Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41673 del 28/10/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41673 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE presso CORTE APPELLO di FIRENZE
nei confronti di:
QIU ZHAOXIAN, nato il 07/06/1977
avverso la sentenza n. 3268/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE del
10/03/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 28/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Antonio Gialanella,
che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata;
udito l’avv. Giovanna Lombardi in sostituzione dell’avv. Giuseppe
Lombardo per l’imputato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 28/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 luglio 2011 il Tribunale di Firenze, all’esito del giudizio
di opposizione a decreto penale di condanna, ha dichiarato Qiu Zhaoxian
colpevole dei reati di cui agli artt. 12, comma 5, e 22, comma 12, d.lgs. n. 286
del 1998, accertati in Empoli il 15 febbraio 2008, per avere, quale titolare della
ditta individuale “Tomaificio Ou Bao”, con sede in Empoli, favorito la permanenza

soggiorno, dando loro vitto e alloggio all’interno dei luoghi di lavoro, ove li
Impiegava alle proprie dipendenze come confezionieri, sfruttando la loro
manodopera, e l’aveva condannato, unificate le condotte criminose contestate
sotto il vincolo della continuazione, alla pena di mesi sei di reclusione ed euro
quattromila di multa, con i benefici della sospensione condizionale della pena e
della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

2. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 10 marzo 2014, in riforma
della sentenza di primo grado, ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 12,
comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 perché “il fatto non sussiste”, e ha dichiarato
non doversi procedere nei confronti del medesimo per il reato di cui all’art. 22
stesso decreto, perché estinto per intervenuta prescrizione.
Secondo la Corte, dalle emergenze istruttorie del giudizio di primo grado
era risultato che, all’atto del controllo presso il “Tomaificio Ou Bao”, di cui era
titolare l’imputato, erano stati trovati sei cittadini cinesi irregolari intenti al lavoro
e che il datore di lavoro offriva agli stessi vitto e alloggio; tale condotta, mentre
integrava il reato di cui all’art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286 del 1998, non era
sufficiente ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della
permanenza illegale nel territorio dello Stato, che richiedeva il dolo specifico
costituito dal fine di trarre profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri; il
dato distintivo del detto secondo reato richiedeva un quid pluris rispetto alla
mera sussistenza del rapporto di lavoro sia pure in nero, come l’imposizione di
particolari e gravose condizioni di lavoro, non provate nel caso di specie.
Era invece maturato il termine quinquennale di prescrizione del reato di cui
all’art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286 del 1998, applicabile in relazione alla
sopravvenienza -rispetto all’accertamento della condotta ascritta- della
trasformazione della fattispecie contravvenzionale in ipotesi delittuosa con il d.l.
n. 92 del 2008, convertito in legge n. 125 del 2008.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
generale presso la Corte di appello di Firenze, che ne chiede l’annullamento
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di sei cittadini extracomunitari di nazionalità cinese privi del permesso di

limitatamente all’assoluzione dell’imputato dal reato di cui all’art. 12, comma 5,
d.lgs. n. 286 del 1998 per difetto di motivazione.
Secondo il ricorrente, la sentenza ha affermato genericamente il difetto di
prova del dolo specifico dell’indicato reato e ha omesso l’esame approfondito del
fatto e delle argomentazioni della sentenza di primo grado, limitandosi a rilevare,
dopo avere correttamente richiesto un quid pluris rispetto alla mera sussistenza
del rapporto di lavoro con soggetti irregolari nel territorio dello Stato, il difetto di
prova di particolari condizioni di lavoro in relazione all’orario e alla retribuzione,

capannone sede de/lavoro”, sintomatiche del profitto tratto da parte del datore
di lavoro dalla condizione di clandestinità, né dell’omesso versamento da parte
del medesimo dei contributi previdenziali per la situazione irregolare dei
dipendenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.

2. Le censure svolte attengono, sotto il profilo del vizio della motivazione,
alla contestata pronuncia assolutoria dell’imputato dal reato di cui all’art. 12,
comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, per il quale era stata emessa pronuncia di
condanna in primo grado.
2.1. Questa Corte ha più volte affermato che, ai fini della configurazione
dell’indicato reato, non è sufficiente che l’agente abbia favorito la permanenza
nel territorio dello Stato di immigrati clandestini, ma è necessario che ricorra il
dolo specifico, che è costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di
illegalità dei cittadini stranieri, che si realizza quando l’agente, approfittando di
tale stato, imponga condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dal
rapporto sinallagmatico (tra le altre, Sez. 1, n. 46066 del 16/10/2003,
dep. 28/11/2003, Capriotti, Rv. 226476; Sez. 1, n. 46070 del 23/10/2003,
dep. 28/11/2003, P.G. in proc. Scarselli, Rv. n. 226477; Sez. 1, n. 6068 del
30/01/2008, dep. 07/02/2008, Savarese, Rv. 238922; Sez. 1, n. 5093 del
17/01/2012, dep. 09/02/2012, Abdalah e altri, Rv. 251855).
L’elemento di distinzione tra detto reato e quello di cui all’art. 22, comma
12, d.lgs. n. 286 del 1998, ferma restando – in relazione alla diversità della ratio
che li caratterizza e alla evidente diversità dell’interesse protetto – la possibilità
del concorso (Sez. 1, n. 23438 del 08/04/2003, dep. 28/05/2003, Pratticò, Rv.
224595), come si è verificato nella specie, è costituito dal fatto che, mentre il
secondo intende contrastare il fenomeno della immigrazione clandestina,
punendo l’assunzione al lavoro di extracomunitari privi di permesso di soggiorno,
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senza tenere conto delle “miserrime condizioni di alloggiamento nello stesso

potendo connotarsi come strumento atto a eludere il divieto di ingresso e di
permanenza nel territorio dello Stato al di fuori delle condizioni fissate dalla
legge, con il primo si punisce l’attività di colui che, approfittando della condizione
di illegalità degli stranieri, ne favorisca la permanenza nel territorio dello Stato al
fine di trarre un ingiusto profitto da tale condizione, fuoriuscendosi dal rapporto
sinallagmatico di prestazione d’opera o perché gli stranieri vengono utilizzati in
attività illecite o perché si impongono loro condizioni gravose e discriminatorie di
lavoro, di orario e/o di retribuzione (tra le altre, Sez. 1, n. 4700 del 28/06/2000,

