Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41674 del 11/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41674 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VACCARI ANDREA, nato il 11/08/1990
avverso la sentenza n. 6213/2012 GIP TRIBUNALE di MODENA del
08/05/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 11/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Eduardo
Scardaccione, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
preso atto che nessuno è comparso per il ricorrente.

Data Udienza: 11/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con opposizione a decreto penale di condanna, Vaccari Andrea, tra gli
altri e per quel che qui interessa, ha chiesto di essere giudicato nelle forme del
rito abbreviato, condizionato all’assunzione dei testi Patano Gianluca e Setti
Ester, in ordine al reato di cui all’art. 18, commi 4 e 5, r.d. n. 773 del 1931,
contestatogli per avere in concorso con altri (Innocenti Olivia Ester, Ferrari

alle prescrizioni imposte dal Questore di Modena con il provvedimento emesso il
2 aprile 2011, che vietava l’uso di apparecchiature di amplificazione nella
manifestazione organizzata il 3 aprile 2011 davanti al Centro di identificazione ed
espulsione “La Marmora” di Modena.

2. Con sentenza dell’8 maggio 2013 il G.u.p. del Tribunale di Modena ha
dichiarato

l’imputato

responsabile

(unitamente

ai

coimputati)

della

contravvenzione di cui all’art. 650 cod. pen., così qualificata l’originaria
imputazione, e, operata la riduzione per il rito, lo ha condannato alla pena di
euro centoventi di ammenda.
2.1. Secondo il G.u.p., l’art. 18, comma 4, r.d. n. 773 del 1931 prevedeva la
condotta, sanzionata dal successivo comma quinto,

“di chi promuove, o

interviene a manifestazione vietata dal Questore per ragioni di ordine pubblico,
di moralità o sanità pubblica o di chi trasgredisce le prescrizioni impartite per le
medesime ragioni in merito a modalità di tempo e di luogo per l’effettuazione
della riunione”, mentre nella specie la violazione, che non aveva riguardato
modalità di tempo e di luogo della riunione -debitamente oggetto di avviso tre
giorni prima del suo svolgimento- con autorizzazione all’impiego di megafoni, era
riferita all’utilizzo di apparecchiature di amplificazione, vietato con
provvedimento legalmente dato per ragioni di sicurezza e ordine pubblico in
occasione del presidio organizzato dal movimento anarchico modenese per
protestare contro la istituzione dei centri di identificazione ed espulsione degli
stranieri e contro le restrizioni imposte agli stessi nei detti centri.
2.2. Nella indicata occasione, come riferito nella nota della D.I.G.O.S. della
Questura di Modena, al Vaccari, che insieme a Patano Gianluca aveva scaricato
da un’autovettura, giunta all’inizio del presidio, l’apparecchiatura di
amplificazione, il sovrintendente Orfello aveva detto di metterla via, ricevendo
quale risposta che l’impianto era “di tutti e di nessuno”.
Lo stesso Orfello aveva notificato alla imputata Innocenti il provvedimento
del Questore, contenente le prescrizioni da osservarsi durante la manifestazione,
e informato tutti i presenti, tra i quali gli imputati Ferrari e Marchesi, del divieto

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Riccardo e Marchesi Elena), contestualmente giudicati, omesso di ottemperare

di fare uso della indicata strumentazione, pena il loro deferimento all’autorità
giudiziaria.
Iniziato, quindi, il presidio, durato circa tre ore, gli imputati Vaccari, Ferrari
e Marchesi si erano alternati al microfono dell’amplificazione per effettuare
interventi e avevano intrapreso un dialogo con gli immigrati presenti nella
struttura, che erano riusciti anche a salire sui tetti, surriscaldandosi gli animi e
rendendosi necessario per la tutela dell’ordine e della sicurezza l’intervento di
pattuglie delle forze dell’ordine e di camionette dell’esercito.

