Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41613 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 41613 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HASANEYNI FARIBA N. IL 10/04/1963
HASSANINI FARROCK N. IL 08/03/1964
avverso la sentenza n. 4169/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
18/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
4Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ‘i l . co
che ha concluso per I’ 0,,,k
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Data Udienza: 26/06/2014

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 18/01/2013, la Corte d’appello di Milano ha confermato la
decisione di primo grado che ha condannato alla pena di giustizia Fariba
Hasaneyni e Farrock Hassanini, nella rispettiva qualità di amministratrice unica
dal 01/01/2001 al 10/10/2003 e di liquidatore dal 10/10/2003 al 30/01/2006,
data del fallimento della Zeta Express s.r.I., avendoli ritenuti responsabili: 1) del
reato di cui all’art. 216, 223, comma terzo, I. fall., per avere eseguito svariati
pagamenti preferenziali (capo a); 2) del reato di cui all’art. 217, 224, comma

chiedere il fallimento della società, pur consapevoli della perdita del capitale
sociale sin dal 2000 (capo b); 3) del reato di cui all’art. 218, comma primo, I.
fall., per avere, dissimulando lo stato di insolvenza della società fallita, fatto
abusivo ricorso al credito, inducendo Unicredit Banca s.p.a. a concedere alla
medesima società un’apertura di credito sino all’importo di euro 50.000.000,
revocata in data 17/11/2003 (capo c).
2. Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione, affidato
ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale (art. 546, comma 1, lett. c., cod. proc. pen.) e conseguente nullità
delle sentenze di primo e di secondo grado, per carenza ed incompletezza
dell’imputazione di cui al capo a).
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta mancata assunzione di una prova
decisiva, in relazione all’assunzione della deposizione di un funzionario di
Unicredit Banca s.p.a.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali, con riferimento alla
sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato Hassanini, dal
momento che solo 30 dei 469 pagamenti preferenziali erano avvenuti durante la
liquidazione della società ed erano comunque ascrivibili, tenuto conto delle
conoscenze del liquidatore, all’esclusiva finalità di evitare il fallimento della
società.
2.4. Con il quarto motivo, concernente il capo b), si lamentano vizi motivazionali,
per non avere la Corte territoriale distinto la posizione degli imputati, in relazione
all’epoca del loro coinvolgimento nella vita della società e non avere considerato
che l’entità delle perdite di esercizio era assolutamente fisiologica.
2.5. Con il quinto motivo, si lamentano, con riferimento al capo c), vizi
motivazionali, per avere la Corte territoriale, in contrasto con le emergenze
istruttorie, attribuito all’Hassanini, il ruolo di amministratore di fatto.
Considerato in diritto

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quarto, I. fall., per avere aggravato il dissesto della società astenendosi dal

1. Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente per
la loro connessione logica, sono inammissibili.
La censura contenuta nel primo motivo, se si indirizza verso l’affermata
incompleta indicazione, nel capo di imputazione riportato nella decisione di primo
grado, dei pagamenti preferenziali eseguiti, è manifestamente infondata, in
quanto tra gli elementi essenziali la cui mancanza o incompletezza determina la
nullità della sentenza a norma dell’art. 546, terzo comma, cod. proc. pen., non è
previsto il capo di imputazione, posto che l’enunciazione dei fatti e delle

