato anche ostativi al
riconoscimento della unicità del disegno criminoso.
6.2.2. Né, ad avviso del ricorrente, la Corte ha preso in considerazione gli
ulteriori elementi evidenziati a fondamento della chiesta concessione delle
indicate circostanze attenuanti, come il corretto comportamento processuale
tenuto rendendo ampia e piena confessione sia al P.M. durante la fase delle
indagini preliminari, sia al G.u.p. in udienza, sia alla Corte di appello in data 27 (/
giugno 2013, e mantenuto durante l’intera fase del giudizio come emerge dalle
ripercorse vicende che hanno connotato la sua posizione cautelare.
Anche in ordine alla quantificazione della pena inflitta, è, infine, mancata
una esaustiva motivazione, mentre la pena appare eccessiva in relazione alle
effettive modalità delle condotte tenute.

7. Lipari Alfonso ricorre per mezzo del suo difensore avv. Giacomo Butera e
chiede l’annullamento della sentenza sulla base di unico motivo, con il quale
denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.,
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546, lett. e), cod.
proc. pen., 62-bis, 132 e 133 cod. pen.
Secondo il ricorrente, la concessione delle circostanza attenuanti generiche
doveva essere opportunamente modulata attraverso un giudizio di prevalenza
sulla contestata recidiva, mentre la Corte, che, pur ha ravvisato la particolare
lievità dei suoi precedenti penali, non ha reso adeguata e valida motivazione
all’espresso giudizio di equivalenza.

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sussistenza della circostanza aggravante a effetto speciale di cui all’art. 7 legge

Né il difetto di motivazione può indirettamente ritenersi superato dal
confronto con la diversa posizione processuale del coimputato, che al contrario
conferma la contraddittorietà dell’opzione in rapporto alla diversità dei vissuti
giudiziari e dei contegni processuali, mentre la definitiva esclusione della
circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 doveva portare a
un oggettivo ridimensionamento della portata della vicenda e dei profili della sua
responsabilità personale.

1. Il ricorso proposto da Di Vita Calogero, infondato e/o generico nelle
proposte deduzioni o doglianze, deve essere rigettato.

2. Il primo motivo attiene alla dedotta incorsa violazione dell’art. 627,
comma 3, cod. proc. pen., anche con riferimento all’art. 36 cod. proc. pen., in
dipendenza della trattazione del giudizio di rinvio da parte di un collegio
appartenente alla sezione prima penale, due componenti del quale avevano
concorso a deliberare, sotto il nomen di diversa sezione (seconda o feriale),
alcune individuate ordinanze nel procedimento antecedente al disposto
annullamento con rinvio della sentenza resa da parte di un collegio della sezione
seconda penale, con sostanziale inattuazione della decisione di annullamento.
2.1. Si rileva in diritto che questa Corte con orientamento costante ha
affermato che la violazione dell’art. 623 lett. c) cod. proc. pen, per essersi il
giudizio di rinvio svolto dinanzi alla stessa sezione della corte di appello che
aveva emesso la sentenza annullata, non comporta nullità della sentenza
pronunciata, in quanto tale sanzione processuale non è prevista dal codice né
può rientrare tra quelle di cui all’art. 178 lett. a) cod. proc. pen.
Tali principi già espressi nella vigenza dell’art. 543, comma 2, cod. proc.
pen. 1930 in relazione all’art. 185 n. 1 stesso codice (tra le altre, Sez. 1, n. 3191
del 24/01/1992, dep. 18/03/1992, Miliani, Rv. 189659; Sez. 1, n. 12206 del
17/10/1994, dep. 03/12/1994, Prigitano, Rv. 199676), sono stati ripresi e
ribaditi alla luce delle predette norme nella vigenza dell’attuale codice di rito,
rimarcandosi che le condizioni di capacità del giudice, cui la norma si riferisce,
sono quelle stabilite dalle leggi dell’ordinamento giudiziario, come si ricava
dall’art. 33 cod. proc. pen., e non da disposizioni codicistiche (tra le altre, Sez. 5,
n. 1399 del 19/03/1997, dep. 06/05/1997, Signore, Rv. 207399; Sez. 1, n. 7062
del 07/05/1998, dep. 12/06/1998, Blandolino, Rv. 210725; Sez. 6, n. 27738 del
11/06/2013, dep. 24/06/2013, M., Rv. 255797).
2.2. Nella specie, non solo non si è verificata una tale evenienza avuto
riguardo alla diversità della sezione che ha giudicato in sede di rinvio (prima)
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CONSIDERATO IN DIRITTO

