Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41601 del 11/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 41601 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DESOGUS SALVATORE N. IL 26/05/1982
avverso la sentenza n. 1242/2011 CORTE APPELLO di CAGLIARI,
del 13/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. c Rh i Ne slilelLE-,
che ha concluso per 2( 4,; ac,cpo aue
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Data Udienza: 11/07/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 13/3/2013 la Corte d’Appello di Cagliari confermava la
sentenza con la quale, in data 28/6/2011, il G.I.P. del Tribunale della stessa città
aveva dichiarato Desogus Salvatore colpevole dei reati in materia di armi e
stupefacenti a lui ascritti ai capi A), B), C), D), E), F), G), H), I), L), M), N), O),
R), T), e, concesse le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata
recidiva, lo aveva condannato alla pena di anni 7 di reclusione ed euro 30.000 di

stupefacenti di tipo diverso (cocaina, hashish e marijuana): 7 anni ed C 30.000
di multa, calcolata «tenuto conto della gravità della condotta complessiva e del

pessimo profilo criminale»; aumentata per la continuazione a 10 anni 6 mesi di
reclusione ed C 45.000,00 di multa; ridotta quindi per il rito abbreviato.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Desogus, per mezzo del
proprio difensore, deducendo vizio di motivazione con riferimento al mancato
riconoscimento dell’ipotesi lieve ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
Rileva che in modo illogico la Corte d’appello ha giustificato la propria
decisione sul punto facendo riferimento alla presunta disponibilità di quantitativi
tutt’altro che modesti di sostanze stupefacenti, a sua volta desunta da alcune
conversazioni e dal numero dei clienti che all’imputato facevano costantemente
riferimento, omettendo invece di considerare il dato fattuale incontestato
secondo cui le singole cessioni di cui ai reati ascritti non eccedevano il modesto
quantitativo di uno o due grammi per volta

Considerato in diritto

3. L’unico motivo posto a fondamento del ricorso si appalesa inammissibile
per difetto di specificità e, comunque, perché manifestamente infondato.
I giudici di merito, invero, con valutazioni pienamente conformi sul punto,
giustificano ampiamente l’espresso convincimento della impossibilità di ascrivere
le accertate plurime condotte delittuose in materia di stupefacenti all’ipotesi lieve
di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, sulla scorta di considerazioni che
trascendono il solo dato ponderale e rendono pertanto irrilevante quello
registrato nei singoli episodi di spaccio.
Il primo giudice in particolare attribuisce al riguardo rilievo alla «abitualità

con cui l’imputato ed i suoi corre! trafficavano sullo stupefacente», alla «costante
disponibilità della sostanza», all’«ampio spazio temporale nel quale si inseriscono
le singole condotte criminose», elementi tutti ritenuti tali da escludere che si sia
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multa, così calcolata: pena base per il più grave reato di detenzione e spaccio di

in presenza di una minima offensività penale: «ragione per la quale – egli rileva
testualmente – anche se le transazioni, isolatamente considerate, erano spesso

connotate da cessioni di modesta entità, anche sotto il profilo qualitativo, la
complessiva attività di narcotraffico non consente l’inquadramento della
fattispecie nel fatto lieve di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90».
Nel confermare tale valutazione, la Corte d’appello fa anche menzione dei

«quantitativi, tutt’altro che modesti, ai quali, anche se con linguaggio simulato,
si fa riferimento» nelle conversazioni captate, nonché dei «numerosi clienti che

Il ricorrente non si confronta appieno con tali motivazioni e, segnatamente,
con i vari elementi valorizzati, tutti certamente riconducibili ai parametri
normativi cui riferire la valutazione in questione.
Egli invero si limita a dedurre la compatibilità dei singoli fatti accertati con
l’ipotesi lieve, in particolare con riferimento al dato ponderale spesso rilevato ad
oggetto degli episodi contestati, trascurando gli altri elementi sopra indicati
ovvero postulandone, in modo del tutto assertivo e non argomentato, una
valenza necessariamente recessiva rispetto a questi ultimi.
Giova in proposito rammentare che, invece, secondo consolidato indirizzo di
questa S.C., l’ipotesi della lieve entità del fatto può essere ravvisata solo in
ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato
quantitativo e qualitativo della sostanza stupefacente oggetto di reato, sia dagli
altri parametri richiamati dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5
(mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, quando
anche uno soltanto di tali indici risulti «negativamente assorbente», si rende
trascurabile l’eventuale presenza degli altri indici ed ogni altra inferenza diviene
ultronea ai fini della decisione sull’attenuante speciale (v., Sez. U, n. 35737 del
24/06/2010 – dep. 05/10/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911; v. anche
successive conf., ex aliis, Sez. 4, n. 43399 del 12/11/2010 – dep. 07/12/2010,
Serrapede, Rv. 248947; Sez. 4, n. 6732 del 22/12/2011 – dep. 20/02/2012, P.G.
in proc. Sabatino, Rv. 251942; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013 – dep.
26/09/2013, Tayb, Rv. 256610).
La valutazione operata dai giudici del merito, valorizzando gli indici di una
sistematicità della condotta e di una costante disponibilità della sostanza,
esprime un apprezzamento che appare pienamente conforme al quadro
complessivo dei parametri tracciati dalla norma e dalla richiamata giurisprudenza
e resiste, pertanto, alle generiche censure del ricorrente.

