Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41382 del 18/07/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 41382 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO LORIS N. IL 22/02/1964
avverso la sentenza n. 85/2013 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
30/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott:V , 3 A
che ha concluso per c..Q

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditnsor
i divS

cL

c CLIULC51-5-

Data Udienza: 18/07/2014

5543/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 settembre 2013 la Corte d’appello di Trieste ha respinto l’appello
proposto da Rizzo Loris avverso sentenza dell’i ottobre 2012 con cui il Tribunale di Pordenone
lo aveva condannato alla pena di due mesi e venti giorni di arresto – sostituita con la pena
pecuniaria di C 20.000 di ammenda – per il reato di cui agli articoli 113 c.p., 29 e 55, comma
2, lett. b), d.lgs. 81/2008, per omesso adempimento d’obbligo di legge relativo alla salute dei
lavoratori dipendenti della s.r.l. di cui era legale rappresentante.
2. Ha presentato ricorso il difensore in base a due motivi.
Il primo motivo viene rubricato come violazione dei principi in ordine alla prova, vizio
motivazionale e violazione della normativa sulla formazione della prova, violazione delle norme
penali correlate e del principio di legalità ex artt.25 Cost. e 2 c.p., mancanza di motivazione e
sussistenza, in violazione dell’art. 533 c.p.p., di ragionevole dubbio sulla responsabilità
dell’imputato: il tutto come riproposizione dei due motivi d’appello e censura di asserita
inadeguatezza della confutazione su di essi effettuata dalla corte territoriale.
Il secondo motivo, che il ricorrente dichiara correlato al primo, lamenta la mancata
individuazione di una condotta di fatto penalmente rilevante e dell’attinente elemento
soggettivo, con vizio motivazionale e violazione degli artt. 507 e 533 c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
I due motivi, che in sostanza denunciano una inadeguatezza dell’accertamento effettuato a
carico dell’imputato che si sarebbe riflessa, poi, nella conformazione dell’apparato nnotivativo,
possono essere congiuntamente vagliati per tale loro intrinseca connessione.
Il ricorrente richiama l’atto d’appello, nel quale aveva riversato tre doglianze. La prima aveva
attribuito al giudice di prime cure un errore di fatto sull’esistenza di un concreto pericolo
cancerogeno nelle lavorazioni effettuate dalla Kenzia Srl di cui l’imputato era legale
rappresentante, non emergendo tale pericolo da alcun riscontro probatorio. La seconda
doglianza aveva lamentato la mancata tipizzazione della condotta penalmente rilevante. La
terza doglianza, infine, riguardava l’assenza dell’elemento soggettivo, anche sotto forma di
colpa. A queste doglianze la corte territoriale non avrebbe dato alcuna risposta adeguata,. In
primo luogo aveva superato la questione del rischio cancerogeno affermandone l’inutilità. Sulla
seconda doglianza non avrebbe fatto riferimento ad alcuna norma specifica, richiamando

semplicemente la norma attinente al generale adempimento della compilazione del documento
di valutazione dei rischi aziendali. Il ricorrente trascrive in lunghi stralci la motivazione della
sentenza impugnata concludendo nel senso che la condotta rimarrebbe giuridicamente
indeterminata, non fondata su un pericolo astratto bensì su un pericolo “presunto o possibile”
così da pervenire alla violazione del principio del necessario superamento di ogni ragionevole
dubbio ex articolo 533 c.p.p. La condotta illecita, invero, non sarebbe stata individuata, nè
sarebbe stato individuato l’elemento soggettivo, anche sotto quest’ultimo profilo incorrendo
nella violazione dell’articolo 533 c.p.p.
Per quanto concerne – prendendo le mosse secondo una sequenza logica delle questioni
rappresentate dal ricorrente – l’esistenza di un illecito tipizzato coincidente con quello
contestato nel capo d’imputazione, è sufficiente rilevare che nel suddetto capo la
contravvenzione è stata addebitata per omessa valutazione dei rischi ed omessa elaborazione
del relativo documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), d.lgs. 81/2008. Nella sua
doglianza d’appello, peraltro, come osserva la corte territoriale, l’attuale ricorrente aveva in
punto di fatto contestato quanto accertato dalla Asl sulla sussistenza di pericolo cancerogeno,
accertamento che viene richiamato specificamente nella imputazione come attestante che la
tipologia delle lavorazioni e delle materie prime utilizzate – da cui si sprigionavano polveri di
legno duro – esponeva i lavoratori ai rischi biologici da cancerogeni mutageni di cui all’articolo
268, comma 1, lettere c) e d), d.lgs. 81/2008. La natura fattuale di tale censura è riconosciuta
dallo stesso ricorrente, che la esclude espressamente dall’impugnazione laddove dichiara che
“in appello si è contestato il fatto, non oggetto qui ovviamente del gravame, che si siano fatte
delle valutazioni concrete del rischio cancerogeno” (ricorso, pagina 4). La corte territoriale,
peraltro, ha affrontato con ampia e corretta impostazione normativa la questione dell’obbligo
da parte del datore di lavoro di tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di
lavoro, includente l’ulteriore obbligo di effettuare il piano di valutazione dei rischi che è
destinato a prevenire il pericolo che si origina “dalla possibile esposizione agli agenti
cancerogeni derivanti dalla esecuzione di determinate lavorazioni e non implica, pertanto, né è
subordinato alla accertata sussistenza di un effettivo superamento dei parametri di sicurezza”
(motivazione, pagina 4). E – come già anticipato in quanto