caricando sull’autovettura l’impianto di amplificazione, subito dopo sottoposto a
sequestro.
2.3. La tesi difensiva, alla cui stregua il personale della D.I.G.O.S. durante la
manifestazione aveva detto verbalmente che, contrariamente alle prescrizioni
notificate, era consentito l’uso dell’impianto di amplificazione, e che, in ogni
caso, detto impianto era stato usato solo per amplificare la musica, era smentita
dalle emergenze della nota della D.I.G.O.S., dal contenuto delle prescrizioni
impartite e dalla notifica delle stesse, eseguita all’inizio della manifestazione.
L’imputato Vaccari e i coimputati, che avevano riconosciuto di avere fatto
uso dell’amplificatore, erano a conoscenza del contenuto delle prescrizioni ed era
pertanto evidente la volontà di trasgredirle.
2.4. La condotta ascritta, non trovando nell’ordinamento altra specifica
sanzione, integrava la contravvenzione di cui all’art. 650 cod. pen.

3. Avverso detta sentenza, divenuta irrevocabile per i coimputati il 25 luglio
2013, ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore avv.
Daniela Goldoni, l’imputato Vaccari, chiedendone l’annullamento sulla base di tre
motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., violazione di legge penale processuale per
erronea o mancata valutazione delle prove ai sensi degli artt. 192 e 546, comma
1, lett. e) , cod. proc. pen., e mancanza di motivazione.
Secondo il ricorrente, la sentenza è incorsa nei denunciati vizi, poiché -nel
ritenere non credibile la versione difensiva- ha omesso del tutto di valutare
l’attendibilità e la rilevanza del contenuto delle deposizioni dei due testi Setti e
Patano, alla cui audizione (avvenuta il 17 aprile 2013) era stato condizionato il
rito abbreviato, delle dichiarazioni rese a sommarie informazioni da Ciardiello e
Tocha rispettivamente il 13 e il 29 novembre 2011 e contenute nel fascicolo del
Pubblico Ministero, delle dichiarazioni dell’imputato Marchese e di esso
ricorrente, e della successiva informativa del 20 dicembre 2011 della D.I.G.O.S.

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Al termine della manifestazione, Ferrari e Innocenti si erano allontanati

Assumeva, in particolare, rilevanza la prova introdotta in relazione alla tesi
fondata sulla intervenuta autorizzazione verbale da parte degli ufficiali della
D.I.G.O.S. operanti di utilizzare l’impianto di amplificazione in luogo del
megafono, purché con le stesse funzioni del megafono e quindi per interventi a
voce distanziati, in vista della esclusione della contestata contravvenzione e in
ogni caso del suo elemento soggettivo, tenuto conto anche della protrazione
della manifestazione per circa tre ore senza alcun intervento impeditivo da parte
delle forze dell’ordine.

comma 1, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza o errata applicazione della legge
penale, con riferimento agli artt. 15 e 16 cod. pen., riguardo al rapporto di
sussidiarietà tra la norma di cui all’art. 18 r.d. n. 773 del 1931 e l’art. 650 cod.
pen. e alla conseguente derubricazione del reato ai sensi dell’art. 521 cod. proc.
pen.
Secondo il ricorrente, la sentenza è viziata per avere interpretato in modo
errato il rapporto tra le due indicate norme e ritenuto di procedere a una diversa
qualificazione giuridica del fatto.
Il richiamato principio di sussidiarietà, che disciplina i conflitti tra norme non
risolvibili sulla base del principio di specialità in senso proprio di cui all’art. 15
cod. pen., suppone che una norma dichiari esplicitamente di intervenire ove non
possa essere applicata altra norma incriminatrice, mente la norma di cui all’art.
18 r.d. n. 773 del 1931 è volta a regolare per intero la specifica materia delle
manifestazioni in luogo pubblico nell’ambito della gestione della pubblica
sicurezza demandata alla competenza del Questore, sovrapponendosi all’area di
operatività di cui all’art. 650 cod. pen., con conseguente esclusiva applicazione
della disciplina contenuta nel T.U.L.P.S.
Il Giudice, pertanto, non poteva procedere alla derubricazione del reato ai
sensi dell’art. 521 cod. proc. pen., ma doveva pronunciare sentenza di
assoluzione perché il fatto non sussiste, non essendo incriminata la violazione
delle prescrizioni dell’ordine del questore relative alla manifestazione autorizzata,
oltre a quelle afferenti all’ora e al luogo, e non essendosi fatto ricorso alla
disciplina speciale che prevede lo scioglimento della manifestazione e la
incriminazione per la inottemperanza all’ordine di dispersione.
3.3. Con il terzo motivo sono denunciate, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) ed e), cod. proc. pen., erronea applicazione degli artt. 650 e 43 cod. pen.
in merito all’oggetto del dolo e mancanza di motivazione con riguardo
all’elemento soggettivo del reato.
Secondo il ricorrente, la sentenza ha delimitato in modo erroneo l’oggetto
del dolo, poiché, mentre ha attribuito la responsabilità a tutti gli imputati senza
distinguere le diverse posizioni processuali, non ha considerato che è intervenuto
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3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,

