Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4151 del 22/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4151 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TEANO LUIGI N. IL 23/01/1967
avverso la sentenza n. 2899/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
19/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

Data Udienza: 22/10/2013

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Con sentenza in data 19 ottobre 2012 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza
emessa il 13 febbraio 2012 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli con la
quale Teano Luigi era stato dichiarato colpevole del reato di tentata rapina impropria aggravata,
commesso in Napoli il 24 ottobre 2011, ed era stato condannato, con le circostanze attenuanti
generiche equivalenti alle aggravanti e alla recidiva e con la diminuente per il rito abbreviato, alla
pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 400,00 di multa.
Con il ricorso si deduce: 1) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione agli
artt.628 c.p. e 530 c.p.p. quanto alla ritenuta sussistenza del dolo di rapina, essendosi l’imputato
limitato ad entrare nella stanza di ospedale che credeva vuota, e dell’aggravante prevista dall’art.61
n.5 c.p. per essere la persona offesa una donna all’ottavo mese di gravidanza; 2) la violazione di
legge e il vizio della motivazione quanto al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo si tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla
ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva
competenza del giudice di merito che nel caso in esame ha legittimamente giustificato la conferma
della sentenza di primo grado basandosi sulla ricostruzione dei fatti della persona offesa secondo la
quale,korpreso l’imputato a rovistare dei cassetti del mobile della stanza di ospedale, era stata
minacciata con un ombrello dall’uomo che le aveva intimato di non urlare. Le conclusioni del
giudice di merito risultano quindi congruamente giustificate, attraverso una valutazione dei fatti
sorretta da validi elementi dimostrativi e nel complesso esauriente e plausibile. Esula peraltro dai
poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30-4- 1997 n. 6402, Dessimone). Quanto alla
ritenuta sussistenza dell’aggravante prevista dall’art.61 n.5 c.p., il giudice di merito ne ha fornito
razionale spiegazione evidenziando che la persona offesa era in stato di gravidanza all’ottavo mese
ed era ricoverata perché prossima al parto, quindi in condizione fisica debilitata e tale da non
consentirle alcuna difesa rispetto all’azione di spoliazione e di minaccia in atto. Le doglianze
difensive sul punto sono del tutto generiche.
Il secondo motivo è manifestamente infondato, avendo il giudice di merito negato il giudizio
di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche con riferimento alle complessive modalità del
fatto, al negativo comportamento processuale e ai precedenti penali specifici dell’imputato. Del

Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

resto le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una
valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora
non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente
motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia
limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass.
Sez.Un. 25 febbraio 2010 n.10713, Contaldo).

pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P. Q . M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013
il cons. est.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al

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