Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4159 del 22/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4159 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AVELLA DANIELE N. IL 22/06/1968
avverso la sentenza n. 1992/2009 CORTE APPELLO di SALERNO, del
28/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

Data Udienza: 22/10/2013

utA

Con sentenza in data 28 gennaio 2013 la Corte di appello di Salerno riformava la sentenza
emessa il 16 aprile 2009 dal Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Cava dei Tirreni, con la
quale Avella Daniele era stato dichiarato colpevole del reato di tentata rapina, commesso in Cava
dei Tirreni 111 agosto 2005, ed era stato condannato alla pena di anni due, mesi quattro di
reclusione ed euro 360,00 di multa. La Corte territoriale riduceva la pena ad anni uno, mesi otto di
reclusione ed euro 300,00 di multa.
Con il ricorso si deduce la violazione di legge per carenza di motivazione ed erronea applicazione
della legge penale in relazione “all’art.581, 582, 624 e 610 c.p.” in quanto il giudice di merito aveva
disatteso la richiesta derubricazione del fatto con motivazione esclusivamente per relationem
sottovalutando gli elementi che avrebbero consentito di qualificare il fatto, contestato a titolo di
rapina impropria, come percosse o lesioni personali o, al più, come concorso di tentativo di furto e
violenza privata, non essendo la condotta violenta dell’imputato (successiva alla richiesta di
consegna dei telefoni cellulari) finalizzata né all’assicurazione del profitto né al conseguimento
dell’impunità.
Il ricorso è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito che nel caso in esame ha legittimamente giustificato la
conferma della sentenza di primo grado in punto di qualificazione giuridica basandosi sulla
ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado desunta dalle dichiarazioni delle persone
offese circa le condotte minacciose e violente poste in essere in concomitanza e contestualmente
(poco prima e poco dopo) alla perentoria richiesta dell’imputato di consegnare i telefoni cellulari,
condotte consistenti nel simulare la detenzione di un’arma nella tasca e nello sferrare un calcio al
petto di una delle persone offese. Le conclusioni del giudice di merito risultano quindi
congruamente giustificate, attraverso una valutazione dei fatti sorretta da validi elementi
dimostrativi e nel complesso esauriente e plausibile,. Esula peraltro dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).
Quanto alla sussistenza degli estremi di reati diversi dalla rapina impropria, le doglianze
difensive sono del tutto generiche e contrastano con la dettagliata ricostruzione dei fatti,
insindacabile in questa sede perché attinente esclusivamente al merito, che ha indotto la Corte
territoriale ad escludere la fondatezza dei relativi motivi di appello sulla base di argomentazioni

Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

giuridicamente corrette.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P. Q. M.
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013
il cons. est.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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