un comportamento positivo degli ufficiali della D.I.G.O.S., presenti sul luogo,
quanto all’autorizzazione a utilizzare l’amplificazione in luogo del megafono, né le
ragioni, connesse all’amplificazione della musica, per cui l’amplificatore non
doveva essere usato.
Né si è considerato che il comportamento degli esponenti della Questura,
che durante il corso della manifestazione non sono intervenuti per interromperla,
ha indotto il convincimento, sia pure erroneo, di agire legittimamente e ha inciso

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, proposto per motivi infondati o non consentiti, deve essere
rigettato.

2. Le censure svolte dal ricorrente con il primo motivo, attinenti alla
contestata affermazione della sua responsabilità penale per il reato ascrittogli, sì
come derubricato in quello previsto dall’art. 650 cod. pen., sono correlate, nel
contesto della dedotta nullità della sentenza per i vizi, promiscuamente dedotti,
di violazione di legge e di mancanza di motivazione, alla denunciata omessa
considerazione delle prove a discarico, e, tra esse, in particolare delle due
deposizioni, alla cui assunzione era stata condizionata la scelta del rito
abbreviato, rese nel corso del giudizio all’udienza del 17 aprile 2013, e al
conseguente mancato apprezzamento, refluente sulla tenuta e congruenza del
percorso argomentativo della decisione, della loro attendibilità e rilevanza al fine
della ricostruzione della condotta oggettiva tipica della contravvenzione come
contestata e del suo elemento soggettivo.
2.1. Deve procedersi dal rilievo che l’apprezzamento organico delle
risultanze processuali, che si assume illegittimo e manchevole, è stato
compiutamente condotto dal Giudice di merito, che, illustrate le emergenze della
nota della D.I.G.O.S. della Questura di Modena (sintetizzate sub 3.1. del
“ritenuto in fatto”),

ha fornito una persuasiva ricostruzione della vicenda,

valorizzando quanto emergente dalla stessa nota in ordine all’impiego
dell’amplificazione; al tenore delle prescrizioni impartite e da rispettarsi nel corso
della manifestazione; alla eseguita notifica delle stesse, all’inizio della
manifestazione, alla coimputata Innocenti; alla loro esplicitazione -a cura, alla
pari della notifica, del sovrintendente Orfello- a tutti i presenti, e, tra essi in
particolare, ai coimputati Ferrari e Marchesi; alla replica al detto operante da
parte del, pure presente, ricorrente, che, con Patano Gianluca, aveva scaricato
l’apparecchiatura dall’autovettura giunta all’inizio del presidio; alle modalità di
svolgimento della manifestazione e al suo epilogo.

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sulla configurabilità della colpevolezza a titolo colposo.