ictu ocu/i emergente dalla

conformazione del capo d’imputazione – rileva la corte territoriale che la tipizzazione penale
dell’illecito è ravvisabile proprio come indicata appunto nella imputazione, che prevede
l’obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi ex articolo 17, comma 1, lettera a),
d.lgs. 81/2008. Manifestamente infondata è pertanto la doglianza in ordine alla pretesa
mancata identificazione della condotta illecita, che il giudice d’appello aveva già correttamente
confutato.
Quanto poi alla doglianza attinente all’ulteriore motivo d’appello che, secondo il ricorrente, la
corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato, cioè quella relativa all’elemento
soggettivo del reato, il ricorrente ravvisa contraddittorietà nella motivazione e comunque
un’apodittica affermazione di sussistenza della colpa “sul presupposto della linea difensiva

.,

adottata in sede di arg omentazioni di diritto” nell’atto di appello. La do g lianza non trova
riscontro nella motivazione della sentenza impu g nata, avendo la corte territoriale in primis
ritenuto ininfluente l’accertamento di una tardiva redazione e tardiva conse g na all’altro del
documento di valutazione rischi – e ciò è ovviamente lo g ico, poiché si trattava
dell’accertamento dell’elemento so gg ettivo di un reato consumato prima delle suddette attività
“riparatorie” – ed avendo poi realmente osservato che la conformazione della difesa sulla
inesistenza de g li obbli g hi contestati “da un punto di vista lo g ico” implica “la confi g urabilità di

non apodittica e comun q ue non lesiva dei diritti difensivi dell’imputato – è stata a gg iunta
evidentemente ad abundantiam nel momento in cui la motivazione sul elemento so gg ettivo si
era, in effetti, g ià conclusa, e conclusa proprio con l’osservazione sulla irrilevanza delle tardive
attività riparatorie g ià sopra citata – nell’atto d’appello, infatti, si era ne g ato l’elemento
sogg ettivo, oltre che adducendo un periodo di difficoltà economiche e aziendali (che
ovviamente non possono incidere sulla primaria tutela della salute dei lavoratori), proprio con il
fatto che la relazione sui rischi sarebbe stata conse g nata all’Asl soltanto pochi g iorni dopo la
scadenza del termine per la protezione (cfr. motivazione della sentenza impu g nata, pa g ina 2) e con l’ulteriore rilievo della sufficienza di un elemento so gg ettivo colposo trattandosi di
contravvenzione. Anche ri g uardo a q uesto profilo, dun q ue, la prospettazione del ricorrente
rimane priva di consistenza.
Sulla base delle considerazioni fin q ui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
con conse g uente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pa g amento delle spese
del presente g rado di g iudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 g iu g no 2000, n.186, e considerato che non vi è ra g ione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via e q uitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pa g amento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 18 lu g lio 2014

Il Consi g liere Estensor

Il

si

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una consapevole scelta in capo all’imputato”. Peraltro, q uest’ultima osservazione – di per sé

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