4. Mette conto a questo punto rilevare, con riferimento ai numerosi delitti di
detenzione e spaccio di stupefacenti ritenuti in sentenza, che, essendo stato
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all’imputato facevano riferimento per la fornitura della sostanza».

ciascuno di essi unitariamente considerato come riferito a stupefacenti di vario
tipo (cocaina, hashish e marijuana), senza dunque distinguere tra droghe
leggere e droghe pesanti, non è possibile valutare nella fattispecie l’incidenza
della declaratoria di illegittimità costituzionale (pronunciata, come noto, nelle
more del presente giudizio, con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12
– 25 febbraio 2014) del comma 1 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,
come sostituito dall’art. 4 bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2005, n. 272,

convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, sulla cui base

rilevanza nel presente procedimento, dal momento che il trattamento
sanzionatorio in concreto applicato, proprio per effetto della mancata distinzione,
nell’ambito del medesimo episodio, di diversi reati – uno riferito alla droga
pesante, l’altro alla droga leggera

risulta in ogni caso più favorevole rispetto a

quello previsto dalla disciplina tornata in vigore per effetto di tale declaratoria.
Ed infatti, mentre la norma dichiarata incostituzionale uniformava il
trattamento sanzionatorio relativo alle ipotesi di reato concernenti le c.d. droghe
leggere con quelle riferite alle c.d. droghe pesanti

con la conseguenza che

correttamente il primo giudice, facendo di essa applicazione, non ha distinto le
detenzioni delle due sostanze, in quanto la detenzione era considerata unica e
non si applicava la continuazione interna (in tal senso giurisprudenza costante,
cui si è evidentemente uniformato il giudice a quo: v. Sez. 4, n. 42485 del
17/07/2009 – dep. 05/11/2009, Manganiello, Rv. 245458; Sez. 4, n. 37993 del
09/07/2008 – dep. 03/10/2008, Isoni, Rv. 241060; Sez. 6, n. 34789 del
21/04/2008 – dep. 08/09/2008, Castioni e altro, Rv. 241375; Sez. 6, n. 1735 del
20/12/2007 – dep. 14/01/2008, Tawali ed altro, Rv. 238391) – l’art. 73 del
d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo risultante dalla modifica apportata,
anteriormente alla norma dichiarata incostituzionale, dall’art. 14, comma 1,
legge 26 giugno 1990, n. 162, distingueva, invece, nettamente, ai fini del
trattamento sanzionatorio, tra droghe pesanti e droghe leggere, prevedendo per
i fatti che avevano ad oggetto le prime, la pena della reclusione da otto a venti
anni e della multa da C 25.822,00 a C 258.228,00 (art. 73, comma 1) e per
le seconde, la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da C
5.164,00 a C 77.468,00 (art. 73, comma 4): il che imponeva, per la
giurisprudenza formatasi nel vigore di tale previgente disciplina, nel caso di fatti
relativi a droghe di diverso tipo, di ritenere integrate due autonome ipotesi di
reato, tra le quali era possibile ravvisare la continuazione, trattandosi di distinte
azioni tipiche a diversa

oggettività giuridica, con differente trattamento

sanzionatorio, non alternative tra loro né

inquadrabili in un rapporto di

assorbimento tra un maius (assorbente) ed un minus
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(assorbito), come

è stato determinato il trattamento sanzionatorio; anzi, se ne può escludere una

potrebbe essere tra trasporto e detenzione o tra importazione e detenzione (v.
Sez. 6, n. 35637 del 16/04/2003 – dep. 17/09/2003, Poppi, Rv. 226649; Sez. 4,
n. 3208 del 21/02/1997 – dep. 07/04/1997, Buttazzo, Rv. 207879).
Secondo tale ultima disciplina, dunque, in presenza di fattispecie non lievi
relative a entrambe le dette tipologie di stupefacenti, occorre comunque
distinguere, peraltro all’interno di ciascuno degli episodi contestati, tra reati
relativi a droghe pesanti e reati relativi a droghe leggere, derivandone la
necessità di applicare la pena minima edittale di anni otto in relazione ai primi,

calcolare anche l’aumento per la continuazione con gli altri reati.
Ne discende, con ogni evidenza, che l’applicazione della legge ora vigente
(perché tornata in vigore, come detto, per effetto della detta declaratoria di
incostituzionalità), sarebbe comunque peggiorativa, in fatto, rispetto a quella
applicata dal primo giudice, la quale, pertanto, non si espone ad alcun possibile
rilievo officioso di illegalità in questa sede (ancorché, ripetesi, si tratti di
disciplina dichiarata incostituzionale).
Ciò non soltanto perché tale rilievo non potrebbe comunque mai operare in
malam partem in mancanza di impugnazione da parte del P.M., per il divieto di
reformatio in peius (v. ex aliis Sez. 6, n. 49858 del 20/11/2013, G., Rv. 257672;
Sez. 5, n. 771 del 15/02/2000, P.M. in proc. Bosco, Rv. 215727), ma prima
ancora perché la norma dichiarata incostituzionale (ossia, per quanto in questa
sede interessa, l’art. 73, comma 1, d.P.R. cit. nel testo introdotto dal citato art.
4-bis d.l. n. 272/2005, conv. con modif. dalla legge 49/2006), nonostante la
detta pronuncia di incostituzionalità, ben può continuare a trovare applicazione
per i fatti commessi sotto la sua vigenza (non anche invece per quelli anteriori:
v. in tal senso Corte cost. n. 394 del 23/11/2006; nonché Sez. 4, n. 13903 del
28/02/2014 – dep. 24/03/2014, Spampinato, non mass.), ove la sua
applicazione in concreto possa – come nel caso di specie – condurre a un
trattamento più favorevole per l’imputato: ciò per il principio inderogabile della
irretroattività delle legge penale meno favorevole.

5. Ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso va pertanto
dichiarato inammissibile.
Ne discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo evidente che egli ha
proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte
cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa
– della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di
sanzione pecuniaria.
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tra i quali, dunque, dovrebbe individuarsi il reato più grave, sulla cui pena

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso 1’11/7/2014

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