Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4159 del 18/09/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4159 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LUCIANETTI PIETRO N. IL 02/01/1971
LUCIANETTI PASQUALINO N. IL 28/05/1944
avverso la sentenza n. 1338/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 07/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/09/2014 la relazione fatta dal
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Data Udienza: 18/09/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per
l’inammissibilità dei ricorsi;
udito il difensore dei ricorrenti, avv. Orazio La Bianca in sostituzione
dell’avv. Antonio Di Gaspare, che si è riportato ai ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7.12.2012 la Corte d’Appello dell’Aquila, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Teramo del 13.1.2011 –

amministratori di fatto della società F.D.L. s.r.I., dichiarata fallita con
sentenza del 27.6.2005, erano stati ritenuti responsabili del delitto di
bancarotta fraudolenta di cui all’art. 216/1 n. 1 del R.D. n. 267/42 per
l’avvenuta distrazione delle somme dell’importo complessivo di euro
50.200,00 (fittiziamente registrate quali pagamenti in favore degli
amministratori Mazzetta e Fusi, in realtà mai corrisposte a questi ultimi)
e di euro 25.000,00 (fittiziamente registrata quale versamento INPS)
alla pena, riconosciute le generiche, di anni due di reclusione con pene
accessorie -concedeva ad entrambi gli imputati l’attenuante di cui
all’art. 219, ultimo comma, L. Fall., rideterminando la pena in anni uno
e mesi quattro di reclusione.
Osservava la Corte di merito che la circostanza che i due
amministratori di diritto, succedutisi dall’ottobre 2003 all’aprile 2004,
fossero delle teste di legno e che l’amministrazione fosse sempre
rimasta nelle mani dei Lucianetti emergeva dalle convergenti
dichiarazioni proprio dei due amministratori di diritto Mazzetta e Fusi, i
quali, avevano spiegato con dovizia di particolari che essi erano stati
contattati da Lucianetti Pietro, il quale aveva proposto loro di accettare
la carica, cui non seguiva, però, mai alcuna concreta attività gestoria.
2. Avverso tale sentenza Lucianetti Pietro ha proposto ricorso per
cassazione, con il quale ha dedotto:

vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. c) c.p.p., avendo la

Corte territoriale aderito acriticamente alla sentenza di primo grado,
ponendo a fondamento della propria decisione una prova inutilizzabile,
non considerando il comportamento processualmente ineccepibile
dell’imputato;
– la contraddittorietà della motivazione, laddove, pur essendo stato
riconosciuto il marginale pregiudizio dei creditori e ridotta la pena, è
stata, comunque, riconosciuta la responsabilità dell’imputato;

1

con la quale Lucianetti Pietro e Lucianetti Pasqualino, quali

- l’erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606,
primo comma, lett. b) c.p.p., essendo totalmente carente l’elemento
soggettivo del dolo, potendo al più configurarsi la colpa e la norma penale
violata al più quella di cui all’art. 217 L.Fall., con conseguente avvenuta
prescrizione di tale reato;
– il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p., atteso che il
giudice d’appello ha mutuato l’iter argomentativo del Tribunale senza
effettuare proprie valutazioni; in particolare, dagli atti processuali emerge

fatto.
3. Ha proposto ricorso altresì Lucianetti Pasqualino, per il tramite del
suo difensore, affidato a quattro motivi, con i quali lamenta:
-con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata per errore
nell’individuazione dei soggetti imputati e delle rispettive posizioni
processuali, attribuendo la qualifica di amministratore di fatto al
ricorrente, dal dicembre 2003 all’ottobre 2004, atteso che il giudice
d’appello non ha distinto le posizioni degli imputati e ne ha accomunato la
responsabilità, senza nulla specificare con riguardo a Lucianetti
Pasqualino; in particolare, egli non ha avuto contatti con il Mazzetta ed il
Fusi, i quali hanno riferito di averlo, forse, incontrato una volta, né ha
avuto la disponibilità delle somme prelevate dal Mazzetta dai conti delle
società;
-con il secondo motivo, l’erronea applicazione della legge penale
con riferimento al combinato disposto di cui agli artt. 216 e 217 L.Fall.,
atteso che non può essere configurato a carico del ricorrente il delitto di
bancarotta per distrazione, non essendo state peraltro accertate le
modalità della distrazione; invece, numerosi pagamenti ai debitori della
società sono stati effettuati dal ricorrente sebbene non contabilizzati;
l’unica condotta che può essere addebitata al ricorrente è quella di essersi
affidato a soggetti quali il Totaro, il Mazzetta ed il Fusi che avrebbero
dovuto condurre la società,

omettendo di occuparsi dei conti per

problematiche familiari; il fallimento, pertanto, non può essere ricondotto
direttamente all’operato di Lucianetti Pasqualino, se non nelle ipotesi di
condotte manifestamente imprudenti di cui all’art. 217 L.Fall.;
– con il terzo motivo, l’illogica ed omessa motivazione e la violazione
degli artt. 40 e 43 c.p., per insussistenza dell’elemento soggettivo del
reato, atteso che non emerge dagli atti la volontà del ricorrente di ledere
l’interesse dei creditori sociali; egli si è preoccupato di risanare i debiti

