Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41668 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 41668 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANGELI FERNANDO N. IL 16/03/1952
avverso la sentenza n. 7870/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
02/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 16/07/2014

4f1
Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

-7

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Mario Fraticelli, ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di Angeli Fernando propone ricorso per cassazione contro la sentenza

decisione del Tribunale di Roma del 18 gennaio 2010, con la quale, in sede di giudizio
abbreviato, l’imputato è stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione, oltre alle
spese processuali perché, nella qualità di ultimo amministratore unico della società “Il
Gabbiano” non teneva i libri contabili e le altre scritture, nei tre anni precedenti la
sentenza dichiarativa di fallimento della società, ai sensi degli articoli 217, secondo
comma e 224 della legge fallimentare.
2.

La Corte ha ritenuto non condivisibili le censure contenute nell’atto di appello,
confermando la valutazione operata dal primo giudice, il quale aveva valorizzato il
contenuto della relazione del curatore fallimentare, dalla quale era emerso che Angeli
non aveva consegnato nemmeno in parte la contabilità della società “Il Gabbiano”,
confermando la valutazione d’inattendibilità delle conclusioni del consulente tecnico
dell’imputato, secondo il quale, invece, non vi sarebbe divergenza tra la situazione
patrimoniale del 31 ottobre 2006 e i dati esposti nella contabilità.

3. Avverso la decisione di appello propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato
per i seguenti motivi:

violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dell’omessa tenuta
dei libri contabili, in quanto la gestione della società era stata affidata al
commercialista, successivamente deceduto;

violazione di legge, con riferimento all’elemento soggettivo del reato contestando la
ricostruzione della bancarotta semplice colposa ritenuta nella decisione impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La sentenza impugnata non merita censura per manifesta infondatezza dei motivi e
genericità delle censure.
2. Con il primo motivo la difesa del ricorrente deduce l’insussistenza della fattispecie
prevista dall’articolo 217, comma 2, della legge fallimentare rilevando che l’imputato
aveva affidato la gestione contabile della società al commercialista, successivamente
deceduto e che, comunque, attraverso gli atti rinvenuti era stato possibile ricostruire
l’attività della società, come confermato nella consulenza tecnica di parte. Sotto tale
profilo rileva l’insufficienza della mera mancata consegna dei libri contabili al curatore,

emessa dalla Corte d’Appello di Roma in data 2 maggio 2013 di conferma della

ai fini della responsabilità penale, difettando la prova della negligente tenuta delle
scritture contabili, che costituisce il presupposto oggettivo della fattispecie penale.
3. La censura è infondata
4. In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da
responsabilità nel caso in cui affidi la contabilità dell’impresa a soggetti forniti di
specifiche cognizioni tecniche in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di
vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice,

indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 2812 del 17/10/2013
Rv. 258947). Infatti, nel caso di bancarotta cosiddetta impropria, gli amministratori, i
direttori generali, i sindaci e i liquidatori, non vanno esenti da responsabilità per il fatto
che la contabilità sia stata affidata ad un commercialista, dovendosi logicamente
presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai
predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare
e veritiera contabilità (Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993 – dep. 19/02/1994, Decenvirale,
Rv. 197268).
5. Con il secondo motivo la difesa deduce l’errata applicazione dell’articolo 217 della legge
fallimentare, con riferimento all’elemento soggettivo del reato avendo, il Giudice di
Appello, ritenuto configurabile la bancarotta semplice per negligenza dell’Angeli che
avrebbe omesso di consegnare al curatore la contabilità. Sotto tale profilo censura
l’orientamento giurisprudenziale che consente la punibilità del reato anche in assenza
della coscienza e volontà dell’omessa tenuta delle scritture contabili, richiamando
l’orientamento della dottrina favorevole alla ricostruzione della bancarotta semplice,
come fattispecie esclusivamente dolosa.
6. La censura è destituita di fondamento poiché contraria al condivisibile e consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini dell’integrazione della
bancarotta semplice (art. 217, comma secondo, I. fall.), l’elemento soggettivo può
indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando

superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano trascritti secondo le

l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le
scritture, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall’art. 216,
comma primo, n. 2, I. fall., l’elemento psicologico deve essere individuato nel dolo
generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con
la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio

dell’imprenditore. (Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011 – dep. 28/12/2011, Barbieri; Cass. 9„1
n. 6769 del 2006 Rv. 233997; n. 26907 del 2006 Rv. 235006; n. 1137 del 2009 Rv.
242550; n. 21872 del 2010 Rv. 247444).
7. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della

Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare
equo determinare in euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 16/07/2014

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