Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4136 del 02/12/2014

Penale Sent. Sez. 2 Num. 4136 Anno 2015
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso l’ordinanza n. 373/2014 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 24/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE;
31-‘).,\0,
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Data Udienza: 02/12/2014

,

RITENUTO IN FATTO

1.

Il Tribunale per il riesame di Catanzaro confermava l’ordinanza

di

applicazione della custodia in carcere emessa nei confronti di A.A. per
il reato di cui all’art. 12 quinquies D.I. n. 206 del 1992 con l’aggravante prevista
dall’art. 7 legge 203 del 1991. Tale ordinanza veniva emessa dal Gip di
Catanzaro dopo la decisione di un conflitto di competenza risolto dalla Corte di
Cassazione tra il gi di Catanzaro e quello di Firenze. Si contestava all’indagato

di fatto riconducibile alla cosca M.M..

2. Ricorreva avverso tale ordinanza il difensore deducendo cinque motivi di
ricorso:
1) violazione di legge processuale;carenza assoluta di motivazione in ordine
alla valutazione della prova dichiarativa del condannato in procedimento
connesso.
Il difensore si doleva del fatto che le dichiarazioni rese da B.B.
ritenute decisive per il quadro indiziario posto a base della misura. Il dichiarante
era stato infatti raggiunto da sentenza definitiva di condanna per il reato di
partecipazione all’associazione mafiosa (alla cosca M.M.): le sue dichiarazioni
avrebbero dunque dovuto essere valutate nel rispetto della regola contenuta
nell’art. 192 comma 3 cod. proc. pen. Si richiamava sul tema della attendibilità
intrinseca la nota prodotta all’udienza del 24.4.14 con cui la Procura di Reggio
Calabria indicava la insussistenza di elementi idonei per avviare la
collaborazione del B.B.; la inattendibilità delle dichiarazioni etero
accusatorie del B.B. risultava confermata, nella prospettiva difensiva,
anche dai rapporti di litigiosità con i A.A. testimoniati dalla proposizione da
parte di A.A. di una denuncia per calunnia contro il
B.B..
2) Violazione di legge sostanziale e processuale (violazione degli artt. 273, 292
commi 2 lett. c) cod. proc. pen. e art. 12 quinquies di. n. 306\92); carenza di
motivazione in ordine alla provenienza illecita delle risorse impiegate.
Si censurava la mancata valorizzazione di uno dei principali temi di prova a
discarico concernente il collegamento tra i beni oggetto di contestazione e la
ricchezza accumulata nel corso di decenni dai genitori del ricorrente.
3) Violazione di legge sostanziale e processuale (violazione degli artt. 273, 292
commi 2 lett. c) cod. proc. pen. e art. 12 quinquies d.l. n. 306\92); carenza di
motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato.

la condotta elusiva consistita nella intestazione ai congiunti di alcune società,

Ci si doleva della mancata valorizzazione del processo di dissociazione dalla
‘ndrangheta posto in essere dal A.A. dopo la condanna del 2001. In particolare
si censurava la mancata valorizzazione delle decisioni con le quali sul
presupposto dell’intervenuto recesso dal sodalizio si disponeva dapprima la
revoca della libertà vigilata e poi il rigetto della applicazione delle misura di
prevenzione della sorveglianza speciale. Tali provvedimenti, nella prospettiva del
ricorrente, imponevano di chiarire «la compatibilità logica tra il fine elusivo
ipotizzato e la insussistenza in concreto del presupposto giuridico fattuale per la
applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, rappresentato secondo la

