Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4161 del 18/09/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4161 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PELLICCIOTTA SALVATORE N. IL 15/07/1947
avverso la sentenza n. 748/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
15/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/09/2014 la re zione fatta dal
Consigliere Dott. SILVANA DE BERARDINIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott
che ha concluso per

A,

a

Udito, per la parte civile, l’Avv Lu i 6,k
Udit i difensor Avv.

D\ A uss_isr/DQ-43

Data Udienza: 18/09/2014

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 15.4.13 la Corte di Appello di L’Aquila riformava parzialmente la
sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Lanciano-Sez.di Atessa in data 23-713,che aveva dichiarato PELLICCIOTTA Salvatore responsabile del reato di cui all’art.610
CP.(per avere bloccato l’uscita di un’area di parcheggio con trattore agricolo,costringendo
Labate Giuseppe e Labate Vitale a non potersi allontanare,con i loro veicoli,e,minacciando di

(fatti acc.in data 7.4.07)La Corte di Appello aveva disatteso le censure difensive,tendenti ad escludere l’illiceità della
condotta ovvero alla riqualificazione della stessa nell’ipotesi prevista dall’art.393 CP.,ed aveva
ridotto la pena a mesi tre di reclusione,confermando le disposizioni civili,di condanna
dell’imputato al risarcimento dei danni ,liquidati per ciascuna parte civile in euro 1.000,00-

Proponeva ricorso per cassazione il difensore,deducendo:
1-inosservanza delle norme processuali,per violazione degli art.516-517-520 CPP
Deduceva al riguardo che la Corte di Appello aveva giudicato l’imputato,estendendo
l’imputazione ex art.610 CP alla condotta di minaccia nei riguardi di D’Onofrio Katia,non inclusa
nella contestazione .
-2-inosservanza della legge penale,in ordine alla applicazione dell’art.610 CPIn riferimento al reato ascritto,osservava che il giudice di appello aveva omesso di valutare il
comportamento arrogante palesato dalle persone offese,avendo i Labate acquistato i beni
immobili oggetto di procedura fallimentare a carico dell’imputato.
A riguardo evidenziava che gli acquirenti avevano apposto una recinzione in loco che impediva
di raggiungere il magazzino retrostante ed una strada limitrofa di proprietà della famiglia
Pellicciotta,realizzando coattivamente una servitù di passaggio.
Nelle more del giudizio di appello era stata emessa sentenza nella causa civile pendente tra le
parti, prodotta dalla difesa,che lamentava la mancata valutazione di tale documentazione a
favore dell’imputato.
Negava in tal senso che ricorressero gli elementi costitutivi del reato,rilevando che l’imputato
aveva agito nell’intento di esercitare un diritto,onde avrebbe potuto trovare applicazione
l’ipotesi di cui all’art.393 CP.3-vizi di motivazione(per avere ritenuto irrilevanti le risultanze addotte dalla difesa in
riferimento al diritto dell’imputato di impedire il passaggio delle persone offese nella strada di
proprietà.)Per tali motivi concludeva chiedendo l’annullamento dell’impugnata sentenza.

uccidere D’Onofrio Katia,aveva impedito alla predetta di uscire da casa per chiedere aiuto)-

RILEVA IN DIRITTO

Il ricorso risulta privo di fondamento.
Il primo motivo risulta articolato senza tener conto che la condotta oggetto di imputazione
risulta contestata ai sensi dell’art.610 CP.riferendosi alla attività dell’imputato tesa ad impedire
alle persone offese (indicate come Labate Giuseppe e Labate Vitale)l’allontanamento dai luoghi
in cui si trovavano.
Nella motivazione della sentenza non vi è riferimento alla minaccia subita dalla D’Onofrio,né

contestazione.In tal senso il motivo di gravame risulta privo di rilevanza.
-Per quanto riguarda la censura di erronea applicazione della legge penale,si osserva che
secondo le modalità del fatto ritenute in sentenza deve ritenersi sussistente la fattispecie di
violenza privata,atteso che risulta utilizzato dall’imputato un veicolo collocandolo in modo
idoneo a precludere l’allontanamento delle persone offese .
Tale condotta vale ad integrare l’ipotesi di reato di cui si tratta,alla stregua del dettato
giurisprudenziale,secondo il quale >in tema di violenza privata il requisito della violenza,ai fini
della configurabilità del delitto ,si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente
della libertà di determinazione e di azione l’offeso,il quale sia pertanto costretto a fare,tollerare
o omettere qualcosa contro la propria volontà(in tal senso si è ritenuta sussistente la violenza
privata nell’ipotesi di colui che aveva intenzionalmente parcheggiato la propria vettura dietro
quella della parte lesa così impedendole di muoversi(Cass.Sez.V-11.11.2005,n.40983RV232459)Pertanto la qualificazione giuridica del fatto risulta conforme ai principi sanciti da questa
Corte(evidenziati anche in sentenza,ove cita Sez.V,n.603 del 18.11.2011)Devono ritenersi infondati i rilievi inerenti alla sussistenza di ipotesi prevista dall’art.393 CP
,evidenziandosi che la condotta realizzata dall’imputato secondo le modalità descritte in
sentenza,esula dalla predetta fattispecie secondo i canoni giurisprudenziali enunciati da questa
Corte,dei quali il giudice di appello ha tenuto conto nella motivazione,ove annovera sentenza di
questa Corte,Sez.V,del 26/10/2006,n.38820 e Sez.V,n.603 del 18/11/2011,per sostenere
l’applicazione dell’art.610 CP .
Sul punto si deve infatti rilevare quanto stabilito con sentenza Sez.VI del 24.10.2007,n.39366RV238038-per cui >il delitto di cui all’art.393 CP.si traduce nella indebita attribuzione a se
stesso ,da parte del privato,di poteri e facoltà spettanti esclusivamente al giudice,e l’agente
deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa
gli competa effettivamente e giuridicamente in toto.Ne consegue che non ricorre il suddetto
reato
quando si tratti di una pretesa illegittima in tutto o “in parte”.
Nella specie deve dunque rilevarsi che il giudice di merito ha correttamente escluso
l’applicazione dell’art.393 CP.,restando evidente il superamento da parte del soggetto agente

emerge che la difesa abbia eccepito in grado di appello l’erronea estensione della

dei limiti relativi all’esercizio del preteso diritto(e sul punto deve ritenersi pertanto ininfluente il
riferimento difensivo alla esistenza di una controversia civile tra le parti),restando a carico
dell’imputato l’accertamento della condotta realizzata con violenza per precludere alle persone
offese la libertà di movimento in un’area di interesse comune.
In conclusione si osserva che il provvedimento impugnato deve ritenersi esaustivamente
motivato ,in riferimento alle tematiche proposte dalla difesa appellante,e risulta esente dai
richiamati vizi di legittimità,sia in ordine alla correlazione tra il fatto addebitato e quello
contestato,sia in ordine alla corretta applicazione della legge penale.

pagamento delle spese processuali ,nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle
costituite parti civili,che si liquidano in complessivi euro duemila,oltre accessori di legge.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione
delle spese in favore delle costituite parti civili che liquida in complessivi €2.000,00,oltre
accessori di legge.

Roma,deciso il 18 settembre 2014.

Il onsigliere relatore

Va dunque pronunziato il rigetto del ricorso,a cui consegue la condanna del ricorrente al

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