Il G.u.p., che ha dato conto della intervenuta assunzione in esame dei testi
Patano e Setti, cui il ricorrente aveva condizionato il, poi ammesso, rito
abbreviato e dell’acquisizione, nel giudizio, delle dichiarazioni spontanee rese dal
ricorrente e dalla coimputata Marchesi, ha rimarcato (sì come sintetizzato sub
3.2. del “ritenuto in fatto”), in replica alla tesi difensiva -alla cui stregua il
personale della D.I.G.O.S. avrebbe detto verbalmente al ricorrente e ai
coimputati, in occasione della indicata manifestazione, che, contrariamente alle
prescrizioni delle quali avevano ricevuto notifica, potevano fare uso dell’impianto,

dei fatti, smentita dalle ripercorse emergenze della indicata nota, non era
apprezzabile come credibile, mentre il rilevato utilizzo da parte del ricorrente e
dei coimputati dell’amplificazione per effettuare interventi vocali, nella
conoscenza del contenuto delle prescrizioni imposte, supportava il convincimento
della loro responsabilità.
2.2. Tale analisi, che ha espresso un ragionamento congruente ai dati
fattuali richiamati e privo di vuoti logici nella indicazione delle emergenze
processuali determinanti per pervenire alla decisione adottata, resiste alle
doglianze difensive.
Si tratta di deduzioni, che, del tutto generiche nell’opposto parziale richiamo
della tesi difensiva, correlato all’affermata omessa completa valutazione del
contenuto delle deposizioni dei testi Setti e Patano, delle dichiarazioni rese a
s.i.t. da Ciardiello e Tocha, delle dichiarazioni degli imputati Marchesi e Vaccari e
della nota informativa della D.I.G.O.S. del 20 dicembre 2011, successiva a quella
esaminata del 15 aprile 2011, sono prive di autosufficienza (tra le altre, Sez. 1,
sent. 6112 del 22/01/2009, dep. 12/02/2009, Bouyahia, Rv. 243225; Sez. 2, n.
26725 del 01/03/2013, dep. 19/06/2013, Natale, Rv. 256723), poiché detti atti,
cui questa Corte non può accedere per esserle preclusa la ricerca autonoma e
diretta degli atti del processo, non sono stati allegati al ricorso né son stati in
esso integralmente trascritti e specificamente illustrati nel loro contenuto.
Né, peraltro, il ricorrente ha minimamente indicato la specifica attitudine
degli indicati atti a sovvertire l’assunto accusatorio, poiché nella loro ripercorsa
léttura ha solo riproposto i termini della tesi già enucleata dal G.u.p.,
contrapponendo alla valutazione del risultato probatorio effettuata in sentenza
una sua, non consentita, reinterpretazione nel merito.

3. Privo di giuridico pregio è il secondo motivo, afferente alla non condivisa
qualificazione del fatto, contestato al ricorrente, ai sensi dell’art. 650 cod. pen.,
cui, quale previsione sussidiaria, il G.u.p. ha ricondotto la violazione -già ascritta
allo stesso ai sensi dell’art. 18 r.d. n. 773 del 1931- del provvedimento che

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e l’uso fattone è stato limitato all’amplificazione della musica -, che tale versione

vietava l’uso di apparecchiature di amplificazione nella manifestazione del 3
aprile 2011, perché non attinente a modalità di tempo e di luogo della riunione.
3.1. Secondo la tesi del ricorrente, che muove dalla considerazione che
l’indicato art. 18 disciplina per intero -nell’ambito della gestione della pubblica
sicurezza demandata alla competenza del questore- la materia delle
manifestazioni in luogo pubblico, il suo rapporto con l’art. 650 cod. pen. non è
regolato in ragione del principio di sussidiarietà, che “consente l’operatività della
fattispecie solo in ipotesi in cui non sia applicabile una norma incriminatrice che
ma sulla base del principio di specialità, con

