Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41302 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41302 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LIMONGIELLO PIETRO N. IL 14/06/1966
avverso la sentenza n. 4/2013 CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI,
del 27/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. r a..432_,Q_ r 2. top t/
che ha concluso per
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Data Udienza: 06/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 19 luglio 2012 la Corte di Assise di Napoli ha
affermato la penale responsabilità di Limongiello Pietro, classe ’66, per i delitti di
omicidio volontario aggravato dalle condizioni di minorata difesa della vittima e
furto aggravato, condannando l’imputato alla pena complessiva di anni 23 di
reclusione.
La Corte di Assise d’Appello di Napoli in data 27 febbraio 2014 ha confermato

Il fatto è rappresentato dall’omicidio commesso in danno di Gigantini Anna tramite una coltellata in zona toracica, inferta dall’aggressore all’interno della
abitazione della vittima – il 10 novembre del 2006 in Giugliano in Campania alla
via Casacelle.
Le fonti di prova essenziali a carico dell’imputato, che è risultato essere il figlio di
una nipote dell’anziana donna, sono rappresentate da alcune circostanze di fatto
emerse durante le indagini (la donna non era solita aprire ad estranei, non vi
erano segni di effrazione, il nipote – in precarie condizioni economiche conosceva il modo per farsi aprire la porta ed era stato visto recarsi dalla vittima
da alcuni testimoni due giorni prima del fatto, circostanza non usuale e che non
si verificava da tempo, essendosi trasferito da tempo in diverso luogo, pur se la
famiglia aveva mantenuto il possesso di un appartamento sito nello stabile) cui si
uniscono le dichiarazioni di accusa (per ricevuta ammissione stragiudiziale) rese
dalla ex convivente dell’imputato, tal Bertuzzi Angela (dopo circa un anno e
mezzo dal fatto) e le risultanze di indagini tecniche sugli spostamenti dell’uomo
nella data del fatto (localizzazione tramite il cellulare), nonché il sequestro di una
camicia macchiata di sangue (in realtà non appartenente alla vittima, ma che
determinò – al momento – grosso allarme nel Limongiello).
Nel valutare le doglianze proposte con l’atto di appello, la Corte faceva ampio
rinvio – quanto alla ricostruzione del fatto – ai dati istruttori contenuti nella
decisione di primo grado, non essendovi stata rinnovazione dell’attività
probatoria e condividendo la valutazione operata.
Ad avviso della Corte di secondo grado, in rapporto alle doglianze in quella sede
proposte, non vi è motivo per dubitare della attendibilità della Bertuzzì e – del
resto – tale fonte si unisce a preesistenti acquisizioni investigative del tutto
autonome e dotate di consistente valenza indiziante, tra cui alcune
intercettazioni telefoniche.
L’imputato era uno dei pochi soggetti cui la donna – estremamente diffidente avrebbe volontariamento aperto la porta di casa.

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integralmente dette statuizioni.

Si trovava in condizioni economiche precarie e ha nascosto la sua certa
«prossimità», il giorno del delitto, al luogo della sua consumazione.
In tale quadro vanno inserite le dichiarazioni della Bertuzzi (ampiamente
rievocate) che ha riferito su confidenze dal contenuto pienamente incriminante,
con dettagli che non erano stati divulgati e che non erano neanche noti agli
investigatori, il che rappresenta sicuro indicatore di provenienza delle
dichiarazioni dal reale autore del fatto, al di là del risentimento della donna nei
confronti del Limongiello.