contenuto della decisione, tenendo conto delle sentenze di primo e secondo
grado, che si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed
inscindibile (v., da ultimo, Sez. 2, n. 5500 del 09/10/2013 – dep. 04/02/2014,
Cinel, Rv. 258197).
Essa è del pari inammissibile, per manifesta infondatezza, se, come in altro
luogo del primo motivo sembra emergere, si traduce nella doglianza di mancata
specificazione dei creditori che sarebbero stati pregiudicati da siffatti pagamenti,
essendo evidente che per il reato configurato dall’art. 216, comma terzo, I. fall.,
è indifferente l’identità dei singoli creditori, assumendo rilievo il pregiudizio
arrecato a tutti coloro che abbiano ragioni di credito nei confronti del soggetto
fallito.
Le superiori considerazioni rendono evidente l’inammissibilità del secondo
motivo, che prospetta la mancata assunzione di una prova destinata a
dimostrare la qualità di creditore di Banca Unicredit s.p.a., per l’assorbente
ragione che, come emerge dalla pag. 13 della sentenza impugnata, esiste una
pluralità di altri creditori ammessi al passivo.
2. Il terzo, il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente per la loro
stretta connessione logica, sono inammissibili, in quanto la responsabilità
dell’Hassanini è stata fondata dai giudici di merito sul suo ruolo di
amministratore di fatto, svolto per l’intero corso della vita della società e ritenuto
sussistente, con motivazione che non palesa alcuna manifesta illogicità, alla
stregua delle dichiarazioni del medesimo ricorrente e di un dipendente al
curatore nonché della deposizione del consulente del lavoro della società.
Le critiche del ricorrente trascurano del tutto il rilievo delle dichiarazioni del
dipendente e del professionista appena menzionato e si concentrano, in modo
del tutto aspecifico, su quanto riferito dal curatore, in ordine all’assenza di
riscontri documentali alle affermazioni del medesimo imputato, e sul fatto che sia
stata l’amministratrice di diritto, come naturale (non essendo immaginabile che
l’attività negoziale impegnativa della società fosse svolta da chi appariva

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circostanze ascritte all’imputato ben possono desumersi dal complessivo

formalmente ai terzi come un soggetto estraneo), a richiedere e ottenere
l’apertura di credito contestata.
Muovendo dall’effettivo ruolo gestionale assunto dall’Hassanini, perdono di rilievo
le considerazioni sull’entità dei pagamenti effettuati nel corso della liquidazione.
Peraltro, proprio l’esame delle dinamiche relative ai pagamenti e alla scelta dei
creditori da soddisfare ha indotto i giudici di merito, del tutto razionalmente, a
rilevare che la filosofia della gestione amministrativa si fondava sull’immediato
soddisfacimento dei creditori da cui dipendeva la prosecuzione dell’attività, a

presentava analogo carattere di immediata indispensabilità.
Anche questo profilo motivazionale viene dai ricorrenti investito con la mera
riproposizione della tesi difensiva secondo cui l’unico obiettivo era quello di
evitare il fallimento, laddove, dal punto di vista soggettivo, nel delitto di
bancarotta preferenziale, rileva l’atteggiamento psicologico del soggetto agente
rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso,
anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri.
(Sez. 5, n. 673 del 21/11/2013 – dep. 10/01/2014, Lippi, Rv. 257963).
Proprio il riconosciuto ruolo di amministratore di fatto dell’Hassanini rende
manifestamente infondata l’articolazione del quarto motivo, con la quale si
lamenta la mancata differenziazione dei periodi in cui i due imputati hanno svolto
le loro funzioni formali all’interno della società.
Va, infine, aggiunto che la doglianza relativa alla fisiologica entità delle perdite è
smentita dalle stesse valutazioni operate dall’assemblea che aveva approvato il
bilancio 2002 e aveva dato mandato all’amministratore di assumere le iniziative
di cui agli artt. 2446 e 2447 cod. civ., senza peraltro che a tale decisione
conseguisse alcuna ricapitalizzazione della società.
3.

I ricorsi, in conclusione, vanno dichiarati inammissibili e tale situazione,

implicando il mancato perfezionamento del rapporto processuale, cristallizza in
via definitiva la sentenza impugnata, precludendo in radice la possibilità di
rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta, come nella
specie, successivamente alla pronuncia in grado di appello (cfr., tra le altre, Sez.
U, n. 21 dell’11/11/1994, Cresci, Rv. 199903; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011,
Morra, Rv. 250328, in motivazione).
4. Alla pronuncia di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro
1.000,00.
P.Q.M.
3

discapito degli altri, ancorché muniti di privilegio, la cui tacitazione non

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende €1=ky~2=U16=ististf=2:EC3
Così deciso in Roma il 26/06/2014

Il Presidente

Il Componente estensore

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