Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4156 del 22/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4156 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TARAZHI ALTIN N. IL 11/04/1979
avverso la sentenza n. 724/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
18/09/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

Data Udienza: 22/10/2013

Con sentenza in data 18 settembre 2012 la Corte di appello di Ancona confermava la
sentenza emessa il 16 febbraio 2012 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Fermo
con la quale Tarazhi Altin era stato dichiarato colpevole dei reati di rapina impropria, ricettazione,
lesioni personali, porto abusivo di una pistola, commessi in Porto S. Giorgio il 1° novembre 2011,
ed era stato condannato, ritenuta la continuazione, con le circostanze attenuanti generiche
prevalenti e con la diminuente per il rito abbreviato, alla pena di anni quattro, mesi due di
pubblici uffici.
Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.
Con il ricorso si deduce la violazione di legge “in relazione all’art.114 c.p.p. e agli artt.624 e 625
c.p.” e la mancanza di motivazione sul ruolo solo marginale del ricorrente, il quale doveva “tenere
il maltolto”, era fuggito in una direzione diversa da quella in cui si erano allontanati i complici,

soggetti più esperti, dei quali aveva indicati i nomi; si contesta, infme, la sussistenza degli estremi
della rapina impropria, dato il tempo trascorso tra la commissione dei furti in abitazione e il
successivo episodio di violenza contestato, e del reato di porto della pistola non essendo presenti
sull’arma le impronte papillari del ricorrente.
Il ricorso è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito che nel caso in esame ha giustificato il mancato
riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art.114 c.p. non solo ritenendo
motivatamente inattendibile la tesi difensiva della buona fede dell’imputato e del suo ruolo di palo
(il ricorrente era stato sorpreso a bordo dell’autovettura, di provenienza furtiva, utilizzata con i due
complici per sottrarsi all’inseguimento della Polizia; occupava il posto anteriore destro
nell’autovettura utilizzata per la fuga, nel cui vano portaoggetti della porta anteriore era stata
rinvenuta la pistola, ed era stato trovato in possesso di un marsupio contenente oggetti atti allo
scasso, parte della refurtiva e la chiave dell’autovettura Smart oggetto di una delle due contestate
ricettazioni), ma attribuendogli il ruolo di capo di una banda malavitosa ben organizzata e composta
da più elementi, specializzata in furti in abitazione. Le conclusioni del giudice di merito risultano
quindi congruamente giustificate, attraverso una valutazione dei fatti sorretta da validi elementi
dimostrativi e nel complesso esauriente e plausibile, e fondate sulla consolidata giurisprudenza di
legittimità secondo la quale l’art. 114 c.p. deve trovare applicazione solo laddove l’apporto del
correo risulti obbiettivamente così lieve da apparire, nell’ambito della relazione eziologica, quasi
trascurabile e del tutto marginale. Esula peraltro dai poteri della Corte di cassazione quello di una
“rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via

JJ

reclusione ed euro 3.000,00 di multa, con la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai

”;

esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone).
Quanto alla sussistenza degli estremi dei reati di rapina impropria e di porto della pistola, le
doglianze difensive sono del tutto generiche e contrastano con la dettagliata ricostruzione dei fatti,
insindacabile in questa sede perché attinente esclusivamente al merito, che ha indotto la Corte
giuridicamente corrette.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P. Q . M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013
il cons. est.

territoriale ad escludere la fondatezza dei relativi motivi di appello sulla base di argomentazioni

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