compresa la richiesta di aiuti economici rivolti prima della sua narrazione e
veicolati tramite il difensore, all’epoca, del Limongiello) e la Corte li ritiene tutti
superabili, confermando la validità dimostrativa della fonte.
Conviene ricordare che nella decisione di primo grado – espressamente
richiamata – si ricostruiscono, in particolare, i seguenti dati di interesse (oltre
quelli già sintetizzati) :
– il cadavere della donna, rinvenuto all’interno della abitazione poco dopo le ore
18.00 del giorno 10 novembre 2006, si presentava con ancora il coltello
conficcato nel petto, una cordicella in mano e uno straccio sul viso; lo stesso era
all’interno della cucina ove si rivenivano frammenti di un piatto rotto (un
frammento era rinvenuto sotto il corpo della vittima). Dalla autopsia si evidenzia
una ferita lacero-contusa in regione parietale sinistra (da corpo contundente),
oltre alla ferita da punta e taglio al petto derivante dall’inserimento del coltello in
profondità. La vittima era dunque stata tramortita dal colpo al capo (con il
piatto) prima di essere ferita con il coltello. Si evidenzia altresì una leggera
lesività cutanea al collo derivante in tutta probabilità dalla corda repertata, in un
precedente tentativo di soffocamento;
– gli ambienti dell’immobile, esclusa la cucina, risultavano in ordine e su di un
mobile del saloncino veniva rinvenuta una somma di denaro contante;
– c’erano piatti e utensili da cucina nel lavandino ed una delle due vasche era
colma di acqua ;
– già dalle ore 17.20 la signora Gigantini non rispondeva alle chiamate dei vicini
che di solito andavano a trovarla. La donna che saltuariamente la accudiva era
andata via intorno alle 13.30, poco prima del pranzo ;
– la porta dell’abitazione era chiusa dall’interno ma non a chiave, mentre le
chiavi erano rimaste inserite sempre dall’interno;
– i condomini che la frequentavano conoscevano il segnale convenzionale (due
tocchi a mani nude sulla porta) che la vittima utilizzava per riconoscere i
visitatori. In caso contrario ella non apriva la porta a nessuno;

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Vengono esaminati i pretesi motivi di sospetto circa la affidabilità della teste (ivi

- la vittima era solita consumare il pasto intorno alle 13.30 e in sede di autopsia
venne rinvenuto un residuo gastrico caratterizzato dalla presenza di farinacei e
vegetali, il che porta a circoscrivere l’orario della morte intorno alle ore 15.30/
16.00;
– il Limongiello in quel periodo viveva a Verona ma il giorno 8 novembre era
stato di certo a trovare la zia, perchè visto da una testimone che era lì presente;
– tra le ore 16 e le ore 17 del giorno dell’omicidio nella zona di Giugliano era
caduta pioggia.

all’interno dell’appartamento che la famiglia Limongiello aveva conservato (pur
essendosi trasferita in Bagnoli) nello stesso stabile della vittima, una camicia con
una macchia, verosimilmente di sangue, nella parte posteriore.
Da tale reperto venne poi estratto un profilo genetico di tipo maschile.
Vennero realizzate captazioni telefoniche sulle utenze in uso a Pietro Limongiello
ed ai suoi familiari.
Si accettò che Pietro Limongiello aveva in uso una vettura Fiat Tipo, trovata
parcheggiata presso l’abitazione dei genitori in Bagnoli. Il mezzo era efficiente ed
al suo interno non venne repertato materiale utile alle indagini.
Le utenze cellulari in uso al Limongiello Pietro tra le ore 14.01 e le ore 16.27 del
10 novembre 2006 non avevano generato traffico. L’imputato era presente nella
zona del delitto, secondo i contenuti della decisione.
La conversazione delle ore 14.01, infatti, impegnava una ‘cella’ sita in Bagnoli,
mentre quella delle ore 16.27 aveva impegnato la cella sita in via S.Maria a
Cubito n.22 (posta in territorio di Qualiano, tra i comuni di Giugliano e di
Marano di Napoli ed i prossimità del cd. Asse Mediano) e successivamente in
corso Europa, a poca distanza dalla zona ove è ubicata – in Giugliano l’abitazione della Gigantini.
Le successive ‘celle’ impegnate dalle conversazioni del Limongiello consentivano
di affermare che costui era in movimento e si stava dirigendo a Pozzuoli e di
seguito a Bagnoli ove arrivava alla 17.20 (con verifica tecnica operata dalla
polizia giudiziaria sull’ipotetico percorso realizzato).
Oltre alle dichiarazioni rese dalla Bertuzzi (convivente con l’imputato dal 2004
all’estate del 2006), e relative alle confidenze ricevute (in un contesto di minacce
rivolte alla donna), dichiarazioni rilasciate il 17 gennaio del 2009 e
particolarmente dettagliate (riportate a pag. 51 e ss. sentenza C.Ass.), nella
decisione di primo grado risultano altresì riportate le conversazioni telefoniche
oggetto di captazione.

