Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41554 del 07/07/2017

Penale Sent. Sez. 3 Num. 41554 Anno 2017
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.

avverso l’ordinanza del 14/11/2016 del Tribunale di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Piero Gaeta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14 novembre 2016 il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Genova ha dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza,
proposta da A.A., di revoca e/o annullamento ex tunc dell’ordinanza di
convalida del divieto di accesso a manifestazioni sportive, resa il 26 aprile 2010
nei riguardi del richiedente.
2. Avverso il provvedimento l’interessato ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione formulando un articolato motivo di impugnazione,
corredato da successiva memoria con motivi nuovi.

Data Udienza: 07/07/2017

2.1. In particolare, il ricorrente ha affermato di avere a suo tempo subito un
cd. Daspo, ormai esaurito nei suoi effetti; di averne richiesto la revoca stante
l’assoluzione nel merito della vicenda penale, e di avere interesse al
provvedimento in quanto nelle domande di partecipazione ai concorsi pubblici,
cui intendeva accedere, doveva essere specificata l’eventuale sottoposizione a
misure di prevenzione. Laddove vi sarebbe stata un’ingiusta disparità,
costituzionalmente rilevante, tra coloro che avevano richiesto la revoca della
misura allorché la stessa era in corso di esecuzione, rispetto a coloro i quali detta

i mpositivo.
Allo stesso tempo, ponendo mente ad una fattispecie analoga, la persona
soggetta ad ingiusta detenzione non subiva conseguenze pregiudizievoli e poteva
godere di indennizzo, laddove al contrario il soggetto sottoposto alla misura in
questione, qualora tale misura non avesse poi trovato conferma giudiziale,
doveva comunque scontare effetti negativi.
3. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,
assumendo l’irrilevanza di per sé dell’intervenuta assoluzione in sede penale, dal
momento che era demandato all’autorità amministrativa l’accertamento circa il
rilievo di comportamenti pericolosi per la sicurezza pubblica. Ed al riguardo non
sussisteva automatismo tra proscioglimento dal reato e revoca ex tunc della
misura.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso non è fondato.
4.1. L’odierna impugnazione trae il suo dichiarato interesse, in fatto, dalla
necessità del ricorrente di espungere, dai propri dati personali, il riferimento
all’avvenuto assoggettamento a misura di prevenzione, a fronte di una sentenza
penale di assoluzione perché il fatto non sussiste.
4.2. Al riguardo, il Procuratore generale ha correttamente evocato, nelle
proprie richieste, il principio in forza del quale il proscioglimento dai fatti-reato
che hanno determinato l’applicazione del divieto di accesso ai luoghi di
svolgimento di manifestazioni sportive (DASPO) non determina la automatica
decadenza del provvedimento, in quanto lo stesso non è basato
sull’accertamento giudiziale dei fatti presupposti e può essere revocato o
modificato, ai sensi dell’art. 6, comma quinto, legge 13 dicembre 1989, n. 401,
col venir meno o col mutamento delle condizioni che ne hanno giustificato
l’emissione (Sez. 3, n. 5623 del 08/07/2016, dep. 2017, Quadri, Rv. 269243).
Ed in proposito il ricorso replica invero un automatismo tra assoluzione e revoca
della misura a suo tempo disposta, che non è invece coerente col sistema.

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revoca avevano richiesto una volta esauriti gli effetti del provvedimento

4.3. Ciò posto, la Corte osserva in primo luogo che il legislatore ha inteso
comunque colmare una possibile lacuna laddove ha previsto, a seguito
dell’entrata in vigore del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119 e della legge di
conversione 17 ottobre 2014, n. 146, il nuovo comma 8-bis dell’art. 6 della legge
401 del 1989, il quale invero prevede che: “Decorsi almeno tre anni dalla

cessazione del divieto di cui al comma 1, l’interessato può chiedere la cessazione
degli ulteriori effetti pregiudizievoli derivanti dall’applicazione del medesimo
divieto. La cessazione è richiesta al questore che ha disposto il divieto o, nel

disposto l’ultimo di tali divieti ed è concessa se il soggetto ha dato prova
costante ed effettiva di buona condotta, anche in occasione di manifestazioni
sportive”. In tal modo, quindi, è stata comunque introdotta una misura volta a
premiare i percorsi rieducativi seguiti dai soggetti colpiti dal cd. Daspo che
dimostrano di essersi concretamente allontanati dal tifo violento, di fatto
prevedendo una misura riabilitativa idonea a nuovamente valutare il soggetto.
Sì che, per quanto possa rilevare, da un lato può egualmente sostenersi che
gli “ulteriori effetti pregiudizievoli” che possono essere eliminati, ed a suo tempo
derivanti dall’applicazione del decreto questorile, possono estendersi ad ogni
eventuale pregiudizio ricollegabile all’applicazione della misura di prevenzione; e
dall’altro che gli unici effetti pregiudizievoli, ricollegati al provvedimento e quindi
in seguito oggetto di eliminazione, siano quelli previsti dagli artt. 8 e 9 del
decreto legge n. 8 del 2007. In ogni caso, quindi, appaiono perdere consistenza
le osservazioni in proposito avanzate dal ricorrente ricollegate ai ragionevoli
interessi in fatto siccome prospettati, dal momento che comunque sono previsti
strumenti di ragionevole tutela della persona a suo tempo colpita da cd. Daspo,
anche in ragione della meritevolezza della condotta.
Oltre a ciò, sotto altro profilo, è stato osservato che ai fini dell’applicabilità
della misura di prevenzione “atipica” prevista dall’art. 6 legge 13 dicembre 1989,
n. 401, non è richiesta la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale
“intrinseca” del destinatario, in quanto detta misura si caratterizza per
l’applicabilità a categorie di persone che versino in situazioni sintomatiche della
loro pericolosità sociale (Sez. 3, n. 24338 del 15/04/2008, Capuano, Rv.
240532), ciò in quanto non è richiesta la formulazione di un giudizio di intrinseca
pericolosità del soggetto, ma soltanto l’accertamento che il medesimo risulti
denunciato o condannato per taluno dei reati indicati dal citato art. 6, comma 1,
ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in
occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero che egli abbia incitato,
inneggiato o indotto alla violenza: situazioni tutte queste ritenute dal legislatore
di per sé idonee a giustificare tanto il divieto di accesso ai luoghi interessati da