rispetto a quella che aveva emesso la sentenza annullata (seconda), ma, anche il
collegio giudicante, come emerge dall’esame degli atti processuali, è stato
composto da magistrati diversi da quelli che avevano composto il primo collegio,
nel pieno rispetto, formale e sostanziale, della decisione di annullamento.
2.3. Né la censura ha pregio giuridico con riguardo al concorrente
denunciato profilo, attinente, come già rilevato, alla dedotta incompatibilità di
due componenti del collegio nella nuova formazione per avere entrambi ovvero
uno di essi composto il collegio che si è pronunciato, nel medesimo

novembre 2012) e di patrocinio a spese dello Stato (con ordinanza del 5 febbraio
2013).
Deve, infatti, ribadirsi, in coerenza con i principi costantemente affermati
(tra le altre, Sez. U, n. 5 del 17/04/1996, dep. 08/05/1996, D’Avino, Rv.
204464; Sez. 3, n. 2115 del 14/11/2003, dep. 23/01/2004, Jayasurya, Rv.
227588; Sez. 5, n. 39474 del 06/11/2006, dep. 29/11/2006, Nardo, Rv.
235487; Sez. 6, n. 25013 del 04/06/2013, dep. 06/06/2013, Shkurko, Rv.
257033; Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014, dep. 12/06/2014, Attanasio, Rv.
262302), che l’esistenza di cause di incompatibilità determinata da atti compiuti
nel procedimento ex art. 34 cod. proc. pen. non configura, a mente dell’art. 33
cod. proc. pen., un difetto di capacità del giudice, che si concreta nella mancanza
dei requisiti occorrenti per l’esercizio delle funzioni giurisdizionali e non anche in
relazione al difetto delle condizioni specifiche per l’esercizio di tale funzione in un
determinato procedimento, e non determina, pertanto, la nullità del
provvedimento adottato.
Essa costituisce, invece, esclusivamente motivo di astensione e di
ricusazione, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di
cui all’art. 37 cod. proc. pen., nei termini e con le forme previste dall’art. 38 cod.
proc. pen. e autonomamente rispetto alla decisione del giudice di astenersi o al
rigetto della relativa dichiarazione (tra le altre, Sez. 5, n. 33422 del 26/06/2008,
dep. 13/08/2008, Scaramucci, Rv. 241385; Sez. 6, n. 49080 del 03/12/2013,
dep. 05/2/2013, Pagnotta, Rv. 258364), ovvero rispetto all’esito negativo di una
eventuale sollecitazione all’astensione del giudice che versi nella pretesa
situazione di incompatibilità (Sez. 4, n. 2057 del 29/08/1996, dep. 04/10/1996,
Costa, Rv. 206105).
Né costituisce causa di nullità la violazione da parte del giudice del dovere di
astensione, che può rilevare unicamente in sede di responsabilità disciplinare
(Sez. 2, n. 36365 del 07/05/2013, dep. 05/09/2013, Braccini, Rv. 256872) e dar
luogo al diritto per la parte di ricusare il giudice non astenutosi, con conseguente
eventuale nullità, ai sensi dell’art. 42 cod. proc. pen., dei soli atti compiuti dal
giudice dopo raccoglimento della ricusazione (tra le altre, Sez. 1, n. 1831 del
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procedimento, in materia de libertate (con ordinanze del 3 agosto 2012 e del 13

28/04/1993, dep. 17/06/1993, Spampinato, Rv. 194273; Sez. 2, n. 10474 del
04/04/1997, dep. 19/11/1997, Migliorisi, Rv. 210455).
Consegue a tale specifica disciplina, più volte ritenuta indenne da vizi di
legittimità costituzionale (Corte cost. sentenza n. 473 del 1993; ordinanze n. 36
del 1999 e n. 346 del 2000), che nella ipotesi in cui, come nella specie,
l’interessato non abbia fatto valere nella sede di merito l’incompatibilità o la
situazione pregiudicante asserita mediante lo strumento a lui riconosciuto della
ricusazione, non può dolersene con gli ordinari mezzi d’impugnazione

2.4. La censura non è fondata neppure in relazione alla dedotta omessa
astensione da parte dei due componenti del collegio