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Ciò posto, nel corso delle indagini venne sequestrata – il 14 novembre –

In particolare vi è traccia, dopo il sequestro dell’indumento avvenuto in data 14
novembre del 2006, di una consistente preoccupazione del Limongiello circa il
progredire delle indagini.
L’imputato, rientrato a Verona dopo il giorno 10 novembre dalla Bertuzzi, faceva
infatti rientro a Napoli il giorno 16 novembre e durante il viaggio inviava alla
Bertuzzi due sms dal seguente tenore «butta il 3» e « butta tutto quello che hai
in casa del mio» . Le indicazioni sono state interpretate come correlate alla
necessità di disfarsi di una ulteriore utenza cellulare (..il 3 ..) che Limongiello

Sempre nella stessa data – il 16 di novembre – Limongiello contattava un
cartomante per essere rassicurato sui possibili esiti dell’indagine in corso, pur
affermando di ‘non entrarci’ (conversazione riportata a pag. 73 della decisione di
primo grado) e il successivo giorno 17 si recava spontaneamente presso il
commissariato di Giugliano.
In tale data, venivano captate conversazioni tra Limongiello Pietro ed il padre da
cui, secondo la lettura fornita dalla Corte di primo grado, emerge che i due
avevano concordato la versione da fornire agli inquirenti, circa i movimenti tenuti
da Pietro Limongiello il giorno 10 novembre.
Si afferma altresì che il padre dell’imputato ha falsamente affermato che la
vettura Fiat Punto del figlio non era marciante (circostanza smentita dagli esiti
delle indagini) al fine di sostenere la versione difensiva (essersi quel giorno
Pietro Limongiello recato al porto di Napoli utilizzando mezzi pubblici) .
Viene ritenuto significativo il fatto che dopo l’ascolto in Questura il Limongiello
evita di comunicare via sms con la Bertuzzi, cui invia una lettera raccomandata.
Tali elementi vengono valutati unitamente ai contenuti delle dichiarazioni della
Bertuzzi, reputate attendibili.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del
difensore – Limongiello Pietro.
Il ricorso introduce tre motivi con i quali si deducono plurimi vizi motivazionali
della decisione di secondo grado, sintetizzabili nel modo che segue.
Al primo motivo si impugna espressamente l’odinanza dibattimentale con cui è
stata chiesta la rinnovazione dell’istruttoria in secondo grado per vizio di
motovazione, erronea applicazione della disciplina regolatrice e violazione della
regola di giudizio di cui all’art. 533 cod.proc.pen. .
La difesa aveva chiesto l’esecuzione di una perizia, anche in rapporto ad esiti
consulenziali allegati, allo scopo di verificare la esattezza della ricostruzione degli
spostamenti del Limongiello il pomeriggio del 10 novembre del 2006.
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aveva in uso.

Si afferma la decisività del dato probatorio, posto che la verifica tecnica sulle
celle di aggancio ha consentito – in tesi di accusa – di elevare a riscontro la
ritenuta ‘presenza’ del Limongiello in luogo prossimo a quello ove era stato
commesso il delitto, e si censura la motivazione offerta dalla Corte per escludere
l’applicabilità dell’art. 603 cod.proc.pen.
La Corte di merito da un lato afferma che le valutazioni tecniche esposte dal
consulente della difesa ‘non sono suscettibili di assurgere a certezza assoluta’,
motivo questo di diniego della verifica peritale, dall’altro utilizza i dati (incerti)