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che il prestanome ha compiuto le azioni illecite e non l’amministratore di

della società anche dopo l’intervenuto fallimento e di ciò la Corte
territoriale non ha fatto menzione;
-con il quarto motivo, l’omessa motivazione in merito alla mancata
applicazione dell’indulto, non essendovi incompatibilità logico giuridica
tra tale istituto e la sospensione condizionale della pena e tali istituti
dovevano essere applicati entrambi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di entrambi gli imputati sono inammissibili siccome

1. In merito al ricorso di Lucianetti Pietro deve osservarsi in linea
generale come esso si fondi su motivi per la maggior parte generici, in
violazione della regola dettata dell’art. 581 c.p.p., lett. c), valevole anche
per il ricorso in Cassazione, secondo cui nel relativo atto devono essere
enunciati, tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; la
violazione di tale regola, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c),
determina appunto l’inammissibilità dell’impugnazione stessa (cfr. Cass.,
sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, Arruzzoli e altri, rv. 242129; Cass., sez. 6,
21.12.2000, n. 8596, Rappo e altro, rv. 219087). Nè il ricorso per
Cassazione, può limitarsi a fare riferimento per relationem ai motivi
proposti con l’atto di appello ( Sez. V, n.35249 del 03/04/2013).
1.1. Ed invero, per quanto concerne la deduzione circa l’avvenuta
acritica adesione da parte della Corte territoriale alla sentenza di primo
grado e l’aver posto a fondamento della propria decisione “una prova
inutilizzabile”, tale doglianza, oltre ad essere del tutto generica, non
sviluppando peraltro in alcun modo le ragioni della dedotta
inutilizzabilità, risulta smentita dal compiuto iter motivazionale della
sentenza d’appello, che ha indicato, senza incorrere nel vizio denunciato,
gli elementi di responsabilità a carico del ricorrente desumibili, oltre dalle
dichiarazioni degli amministratori di diritto, Mazzetta e Fusi, dai riscontri
anche di carattere logico a tali dichiarazioni.
1.2. La doglianza, poi, relativa al riconoscimento da parte del giudice
di appello del marginale pregiudizio dei creditori e non, invece, della
esclusione di responsabilità è manifestamente infondata, atteso che il
danno patrimoniale di speciale tenuità presuppone proprio la sussistenza
della responsabilità produttiva del danno.
1.3.Manifestamente infondata si presenta, poi, la deduzione circa la
ricorrenza del vizio di violazione di legge per carenza dell’elemento
soggettivo, ossia del dolo. Ed invero, la Corte territoriale ha dato

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manifestamente infondati, oltre che generici.

ampiamente conto degli elementi di responsabilità a carico dell’imputato e
segnatamente del fatto che fu l’imputato ad avvicinare il Mazzetta e ad
affidargli fittiziamente l’amministrazione della società, pattuendo con lui
per tale incarico la somma di € 250,00, incarico fittizio questo che non
prevedeva alcun incombente gestorio, men che mai quello di prelevare
denaro dalla cassa, ma solo quello di recarsi in banca, su disposizione di
Lucianetti Pietro, prelevando le somme indicate da quest’ultimo e tali
elementi -che hanno trovato nelle dichiarazioni dei vari testi escussi