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caso in cui l’interessato sia stato destinatario di più divieti, al questore che ha

manifestazioni sportive quanto l’obbligo di presentazione ad un ufficio o comando
di polizia (cfr. anche Sez. 1, n. 9684 del 19/02/2004, Gallo, Rv. 227234).
Va quindi da sé che, per quanto possa rilevare anche in relazione ai
prospettati interessi in fatto esposti, la stessa equiparazione tra misure di
prevenzione in genere e misura di cui alla legge 401 cit. appare tutt’altro che
scontata, anche in considerazione dei rispettivi presupposti di applicazione.
In ogni caso, peraltro, lo stesso provvedimento impugnato non si è sottratto
alla verifica in concreto della possibile fondatezza della richiesta, traendo spunto

essendo stato chiamato a fare, stante lo stesso tenore della richiesta e
l’impostazione in diritto che lo stesso ricorrente ha proposto).
In proposito, infatti, da un lato il provvedimento impositivo del Questore a
suo tempo emesso, ed ormai esaurito, non risulta essere mai stato a suo tempo
oggetto di contestazione (né è stato revocato in dubbio nelle sedi competenti).
Dall’altro la sentenza della Corte territoriale, in ordine al proscioglimento
dell’odierno ricorrente dai reati nell’ambito dei quali era stato originariamente
disposto detto provvedimento, ha dato conto – non vi è contestazione al riguardo
– che l’assoluzione venne colà disposta stante la mancata verifica circa la
pericolosità dell’oggetto comunque lanciato dall’odierno ricorrente nei confronti
delle forze dell’ordine.
Al riguardo, proprio Sez. 1, n. 24939 del 18/02/2014, Salamone, Rv.
259796, invocata dal ricorrente, ha ricordato che, in ragione del più volte
ribadito principio dell’autonomia dei procedimenti (penale e di prevenzione), la
pronuncia assolutoria ed irrevocabile non comporta l’automatica esclusione della
pericolosità. Piuttosto, è, come sempre, alle circostanze oggettive di fatto che
occorre riportarsi al fine di valutare se, predicabili queste all’esito di un giudizio
penale, sia da applicare o meno una misura di prevenzione che si basi sulle
medesime circostanze e, del pari, sia revocabile o non un decreto applicativo di
misura che su di esse si basi. La revoca ex tunc della misura di prevenzione
personale presuppone, dunque, l’inconciliabilità tra le due valutazioni, quella
sulla responsabilità penale e quella sulla pericolosità sociale, che deve riguardare
«i fatti» risultanti dagli atti posti a fondamento delle due divergenti decisioni,
mentre non è in sé rilevante una valutazione degli stessi fatti operata in maniera
differente da parte di due giudici diversi.
In specie, quindi, correttamente il Procuratore generale ha escluso
l’automaticità tra proscioglimento e revoca della misura in questione; d’altronde,
quanto al merito ed assumendo una revocabilità ex tunc, il ricorrente ha invece
escluso che il Giudice ligure potesse rafforzare il proprio rigetto assumendo il
contenuto della sentenza di proscioglimento, invero ribadendo che il mero

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dal contenuto della sentenza assolutoria (e null’altro detto provvedimento

proscioglimento dalle accuse in sede penale era strumentale alla revoca della
misura, come da istanza presentata al Giudice genovese.
Al contrario, l’esame dei fatti siccome consacrati è stato comunque
correttamente operato, alla stregua dei principi richiamati, dal provvedimento
impugnato (a nulla in sé rilevando il contenuto dell’atto di appello colà proposto
dall’odierno interessato, formulando esso ovviamente una valutazione di parte);
dato tra l’altro l’ambito del giudizio, si presenta quindi ancor meno condivisibile
l’allegazione dell’originaria istanza, circa la correlazione automatica di

Né la Corte può essere chiamata ad accertamenti di fatto, che le sono
istituzionalmente preclusi.
Va quindi disatteso il ricorso avverso al provvedimento impugnato, sia pure
con le integrazioni motivazionali che precedono.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 07/07/2017

proscioglimento nel merito e revoca della misura.

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