“quantomeno ai sensi

dell’art.36, comma 1, lett. h, c.p.p.”, a seguito della sollecitazione della difesa
all’udienza del 30 maggio 2013.
Il principio di diritto, alla cui stregua l’eventuale violazione, da parte del
giudice, dell’obbligo di astensione non comporta una nullità generale e assoluta,
ex art. 178 lett. a) cod. proc. pen., non incidendo sulla sua capacità, rimane
fermo, ad avviso del Collegio, anche quando l’obbligo di astensione non faccia
sorgere in capo all’imputato il diritto a chiedere la ricusazione del medesimo
giudice, come si verifica nella indicata ipotesi riconducibile a “gravi ragioni di
convenienza”, non espressamente richiamata dal successivo art. 37 cod. proc.
pen., che individua, in via tassativa, i casi in cui il giudice può essere ricusato.
Deve, infatti, ritenersi che l’omessa previsione in tal caso della ricusazione è
in linea con la esclusa nullità della ordinanza e/o della sentenza che non abbia
rilevato la sussistenza di un obbligo di astensione di uno o più componenti
dell’organo giudicante o che non abbia reso congrua motivazione, poiché non
sarebbe coerente con il sistema che l’imputato possa far valere la nullità della
sentenza perché pronunciata nonostante un’asserita causa di incompatibilità del
giudice che l’ha emessa, e non accedere all’istituto della ricusazione, laddove,
invece, il diniego di tale possibilità è dimostrativo della preclusione di ogni
contestazione -nell’ambito dello stesso grado del procedimento o in sede di
impugnazione- in ordine all’apprezzamento delle, non tipizzate, gravi ragioni di
convenienza, rimesso, pur a fronte di una informale sollecitazione all’astensione,
alla valutazione discrezionale dei singoli giudici e degli organi chiamati a decidere
ex art. 36, comma 4, cod. proc. pen.

3. Destituito di fondamento è anche il secondo motivo.
3.1. Secondo il ricorrente, la Corte di appello nel rispetto del principio
espresso nella sentenza di rinvio, dopo aver ritenuto insussistente la circostanza
aggravante a effetto speciale di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991, avrebbe

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prospettando ragioni con essi preclusi.

dovuto concedere le circostanze attenuanti generiche “avuto riguardo proprio ai
requisiti di cui all’art. 133 c.p.”.
Tale tesi, che muove dalla ritenuta stretta dipendenza logica e strutturale
della questione relativa alla concessione delle circostanze attenuanti generiche
dalla soluzione, demandata al Giudice del rinvio, attinente alla sussistenza della
indicata circostanza aggravante, è in contrato con il contenuto della sentenza di
annullamento e con le ragioni poste a suo fondamento, oltre che con lo sviluppo
decisionale della sentenza impugnata che dell’uno e delle altre ha fatto esatta

3.2. Questa Corte, invero, che ha ritenuto fondato il primo motivo del
ricorso proposto dall’odierno ricorrente, comune al coimputato e pure ricorrente
Lipari, relativo alla contestata congruenza della motivazione in ordine
all’affermata sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n.
203 del 1991, esclusa dal primo Giudice, disponendo nuovo giudizio sul punto,
ha ritenuto che restasse “allo stato assorbito il motivo di ricorso riguardo la
concessione delle attenuanti generiche, tenuto conto che la motivazione sui
requisiti ex art. 133 cp. dipende anche dalla soluzione della questione per la
quale è posto rinvio”.
È coerente con l’ambito del giudizio di rinvio, non prelinnitato secondo la
consequenzialità dedotta dal ricorrente, ed esprime un corretto esercizio del
potere discrezionale riservato al Giudice del merito, l’iter argomentativo della
sentenza impugnata, che è pervenuta al rilievo conclusivo che il ricorrente non
era meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche
valorizzando la particolare gravità della condotta di ricezione e porto di armi
clandestine, attestata anche dalle modifiche apportate attraverso il taglio delle
canne e del calcio tali da accentuarne l’offensività e la facilità di occultamento e
di trasporto, e rimarcando la spiccata propensione a delinquere del ricorrente,
evidenziata dai numerosi precedenti penali (associazione per delinquere di tipo
mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti e altro).
Né la Corte ha prescisso dal dare una coerente risposta al rilievo difensivo,
teso a rappresentare quale elemento da apprezzare favorevolmente la
confessione resa dal ricorrente con riguardo ai fatti contestatigli,
ragionevolmente rappresentando che la stessa si inseriva in un contesto già
connotato dalla particolare evidenza e dalla univoca interpretabilità degli
elementi di prova acquisiti, oltre a non essere stata piena in rapporto ai suoi
contenuti, contrastanti con le evidenze disponibili circa l’accordo che aveva
preceduto la ricezione delle armi.
3.3. L’analisi svolta, che non è manifestamente illogica né è contraddittoria
rispetto alle ragioni esaustivamente espresse nella stessa sentenza per escludere