importi oggetto di contestazione contabilmente indicati come versati agli
amministratori di diritto e all’Inps in contanti non sono stati
effettivamente versati, depongono per la ricorrenza, oltre che
dell’elemento materiale, anche di quello psicologico, del reato in
contestazione e del tutto inconferente si presenta il richiamo all’art. 217
L.Fall. ed alla configurabilità dello stesso. D’altra parte, il delitto di
bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico
per la cui sussistenza, non è necessario che l’agente abbia
consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito
allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. V, 14/12/2012, n. 3229).
1.4.In merito al quarto motivo di ricorso, ripetitiva si presenta la
doglianza relativa al richiamo all’iter argomentativo del primo giudice da
parte della Corte territoriale ed in merito ad essa si rimanda a quanto già
evidenziato sub 1, laddove con riguardo alla deduzione, secondo cui il
prestanome ha compiuto le azioni illecite e non l’amministratore di fatto,
si osserva che essa non si confronta in alcun modo con quanto
evidenziato dai giudici di merito, circa la sostanziale inattività degli
amministratori di diritto, rispetto a quelli di fatto che compivano essi,
invece, l’attività gestoria.
2. Manifestamente infondato si presentai, altresì, il ricorso di Lucianetti
Pasqualino.
2.1. La deduzione svolta con il primo motivo di ricorso, secondo cui
nella sentenza impugnata non si ricaverebbero gli elementi di
responsabilità a carico dell’imputato, confondendo la posizione di
Lucianetti Pasqualino con quella di Lucianetti Pietro, trova smentita nella
chiara motivazione della sentenza impugnata che espressamente dà conto
degli specifici elementi di responsabilità a carico dell’imputato, ricavabili
peraltro dalle dichiarazioni dei dipendenti della società che hanno indicato
il ricorrente come colui che dava loro le direttive ed effettuava il
pagamento degli stipendi, venendo sostituito da Pietro a seguito
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significativi riscontri -valutati in uno alla circostanza che appunto gli

dell’insorgenza della malattia della figlia; Lucianetti Pasqualino in
particolare all’atto della cessione dell’azienda al Mazzetta veniva indicato
al personale come colui a cui rivolgersi “in quanto le mansioni erano
rimaste a lui”.
2.2. Del pari manifestamente infondato si presenta il secondo motivo
di ricorso, atteso che la sentenza impugnata indica senza incorrere nel
vizio denunciato gli elementi in base ai quali si configurano le condotte
distrattive e segnatamente le emergenze dei registri contabili che

a titolo di compensi, laddove le somme effettivamente loro corrisposte
ammontano a circa € 10.000,00, secondo quanto affermato dal Mazzetta
e dal Fusi. Inoltre, per quanto concerne la distrazione dell’importo di €
25.000,00, essa è stata ricavata dalla indicazione dell’avvenuto
prelevamento per cassa di tale importo per la sistemazione del conto
INPS, laddove sotto il profilo logico tale indicazione è stata ritenuta non
praticabile, atteso che i versamenti in favore dell’ente previdenziale
potevano avvenire per tali importi, in ossequio alla normativa
antiriciclaggio, solo con bonifici.
2.3. Per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato vanno
richiamati i principi già enunciati con riferimento al ricorso del coimputato
Lucianetti Pietro, evidenziando, altresì, che l’oggetto del dolo dei reati di
bancarotta fraudolenta patrimoniale non include la prospettiva del
dissesto, essendo tale oggetto limitato alla consapevolezza di dare a beni
della fallita una destinazione diversa da quella dovuta secondo la
funzionalità dell’impresa, privando quest’ultima di risorse e di garanzie
per i creditori (Sez. V, 23/04/2013, n. 28514).
2.4. Manifestamente infondato si presenta, infine, il quarto motivo di
ricorso, circa la mancata applicazione dell’indulto, in virtù della disposta
sospensione condizionale della pena. Basta richiamare in proposito i
principi espressi da questa Corte, secondo i quali con la sentenza di
condanna, non può essere contestualmente applicato l’indulto e disposta
la sospensione condizionale della pena, in quanto quest’ultimo beneficio
prevale sul primo. Infatti, l’applicazione del beneficio della sospensione
condizionale realizza una “fattispecie a formazione progressiva”, che
determina l’effetto immediato del differimento dell’inizio dell’esecuzione
della pena e l’ulteriore effetto futuro ed eventuale dell’estinzione del
reato: effetti che, però, sono tra loro strettamente collegati e da subito
contemplati nonostante la loro diversa concreta operatività temporale.
Proprio tale meccanismo, con gli effetti che ne derivano, osta
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riportano il versamento agli amministratori di diritto di circa € 60.000,00

i
[

all’applicabilità dell’indulto, per la ragione che tale istituto può riguardare
solo pene suscettibili in concreto di esecuzione, tanto è vero che esso
viene a ripartirsi su tutte le pene cumulate (si veda art. 174 comma 2
c.p.), dopo che dal cumulo sono state escluse le pene già eseguite, quelle
estinte e quelle non eseguibili per qualsiasi causa: l’effetto sospensivo
dell’inizio dell’esecuzione della pena prodotto dalla sospensione
condizionale della pena è, quindi, inconciliabile con l’applicazione
dell’indulto, che risulterebbe non operativo perché avente ad oggetto una

15/07/2010, n. 36837).
3. Segue alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti dagli
imputati la condanna di ciascuno di essi al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma – ritenuta congrua – di Euro
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi i ricorrenti in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
p.q.m.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18.9.2014

pena in quel momento non suscettibile di esecuzione. (Sez. un.,

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