conseguente esclusiva applicazione della predetta norma, che incrimina la
violazione delle prescrizioni dell’ordine del questore, relative alla manifestazione
autorizzata, solo con riguardo alla trasgressione dell’ora e del luogo.
A ciò consegue, nella operata lettura del rapporto tra le norme, che la
violazione delle altre prescrizioni non costituisce illecito penale, potendo solo
comportare l’attivazione, non operata nella specie, della procedura contenuta nei
successivi artt. 20 e ss. dello stesso testo unico e l’applicazione, ai sensi dell’art.
16 cod. pen., delle autonome sanzioni dello scioglimento della manifestazione e
della incriminazione del rifiuto a disperdersi.
3.2. Si rileva in diritto che la contravvenzione prevista dall’art. 650 cod. pen.
(alla cui stregua “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato
dall’Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o
d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino
a tre mesi o con l’ammenda fino a C 206″)

non è configurabile quando la

violazione dell’obbligo o del divieto imposto dal provvedimento amministrativo
sia già prevista da una fonte normativa generale e trovi autonoma e specifica
sanzione da parte dell’ordinamento.
Questa Corte nell’affermazione di tale principio, partendo dal rilievo che
l’applicazione dell’art. 650 cod. pen., in relazione alla stessa formulazione della
norma, ricorre solo nel caso in cui l’inosservanza all’ordine non sia comunque
sanzionata (tra le altre, Sez. 1, n. 6682 del 12/05/1995, dep. 07/06/1995,
Finocchiaro, Rv. 201539; Sez. 1, n. 10537 del 29/09/1995, dep. 23/10/1995, Lo
Bianco, Rv. 202540), ha rimarcato che, in tema di inosservanza di
provvedimento dell’autorità, la disposizione di cui all’art. 650 cod. pen. è norma
di natura sussidiaria che trova applicazione solo quando la inosservanza del
provvedimento dell’autorità non sia sanzionata da alcuna norma penale,
processuale o amministrativa (tra le altre, Sez. 1, n. 5965 del 07/05/1996,
dep. 12/06/1996, P.M. in proc. Mischiari, Rv. 205111; Sez. 1 n. 3759 del
23/02/1998, dep. 25/03/1998, P.M. in proc. Buonaiuto, Rv. 210121, Sez. 1, n.
43398 del 25/10/2005, dep. 30/11/2005, P.G. in proc. Zorzi ed altro, Rv.
232745, in fattispecie relative alla violazione del divieto di dimorare in un
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preveda un reato più grave”,

determinato comune, imposto quale misura coercitiva ai sensi dell’art. 283 cod.
proc. pen., sanzionato dall’art. 276 cod. proc. pen.), e ha ricordato che
l’affermato principio consegue al “carattere di sussidiarietà di tale ipotesi di reato
(di cui all’art. 650 cod. pen.), tradizionalmente affermato da giurisprudenza e
dottrina” (Sez. 1, n. 43202 del 08/11/2002, dep. 19/12/2002, Romanisio, Rv.
222945, in fattispecie concernente la inottemperanza ad ordinanza sindacale
meramente ripetitiva del divieto di superare i valori-limite di emissione e di
immissione sonora previsti dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, attuativo del

Si è anche affermato, sotto concorrente profilo, che, ai fini della
configurabilità dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 650 cod. pen., occorre
che la violazione sia relativa a provvedimenti contingibili e urgenti, mentre le
violazioni dei precetti contenuti nelle ordinanze emesse dal sindaco

