Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4163 del 22/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4163 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

Data Udienza: 22/10/2013

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MUSTO ANTONIETTA N. IL 03/05/1961
avverso la sentenza n. 5649/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
18/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

)(A

2Con sentenza in data 18 ottobre 2012 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza
emessa il 22 febbraio 2011 dal Tribunale di Napoli con la quale Musto Antonietta era stata
dichiarata colpevole di plurimi reati di truffa, falso e ricettazione, commessi e accertati in Napoli
nell’anno 2011, ed era stata condannata, ritenuta la continuazione, alla pena di anni due, mesi
quattro di reclusione ed euro 400,00 di multa.
Avverso detta sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

vizio della motivazione per essere stato ritenuto erroneamente il concorso dei reati di truffa e falso,
tra di loro e con il reato di ricettazione, essendosi l’imputata limitata a realizzare il profitto della
ricettazione versando assegni di provenienza illecita, di cui aveva falsificato l’intestazione, su un
conto corrente a lei intestato; 2) la violazione dell” art.62 bis c.p. in relazione al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il primo motivo è inammissibile perché generico in quanto reiterativo degli argomenti
prospettati nell’atto di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate risposte, esaustive in
fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera né specificatamente censura. Il giudice di
appello per affermare l’infondatezza della tesi difensiva del concorso apparente di norme ha infatti,
con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente, evidenziato che il delitto di
truffa e quello di falso proteggono diverse oggettività giuridiche e presentano elementi strutturali
diversi, aggiungendo che il delitto di ricettazione costituisce l’antecedente logico e cronologico
dovendo la ricezione di un titolo di provenienza illecita costituire la condotta che precede
l’utilizzazione del titolo medesimo. Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende
nemmeno in considerazione, limitandosi a ribadire in maniera del tutto generica la tesi già esposta
nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza
impugnata.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nel caso di specie il giudice di appello ha legittimamente confermato il mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla base della condotta seriale
dell’imputata, da cui si evinceva il suo stabile inserimento in un circuito criminoso dedito
all’indebita ricezione di titoli di provenienza illecita. La concessione o meno delle attenuanti
generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui
esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua
valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla
personalità del reo (Cass. sez.VI 28 ottobre 2010 n.41365, Straface). Nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti

Con il ricorso si deduce: 1) la violazione di legge, con riferimento agli artt.640, 485 e 648 c.p.. e il

gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che
egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati
tutti gli altri da tale valutazione (Cass. sez.VI 16 giugno 2010 n.34364, Giovane).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013
il cons. est.

profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.

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