Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41307 del 29/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 41307 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAVALLO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAMMARERI FRANCESCO PAOLO N. IL 09/09/1978
avverso la sentenza n. 1189/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 05/07/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;

Data Udienza: 29/05/2014

Ritenuto in fatto

– che la Corte di Appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha
confermato quella di primo grado che aveva condannato Cammareri Francesco
Paolo alla pena di mesi 8 di arresto, siccome colpevole del reato previsto e
punito dagli artt. 81 cod. pen. e 9, legge n. 1423/1956;
– che avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato,
deducendone l’illegittimità per violazione di legge e vizio di motivazione, con

grado per assoluta mancanza di motivazione in ordine all’affermazione di
responsabilità, sia relativamente alla conferma della condanna in grado di
appello avendo i giudici di appello disatteso con motivazione incongrua sia il
motivo di gravame dedotto in via principale relativamente all’affermazione di
penale responsabilità (avuto riguardo al possibile mancato ascolto del suono del
campanello da parte dell’imputato in occasione degli accessi degli incaricati al
controllo dello stesso in data 31 dicembre 2009 e 3 gennaio 2010 ed all’assenza
di un rigoroso accertamento della non veridicità della giustificazione addotta dal
sorvegliato speciale in ordine al suo allontanamento da casa in occasione del
controllo eseguito il 9 gennaio 2010: accompagnamento in ospedale della
madre) sia di quello subordinato relativo alla eccessività della pena inflitta,
soprattutto con riferimento agli aumenti determinati per la continuazione;

Considerato in diritto

che l’impugnazione è inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3 cod. proc.

pen, perché basata su motivi manifestamente infondati;
– che il collegio deve rilevare, infatti: quanto al primo motivo d’impugnazione
dedotti in ricorso, che la pretesa insufficienza della motivazione della sentenza di
primo grado, ove pure in tesi sussistente, non può costituire motivo di nullità
della sentenza di primo grado, come già correttamente evidenziato dalla Corte
territoriale; quanto al secondo, che il quadro probatorio a carico del ricorrente
esposto nella sentenza impugnata ed il ragionamento su di esso svolto dai giudici
di appello, forniscono una specifica risposta alle censure mosse alla sentenza di
primo grado e riproposte in questa sede e, in particolare danno conto degli
elementi costitutivi richiesti per la configurazione del reato contestato
all’imputato, avendo valorizzato, in particolare, come dalle relazioni di servizio
redatte degli agenti incaricati del controllo del sorvegliato speciale era emerso
che gli stessi, in occasione dei primi due controlli, avevano azionato
ripetutamente l’unico dispositivo azionabile, dagli stessi percepito e facilmente
avvertibile anche dall’imputato o dai suoi familiari, in caso di effettiva presenza,

riferimento sia alla mancata rilevazione della nullità della sentenza di primo

attesa la mancata allegazione di un suo cattivo funzionamento, laddove del tutto
sfornita di adeguata documentazione confermativa risultava la deduzione relativa
alla presenza in pronto soccorso della madre dell’imputato;
– che, come noto, è oramai diritto vivente che, in sede di ricorso per cassazione,
sono rilevabili esclusivamente i vizi di motivazione che incidano sui requisiti
minimi di esistenza e di logicità del discorso argomentativo svolto nel
provvedimento e non sul contenuto della decisione e che il controllo di logicità
deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile

diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende oggetto del
giudizio;
– che manifestamente infondato è anche il motivo di impugnazione relativo al
trattamento sanzionatorio, tenuto conto che l’obbligo della motivazione in ordine
alla entità della pena irrogata deve ritenersi sufficientemente osservato, “qualora
il giudice dichiari di ritenere “adeguata” o “congrua” o “equa” la misura della
pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto”, poiché la scelta di tali
termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto,
intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen.”
(in tal senso, ex multis Cass., Sez. 6, Sentenza n. 7251 del 24/5/1990, Rv.
184395);
– che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
esonero – al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente
determinabile in C 1000,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di C 1000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2014.

procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi probatori o a un

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