del delitto.
Ciò in un contesto – si afferma – di sottovalutazione dei dati di contrasto logico
alle affermazioni rese dalla Bertuzzi, individuati ed esposti dalla difesa (che ne
opera sintesi alle pagine 11 e 12 dell’atto di ricorso).
Quanto al diniego della perizia, si ripropongono le argomentazioni elaborate dal
consulente di parte circa la inaffidabilità di una rilevazione della posizione
operata esclusivamente sulla base della ubicazione delle ‘celle di aggancio’, date
le modalità di funzionamento del sistema delle radiocomunicazioni telefoniche
(possibile saturazione di una cella con traslazione della comunicazione su altra
stazione prossima).
Si contesta, altresì, la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito in rapporto
al presumibile orario del decesso.
Al secondo motivo si deduce ulteriore vizio di motivazione, in riferimento alla
metodologìa di selezione e interpretazione dei dati rilevanti.
Secondo la difesa gli accertamenti necroscopici smentiscono la Bertuzzi sul tema
del tentativo di strangolamento, che non ha trovato adeguato riscontro in fatto.
Non vi era alcuna corda ‘al collo’ della vittima ma in altra zona corporea (alla
mano desta del cadavere).
Tale aspetto viene irragionevolmente superato dalla Corte di secondo grado.
Si afferma, come ipotesi alternativa che la teste abbia ricevuto – non dagli
inquirenti – informazioni relative alle modalità di realizzazione del fatto e abbia
poi rielaborato o dati allo scopo di accusare falsamente il Limongiello.
Al terzo motivo si deduce ulteriore vizio motivazionale, nonchè violazione delle
regole normative di giudizio poste a presidio della presunzione di innocenza, per
avere la Corte di merito elevato a fondamento della ricostruzione del fatto le
dichiarazioni rese da Bertuzzi Angela, in assenza di riscontri esterni ed in
presenza di motivi di inattendibilità.
Le dichiarazioni rese dalla Bertuzzi, de relato dall’imputato, non hanno trovato il
vaglio adeguato.

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offerti dall’accusa per convalidare l’ipotesi di ‘prossimità’ del Limongiello al luogo

Motivi di sospetto circa la genuninità della deposizione erano evincibili nella sua
tardività e nell’interesse che animava la donna.
Il suo stato di ‘soggezione’, dalla stessa riferito, contrasta con il contenuto delle
comunicazioni dell’epoca intervenute con il Limongiello.
Da ciò la considerazione del forte risentimento della donna per la cessazione
della relazione sentimentale, non ritenuto un elemento di inaffidabilità, in modo
del tutto illogico.
Vi era stata, peraltro, esplicita richiesta di denaro rivolta dalla donna al

gettare ombre sulla attendibilità.
Non è ragionevole ipotizzare che – secondo la versione della donna – il
Limongiello abbia poi ‘gettato dal finestrino’ la refurtiva (i gioielli sottratti) se il
motivo del delitto era di tipo economico. Per la verità sarebbe stata, secondo la
Bertuzzi, lei stessa a gettare dal finestrino il cofanetto senza che il Limongiello
facesse nulla per recuperarne il contenuto.
Del resto tale ipotesi era smentita dal fatto che l’appartamento venne trovato in
ordine.
Anche altri dettagli riferiti dalla Limongiello appaiono dotati di scarsa logicità e
improbabile aderenza ai fatti, senza che ciò abbia modificato la valutazione della
Corte di Assise d’Appello.

3. La difesa di parte civile ha depositato memoria con cui si argomenta
l’infondatezza del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato, per le ragioni che seguono.
2. La difesa introduce – in via generale – una critica frammentaria al complessivo
percorso logico e ricostruttivo che ha determinato l’affermazione di penale
responsabilità di Limongiello Pietro e non si confronta in modo adeguato con i
contenuti delle due decisioni conformi.
Il confronto, infatti, va realizzato non soltanto con le argomentazioni espresse in
secondo grado ma anche con i contenuti della decisione di primo grado lì dove come nel caso in esame – vi sia stato espresso rinvio – quanto alla esposizione e
alla consistenza dei dati istruttori – alla prima decisione.
Va ricordato infatti che il dovere motivazionale del giudice di secondo grado
concerne – essenzialmente – la necessità di fornire risposta adeguata alle censure
formulate con i motivi di appello, in rapporto a quanto previsto dalle norme che
regolamentano l’effetto devolutivo (in particolare l’art. 597 co.1 cod.proc.pen.).
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Limongiello tramite il suo legale, la cui valenza non è stata ritenuta tale da