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lettura e interpretazione.

la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991
(correlate alla non emersa prova di uno specifico collegamento funzionale tra le
armi e l’attività del sodalizio criminoso di appartenenza) e per escludere la
riconoscibilità del vincolo della continuazione tra i fatti ascritti e il precedente
reato associativo (correlate alla esclusa ravvisabilità di un disegno criminoso
unitario e originario), resiste ai rilievi difensivi anche laddove essi oppongono la
non completezza della valutazione in rapporto alle ulteriori circostanze dedotte,
attinenti al corretto comportamento processuale tenuto dal ricorrente, espresso

durante l’intera fase del procedimento, mentre era in vinculis, o libero nella
persona, o in attesa dell’ordine di esecuzione seguito alla decisione di questa
Corte di ripristino della originaria misura cautelare in carcere.
Mentre, infatti, corrisponde a generica contrapposizione argomentativa
l’affermazione della pienezza della confessione, astratta da ogni critica rispetto
alla contraria argomentata lettura fattane nella sentenza impugnata, non era
comunque necessario che la Corte di appello prendesse in considerazione
analiticamente tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli prospettati dalla difesa nei motivi di gravame o rilevabili
dagli atti, essendo sufficiente l’avere fatto congruo e motivato riferimento a
quelli ritenuti decisivi, o comunque rilevanti, comportando tale valutazione il
superamento degli altri (tra le altre, Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004,
dep. 25/01/2005 Alba e altri, Rv. 230691; Sez. 6 n. 34364 del 16/06/2010,
dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014,
dep. 03/07/2014, Lule, Rv. 259899).
3.4. Il rilievo della genericità della censura finale relativa alla eccessività
della pena assorbe ogni questione relativa alla deduzione della censura solo in
questa sede di legittimità.

4. Anche il ricorso proposto da Lipari Alfonso, che attiene al non condiviso
giudizio di equivalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche con la
contestata recidiva, è privo di giuridico pregio e deve essere rigettato.
4.1. La sentenza impugnata, con motivazione corretta in diritto e plausibile
in fatto, ha esplicitato, dopo le determinazioni prese con riguardo alla esclusa
sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della circostanza aggravante
prevista dall’art. 7 legge n. 203 del 1991 nei confronti del ricorrente e del
coimputato Di Vita, le ragioni che giustificavano, con riguardo al primo, posta la
già rilevata particolare gravità della condotta di ricezione e porto di armi
clandestine ascrittagli in concorso, un giudizio di “più basso profilo criminale”.
Tale giudizio, riferito alla riscontrata e valorizzata maggiore lievità dei
precedenti penali del ricorrente rispetto a quelli gravanti sul coimputato, è stato
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dall’ampia e piena confessione resa, e al comportamento mantenuto dallo stesso

posto a fondamento del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il
cui peso processuale è stato ragionevolmente apprezzato, nella ripercorsa analisi
della sua condotta (concorsuale e quindi giudicata secondo un criterio
concordante rispetto al coimputato), in termini di equivalenza con la contestata e
ritenuta recidiva infraquinquennale.
4.2. La valutazione svolta, attinente ad aspetti che rientrano nel potere
discrezionale del giudice di merito ed esente da vizi logici e giuridici, si sottrae
alle censure mosse dal ricorrente, che, mentre oppone infondatamente una non

“particolare” lievità, introduce rilievi privi di autosufficienza con riguardo a
un’affermata diversità del proprio vissuto giudiziario e del proprio contegno
processuale rispetto a quelli del coimputato, e reclama una generica diversa
lettura di merito della portata della vicenda, neppure traducibile in censura
consentita in sede di legittimità.

5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in data 11 novembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

valorizzata lievità dei suoi precedenti penali, assumendone una indimostrata

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