“in

conformità delle leggi e regolamenti” restano assoggettate alla disciplina dell’art.
106 R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (tra le altre, Sez. 1, n. 4892 del 02/04/1996,
dep. 15/05/1996, Sottile, Rv. 204638, in fattispecie relativa a ordinanza
sindacale che imponeva, per ragioni igienico-sanitarie, la chiusura immediata di
una stalla; Sez. 1, n. 6525 del 05/05/1998, dep. 03/06/1998, P.M. in proc.
Molinari, Rv. 210764, in fattispecie relativa a ordinanza sindacale che ordinava la
raccolta dei rifiuti commerciali lontano dai luoghi di abitazione; Sez. 1, n. 3201
del 12/01/1999, dep. 09/03/1999, Salerno G., Rv. 212691, in fattispecie relativa
a ordinanza sindacale emessa in materia di esercizio della vendita ambulante;
Sez. 1, n. 1422 del 10/12/2009, dep. 14/01/2010, Atif e altro, Rv. 245944, in
fattispecie relativa a ordinanza sindacale che dichiarava inagibile un immobile
per mancanza di allacciamento alla rete fognaria).
3.3. Di tali condivisi principi, pertinenti anche alla fattispecie in esame, il
Tribunale ha fatto esatta interpretazione e corretta applicazione, coerentemente
rappresentando la natura sussidiaria della previsione dell’art. 650 cod. pen.,
fondatamente ravvisandone l’operatività

“quando la violazione dell’obbligo,

imposto da un ordine autorizzato da una disposizione di legge o di regolamento,
ovvero da un legittimo provvedimento dell’autorità, non trovi nell’ordinamento
altra specifica sanzione”,

ed evidenziando, con logica e congruente

argomentazione, che, nel caso di specie, non erano state violate le prescrizioni
relative al tempo e al luogo della manifestazione, corrispondenti a quelli indicati
nell’avviso ritualmente fatto, ma la prescrizione contenuta nel provvedimento del
Questore del 2 aprile 2011, che, per ragioni di sicurezza pubblica e ordine
pubblico, aveva vietato l’utilizzo di apparecchiature di amplificazione, invece
utilizzate.
3.4. Né, contrariamente alle deduzioni difensive, possono apprezzarsi in
questa sede il provvedimento autorizzativo del questore in ragione della tipicità
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precetto posto e sanzionato dall’art. 10, comma 2, legge n. 447 del 1995).

del suo contenuto, che si afferma dover essere limitato alle prescrizioni relative
alle modalità di tempo di luogo della riunione, e l’omessa attivazione, nella
eventuale presenza di messa in pericolo dell’ordine pubblico o della sicurezza,
della procedura, interna alla legge speciale, che si articola nello scioglimento
della manifestazione e nella incriminazione del rifiuto alla dispersione.
Mentre, invero, non è sindacabile la scelta operata dalle forze dell’ordine
circa i modi e i tempi del loro intervento, rientra nelle attribuzioni dell’autorità di
pubblica sicurezza, esercitate a livello provinciale dal prefetto o dal questore,

sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, la cui inottemperanza, non prevista dai
precetti già posti e sanzionati dalla legge, è sussumibile, ed è stata
correttamente sussunta, nella previsione sussidiaria e residuale dell’art. 650 cod.
pen.

4. Il terzo motivo, con il quale si censura, per violazione di legge e vizio
della motivazione, l’analisi dell’elemento soggettivo del reato contravvenzionale
scritto, è inammissibile perché estraneo ai limiti del sindacato di legittimità.
Il ricorrente, senza correlarsi con le ragioni poste a fondamento della
decisione che ha ravvisato la volontà sua, unitamente a quella dei coimputati, di
trasgredire la prescrizione di non utilizzare l’amplificatore per non mettere a
repentaglio ordine e sicurezza pubblici e l’incolumità fisica dei presenti (alla
manifestazione e nel centro di accoglienza), nella emersa conoscenza del divieto
da parte di tutti e nella loro alternanza ad avvalersene per i loro interventi, ha,
infatti, riproposto la tesi in fatto, già compiutamente rigettata, della diversa
autorizzazione intervenuta nel corso della manifestazione e ha ulteriormente
reclamato un non consentito sindacato sulle modalità dell’espletamento dei
controlli, finalizzato alla tutela dell’affidamento, anche se erroneo, della
legittimità della condotta tenuta.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, in data 11 novembre 2014
Il Consigliere estenso

EPOSITATA

Il Presidente

adottare provvedimenti e/o disporre prescrizioni funzionali alla tutela della

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