sociale del soggetto proposto». I fatti si collocavano in un periodo in cui non era
entrata in vigore la novella legislativa del 2009 che ha introdotto la confisca
prescindendo dal requisito delle pericolosità. La insussistenza del presupposto
applicativo delle misure patrimoniali antimafia riverbererebbe i suoi effetti anche
sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato ed, in particolare,
sull’elemento soggettivo.
Si censurava infine la logicità della motivazione nel passaggio in cui riteneva
coerente con l’obiettivo elusivo la intestazione dei beni ai congiunti.
4) Violazione di legge in relazione agli artt. 273, 292 comma 2 lett. c) cod. proc.
pen. e art. 7 d.l. 152 del 1991 in relazione al riconoscimento dell’aggravante
dell’art. 7 del d.l. 152 del 1991.
Nella prospettiva difensiva la motivazione in materia di esigenze cautelari si
riteneva integralmente inficiata dall’utilizzo delle dichiarazioni del B.B.
utilizzate senza il rispetto della regola di valutazione indicata dall’art. 192 comma
3 cod. proc. pen.
Secondo l’ordinanza impugnata il A.A. avrebbe prima finanziato, poi affiancato
ed infine estromesso il B.B. nella attività di prestanome dei M.M.. Tuttavia
a giudizio del ricorrente non veniva dimostrato che prima B.B. e poi A.A.
erano collegati alla cosca M.M.. In particolare non si riteneva idoneo a
dimostrare il contatto con i M.M. la circostanza che A.A. sia stato
condannato per associazione mafiosa in relazione a fatti risalenti alla seconda
metà degli anni 90. L’ordinanza non aveva poi tenuto conto del fatto che il
B.B., il G.G. e la Severino Grazia erano destinatari di una
ordinanza di archiviazione emessa dalla A.G. di Palmi prodotta all’udienza
camerale
5) Violazione degli artt. 274, 292 commi 2 lett. c) e 2 ter cod. proc. pen. Si
contestava la esistenza delle esigenze cautelari rinvenute nella necessità di
impedire l’inquinamento probatorio e la reiterazione dei reati. La pronuncia,

normativa vigente all’epoca delle contestazioni dalla attualità delle pericolosità

nella prospettiva del ricorrente, ignorava che le società ed i beni dei A.A. erano
stati sottoposti a sequestro fin dal settembre 2013.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 terzo motivo di ricorso si esamina in via preliminare in quanto concerne la
legittimità dell’inquadramento delle condotte contestate al A.A..
Il motivo è infondato.
1.1.Si assume che

la mancanza di pericolosità in concreto inducibile dai

misura della sorveglianza speciale abbiano avuto ripercussioni sull’elemento
soggettivo: il A.A. avrebbe agito nella certezza di non essere considerato
pericoloso in un periodo in cui il requisito della pericolosità era necessario per
la applicazione delle misure di prevenzione e, dunque per la eventuale attività
elusiva.
L’argomento non è condivisibile in quanto

valorizza

degli accertamenti

giudiziali per loro natura precari, privi della stabilità del giudicato, e basati sulla
valutazione di una condizione personale mutevole soggetta a continue
rivalutazioni, ritenendoli idonei ad escludere la consapevolezza della illiceità
della condotta elusiva. La Corte di legittimità in tema di procedimento di
prevenzione, ha infatti affermato che la preclusione derivante da giudicato non
opera come per la decisione di merito, in quanto la decisione di prevenzione non
accerta la sussistenza di un fatto reato o la responsabilità di un soggetto, sicchè,
non è preclusa la instaurazione di un nuovo procedimento di prevenzione sulla
base di elementi non considerati nei passaggi argomentativi e nei presupposti di
fatto di una precedente decisione (Cass. sez. 1, n. 33077 del 21/09/2006, Rv.
235144S.U. 13 dicembre 2000 n. 36, ric. Madonia, dep. 7 febbraio 2001, non
massimata sul punto).
L’elemento soggettivo richiesto dall’art. 12 quinquies d.l. n. 306\92 non può
dunque ritenersi eliso dal riconoscimento giudiziale della assenza di pericolosità
considerata la precarietà ed instabilità di tale accertamento. Tanto più che
secondo la giurisprudenza costante della Corte di legittimità, che si condivide, il
delitto previsto dall’art. 12 quinquies, comma primo, del D.L. 8 giugno 1992 n.
306 integra una fattispecie a “concorso necessario” caratterizzata dalla necessità
del dolo specifico, che può essere commessa anche da chi non sia ancora
sottoposto a misura di prevenzione ed ancor prima che il relativo procedimento
sia iniziato (Cass. sez. 2 n. 45 del 24.11.11, dep 2012, Rv. 251750).
Dunque la condotta elusiva sanzionata dalla fattispecie contestata prescinde
dalla esistenza attuale di un procedimento di prevenzione, ma richiede tuttavia il
4