08/03/2001, dep. 20/04/2001, Du Li T., Rv. 219508; Sez. 1, n. 23438 del
08/04/2003, dep. 28/05/2003, Pratticò, Rv. 224596; Sez. 1, n. 5093 del
17/01/2012, citata), diverse e ulteriori rispetto al solo omesso pagamento dei
contributi (Sez. 1, n. 40398 del 29/11/2006, dep. 12/12/2006, Affatato, Rv.
235111).
2.2. Anche la condotta di fornire un alloggio al cittadino extracomunitario
può configurare il reato di favoreggiamento qualora dalla stipulazione del
contratto colui che fornisce l’alloggio intenda trarre un indebito vantaggio dalla
condizione di illegalità in cui si trova lo straniero, sempre in relazione a quel
particolare rapporto sinallagmatico (Sez. 1, n. 46066 del 16/10/2003, citata;
Sez. 1, n. 46070 del 23/10/2003, citata). Si è sostenuto, ad esempio, che
sussiste il reato di favoreggiamento qualora, nel mettere a disposizione un
alloggio, il fine di trarre un ingiusto profitto sia realizzato mediante un comodato
senza termine di durata, indipendentemente dal fatto che il prezzo sia equo
(Sez. 1, n. 5887, del 02/02/2006, dep. 15/02/2006, Bonifazi, Rv. 233108),
consistendo, in tal caso, l’ingiusto profitto nell’avere indotto il cittadino
extracomunitario a stipulare un contratto, per il proprietario, più vantaggioso
rispetto a quello di locazione, o qualora la condotta di dare alloggio a uno
straniero privo di titolo di soggiorno e la cessione a questi in locazione
dell’immobile si realizzi a condizioni contrattuali fortemente disequilibrate in
favore del titolare dell’immobile (Sez. 1, n. 19171 del 07/04/2009,
dep.07/05/2009, P.M. In proc. Gattuso, Rv. 243378), o comunque gravose
rispetto ai valori di mercato (Sez. 1, n. 46914 del 10/11/2009, dep. 09/12/2009,
Borgogno, Rv. 245686).

3. Di tali condivisi principi la Corte di merito ha fatto corretta applicazione,
logicamente rappresentando le ragioni della ritenuta insufficienza della condotta
dell’imputato, certamente costitutiva del reato di cui all’art. 22, comma 12, digs.
n. 286 del 1998 (che ha dichiarato estinto per prescrizione), a integrare il reato
di cui all’art. 12 dello stesso decreto.

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dep. 25/10/2000, PM in proc. Mao, Rv. 217167; Sez. 3, n. 16064 del

3.1. La Corte nel suo percorso argomentativo ha rilevato, con congrui
richiami fattuali, che dal servizio di controllo effettuato nei confronti dell’impresa
individuale di cui era titolare l’imputato, illustrato dal teste Carfora escusso in
primo grado, era emersa la presenza nell’interno dei locali della stessa di sei
cittadini cinesi, risultati poi privi di permesso di soggiorno, intenti al lavoro, ai
quali il datore di lavoro offriva vitto e alloggio, e, ragionevolmente valorizzando
detti dati, ha logicamente rappresentato la non sufficienza -al fine della
configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza illegale nel

clandestino ovvero impiegando gli stessi in attività lavorativa, e la carenza della
prova della sussistenza in concreto di particolari condizioni di lavoro che
valessero a integrare il quid pluris dimostrativo dell’elemento finalistico di trarre
profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri, che connota la indicata
fattispecie delittuosa.
3.2. Si tratta di apprezzamento, che, esente da vizi logici e giuridici, resiste
alle censure del ricorrente, che, mentre infondatamente oppone la deduzione,
non rilevante, dell’omesso versamento dei contributi previdenziali da parte
dell’imputato per la situazione di irregolarità dei dipendenti, introduce
considerazioni generiche relative alle condizioni di alloggiamento

“misero e

precario” dei medesimi.
Non risulta, invero, dagli atti trasmessi e valutabili alcun accenno, né il
ricorrente ha offerto alcuna prova, alle condizioni di lavoro e di retribuzione dei
cittadini irregolari.
Né, omessa ogni contestazione circa l’emergenza fattuale relativa all’offerta
agli stessi stranieri di vitto e di alloggio, il ricorrente ha provato il dedotto
miserrimo stato di alloggiamento dei medesimi e neppure ha dimostrato in quali
termini detto stato possa apprezzarsi come sintomatico dell’ingiusto profitto
tratto -da parte dall’imputato- dalla loro condizione di illegalità.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso non segue la condanna del ricorrente, parte pubblica, al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2014
Il Consigliere estenso

DEPOSITATA

Il Presidente

territorio dello Stato- di una condotta agevolativa attuata fornendo alloggio ai

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