Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41396 del 16/09/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 41396 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Arena Giovanni nato a Palermo il 31/3/1975
avverso la sentenza del 6/2/2014 della Corte d’appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 6/2/2014, la Corte di appello di Palermo

confermava la sentenza del Tribunale di Palermo del 20/6/2012, che aveva
condannato Arena Giovanni alla pena di anni due e giorni quarantacinque di
reclusione ed C 750,00 di multa per i reati di cui agli artt. a) 648, 61 n. 2
cod. pen. b) 648, 61 n. 2 cod. pen. c) 648, 61 n. 2 cod. pen. d) 648, 61 n. 2
cod. pen.
1

Data Udienza: 16/09/2014

A.

1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in
punto di sussistenza di nullità della sentenza per violazione degli artt. 511 e
526 cod. proc. pen. nonché in punto di riconosciuta responsabilità
dell’imputato in ordine ai reati allo stesso ascritti, di qualificazione dei fatti
nell’ambito dell’art. 712 cod. pen. e di trattamento sanzionatorio.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

2.1. erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 comma
1 lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 511, 525 e 526 cod. proc.
pen. Fa, al riguardo, rilevare che il difensore, essendo mutata la persona
del giudice procedente, non aveva prestato il consenso alla rinnovazione
degli atti mediante lettura, acconsentendo soltanto all’acquisizione di alcuni
verbali di sommarie informazioni ed eccependo l’inutilizzabilità delle prove
presenti nel fascicolo.
2.2. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., con riferimento al
rigetto delle argomentazioni difensive proposte in sede di appello ed in
particolare alla mancata derubricazione dei fatti nel reato di cui all’art. 712
cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso deve essere rigettato, per essere infondate entrambe le

questioni proposte.
3.1. Quanto al primo motivo, rileva il Collegio che nella sentenza
impugnata è ricostruita la sequenza procedimentale all’esito della quale si è
pervenuti alla decisione, dopo il mutamento della persona fisica del giudice
ed il mancato consenso della difesa all’utilizzazione mediante lettura dei
verbali di prova assunti dinanzi al giudice diverso; segnatamente risulta
che in relazione alla denuncia di furto presentata dalla persona offesa ed ai
verbali di sommarie informazioni testimoniali di Lo Monaco Piera Giovanna
Giulia e Beluto Giuseppe era intervenuto il consenso delle parti alla loro
acquisizione al fascicolo per il dibattimento, manifestazione di volontà
correttamente considerata dalla Corte territoriale non revocabile, sia pure
in presenza di un successivo mutamento della persona fisica del giudice, in
considerazione dell’ordinaria irrevocabilità degli atti di consenso in materia

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difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:

procedurale nell’ottica di assicurare certezza ai rapporti giuridici; ciò risulta
perfettamente in linea con la previsione contenuta nell’art. 111 comma 4
Cost., come novellato con la Legge Costituzionale n. 2 del 1999, che
demanda al legislatore ordinario la regolamentazione dei casi in cui ha
formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
dell’imputato (sez. 1 n. 23157 del 18/4/2007, Rv. 237058). Inoltre il teste
Beluto risulta essere stato risentito dal nuovo giudice, come anche il teste

nuova audizione.
Certo, quindi, come correttamente rilevato nella sentenza
impugnata, ha errato il giudice di prime cure a dichiarare indistintamente
utilizzabili i verbali delle dichiarazioni dei testi assunti in data antecedente
al 22/11/2011, allorquando il processo era regredito nella fase preliminare
dinanzi al nuovo giudice; ma da tale violazione, legittimamente, si è fatta
derivare solo l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 511 comma 2 cod. proc.
pen., delle dichiarazioni rese in sede dibattimentale dai testi Lo Monaco e
Faraone, la cui audizione non è stata ripetuta dinanzi al nuovo giudice,
nonostante l’espressa opposizione della difesa all’acquisizione mediante
lettura. In tal senso si è espresso il costante orientamento di questa Corte
condiviso dal Collegio (sez. U. n. 2 del 15/1/1999, Rv. 212395; sez. 5 n.
3613 del 7/11/2006, Rv. 236044), affermando esplicitamente che in caso
di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona
fisica del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la
testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione
mediante semplice lettura, senza ripetere l’esame del dichiarante, quando
questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti.
Deve però, a questo punto, rilevarsi che la Corte territoriale, dopo
avere verificato l’inutilizzabilità della prova rappresentata dalle dichiarazioni
rese dai testi Lo Monaco e Faraone, in conseguenza di quanto sopra
evidenziato, ha ritenuto, in adesione al costante orientamento di questa
Corte regolatrice (sez. 5 n. 37694 del 15/7/2008, Rv. 241299), di potere
prescindere per la decisione dalle suddette prove, fondatamente contestate.
Ciò sulla base del cosiddetto criterio di resistenza, che impone di valutare se
gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale
sulla decisione del giudice di merito; si tratta, appunto, di valutare la
struttura argomentativa della decisione impugnata, al fine di stabilire se la
scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa anche senza

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Migliaccio, in relazione ai quali il difensore aveva manifestato la richiesta di

l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di
per sé sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 5 n. 569 del
18/11/2003, Rv. 226972; sez. 6 n. 10094 del 22/2/2005, Rv. 231832). Ed
in applicazione di tali principi dalla lettura della sentenza impugnata,
effettuata congiuntamente a quella di primo grado, emerge come i fatti
contestati risultino compiutamente accertati sulla base di ulteriori elementi
probatori che prescindono completamente dalle dichiarazioni considerate

3.2.

Quanto poi al secondo motivo di ricorso, la doglianza si rivela, da un

lato, aspecifica, risolvendosi in una generica critica della decisione
impugnata e da un altro lato meramente ripetitiva delle argomentazioni
prospettate nel gravame, alle quali la Corte d’appello ha dato adeguate e
argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il
ricorrente si limita a censurare in modo apodittico. Con specifico riferimento
alla qualificazione giuridica del fatto„ dalla lettura della sentenza
impugnata ed in particolare dall’analisi effettuata dalla Corte territoriale in
ordine alla sussistenza dell’elemento materiale e di quello psicologico del
delitto di ricettazione si evince con tutta evidenzia l’impossibilità di
configurare il fatto nell’ambito dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art.
712 cod. pen. Con tale argomentare la sentenza impugnata si è adeguata al
costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai
fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la
consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia
peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e
completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del
reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette,
allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura
intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza
illecita di quanto ricevuto. Ed in tal senso questa Corte ha più volte
affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può
desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal
comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della
provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non
attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente
spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008,
Nardino, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv.

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inutilizzabili.

248265). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in
ordine alla legittima acquisizione dei titoli risultati di provenienza delittuosa
ed il comportamento tenuto dallo stesso dopo la consegna dei titoli in
pagamento si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto
illecito degli stessi. Del resto, come questa Corte ha recentemente
affermato (Sez. U. n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324; sez.

1 n.

27548 del 17/6/2010, Screti, Rv. 247718) l’elemento psicologico della

configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della
concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa
accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di
sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto. E nel caso di specie,
anche sotto questo aspetto, il ricorrente necessariamente doveva
rappresentarsi, al momento della ricezione degli assegni la concreta
possibilità che si trattasse di titoli di provenienza delittuosa.

4. Alla luce delle su esposte considerazioni si impone il rigetto del ricorso,
cui consegue la condanna dell’imputato che lo ha proposto al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Roma, 16 settembre 2014

ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è

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