provvedimenti di revoca della libertà vigilata e di rigetto della applicazione della

Ira

dolo specifico di sottrarre i beni alla prevedibile azione di contrasto da essa
scaturente; tale direzione dell’elemento soggettivo va valutata sulla base di
elementi di prova che siano univocamente indicativi della finalità elusiva, e gli
eventuali accertamenti relativi alla attuale pericolosità, anche se negativi,
essendo precari manifestano, al contrario, l’attenzione dell’autorità giudiziaria
verso l’attivazione dei presidi preventivi, sicchè sono idonei ad alimentare,
piuttosto che ad elidere, la consapevolezza della elusione.
1.2. Può dunque essere affermato che poichè le valutazioni giudiziarie sulla
pericolosità non sono stabili e sono soggette a possibili rivalutazioni, le stesse

richiesto dall’art. 12 quinquies, comma primo, del D.L. 8 giugno 1992 n. 306
relativamente alle condotte poste in essere nel periodo in cui la pericolosità del
proposto era condizione per la attivazione delle misure di prevenzione
patrimoniali.

2.11 primo motivo di ricorso è invece fondato.
L’ordinanza impugnata valuta come elemento determinante, sebbene non
esclusivo, per la composizione del quadro indiziario posto a sostegno della
misura cautelare imposta al A.A. le dichiarazioni del B.B..
L’apporto dichiarativo del B.B. risulta infatti rilevante sia in ordine alla
dimostrazione del collegamento dell’indagato con la cosca M.M., sia in ordine alla
verifica del riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 7 del di. 152 del
1991.
Il Tribunale, tuttavia, non chiarisce quale sia il corretto inquadramento del
dichiarante: ovvero se il B.B. debba essere considerato come
dichiarante coinvolto nel fatto, in quanto condannato per fatti connessi, o
indagato per reato collegato in quanto denunciato dal A.A. e dal
G.G. per calunnia.
Tale carenza in ordine all’inquadramento si tramuta nella incertezza circa la
individuazione dello statuto della prova dichiarativa che governa la valutazione
dei relativi contenuti testimoniali. Non si fa infatti alcun riferimento alla
applicazione della regola di valutazione indicata dall’art. 192 comma 3 cod. proc.
pen., ritenuta dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione
applicabile anche in sede cautelare. La Corte di cassazione, con orientamento
pacifico e condiviso, ha chiarito che i contenuti dichiarativi provenienti
dall’indagato di reato connesso o collegato devono essere sottoposti al vaglio di
attendibilità intrinseca ed essere corroborati da riscontri estrinseci
individualizzanti, così da assumere idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione
del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la
5

non hanno la capacità, anche se negative, di elidere l’elemento soggettivo

relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento “de
libertate” e, quindi, allo stato degli atti, deve essere orientata ad acquisire non la
certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato (tra le altre
Cass. sez. 1, n. 11058 del 02/03/2010, Rv. 246790, che conferma Cass. S.U.
30 maggio 2006, Spennato).
L’ordinanza impugnata deve essere dunque annullata con rinvio al Tribunale di
Catanzaro per nuovo esame sul punto. Gli altri motivi si ritengono assorbiti.

3. Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del

di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto, perché
provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Catanzaro per nuovo
esame Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma,i1 giorno 2 dicembre 2014

L’estensore

Il Presidente

ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter delle disposizioni

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