L’ampiezza delle argomentazioni espresse va valutata, pertanto, caso per caso
ed in rapporto alla tipologìa e al contenuto delle censure, non essendovi un
modello legale predeterminato della decisione di appello, a differenza di quanto
previsto per la decisione di primo grado (l’art. 605 cod.proc.pen. si limita ad
affermare che il giudice di appello pronunzia sentenza con la quale – fuori dei
casi di accoglimento di una questione di nullità – conferma o riforma la sentenza
impugnata) .
Nell’assolvere il compito di legge, la decisione di secondo grado può dunque

giudice – noto alle parti – purchè non si limiti a riprodurre la decisione
confermata dichiarando – in termini stereotipati e apodittici – di aderirvi senza
dare conto degli specifici motivi che censurino in modo puntuale dette
argomentazioni, con elaborazione autonoma delle ragioni per cui tali doglianze
non risultino accoglibili ( in tal senso, di recente, Sez. VI, n.49754 del
21.11.2012, rv 254102).
Ove pertanto il giudice di appello condivida le valutazioni e le modalità
ricostruttive dei fatti contenute nella prima decisione può di certo richiamarle,
spiegando – anche in sintesi – le ragioni per cui dette valutazioni resistono alle
critiche formulate.
Ragionare diversamente significherebbe imporre al giudice di appello – violando
canoni logici e di razionalità espressiva, snaturando lo stesso giudizio di secondo
grado nonchè determinando un inutile aggravio di tempi processuali – una
ulteriore e autonoma attività di piena ricostruzione del fatto anche lì dove
l’elaborazione già operata risulti pienamente condivisibile, con la conseguenza di
una inutile «riproduzione» dei contenuti espressivi della prima decisione.
3. Operata tale premessa metodologica, va inoltre constatato che nel caso in
esame è stata operata una sintesi tra più elementi di prova di natura diversa :
rappresentativa (le dichiarazioni de relato rese dalla teste Bertuzzi) e indiziarla
(tutti i restanti dati, ivi compresi quelli emersi dalle ulteriori deposizioni, dalle
indagini tecniche e dalle intercettazioni telefoniche).
Tale sintesi valutativa, nei suoi aspetti di metodo e nel suo risultato finale in
rapporto alle regole di giudizio (tali essendo gli unici aspetti valutabili in sede di
legittimità) resiste alle critiche formulate, e ciò in rapporto – anzitutto – alla
considerazione della

natura

dell’elemento principale, rappresentato dalle

dichiarazioni rese dalla Bertuzzi.
L’inquadramento di detta fonte appare prioritario perchè consente di
comprendere le ragioni obiettive di tutte le valutazioni operate in sede di merito,
anche in punto di diniego della parziale rinnovazione istruttoria in secondo grado.

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legittimamente servirsi dello sviluppo logico e ricostruttivo elaborato dal primo

3.1 Corretta è, infatti, la considerazione per cui il narrato della Bertuzzi ha
introdotto nel processo una vera e propria «confessione stragiudiziale» posto
che, per come riferito, trattasi di trasmissione di conoscenza da chi si prospetta in un contesto extraprocedimentale – autore del fatto delittuoso.
Dette dichiarazioni sono state rese, è bene precisarlo, da persona che non
appare mai coinvolta nella dinamica di realizzazione del fatto criminoso (quando
avviene il delitto la Bertuzzi è, pacificamente, a Verona) e che dunque rispetto
al medesimo assume la veste di testimone «puro» .

caso in esame avvenuta – non è indifferente sulla costruzione in diritto
dell’ampiezza e dei contenuti del dovere motivazionale.
Risulta, infatti, incoerente la parte del ricorso (al terzo motivo) in cui si postula la
necessità di veri e propri «riscontri esterni » alla narrazione della teste Bertuzzi.
Tale necessità è da escludersi, in diritto, atteso che – una volta sciolto il nodo
circa la attendibilità intrinseca della teste – l’elemento introdotto nel processo
risulta, appunto, una «confessione stragiudiziale» .
E sul tema, va qui ribadito – in conformità a quanto affermato da Sez. V n.
38252 del 15.7.2008, rv 241572 e da Sez. I n. 17240 del 2.2.2011, rv 249960 che tale elemento può essere posto a fondamento di una decisione affermativa di
responsabilità adottando esclusivamente le «cautele valutative» previste dal
legislatore in rapporto alla qualità soggettiva di chi riporta la confessione.
Se la confessione stragiudiziale viene raccolta in ambito di corresponsabilità 1 41
criminale (atteggiandosi quantomeno a chiamata in reità da parte di soggetto
coimputato in reati collegati) è evidente che andranno applicati i più rigorosi
criteri previsti dall’art. 192 co.3 cod.proc.pen., ma lì dove viene raccolta e riferita
da un teste (come nel caso in esame) è evidente che tali cautele «specifiche»
non hanno ragion d’essere.
Il teste, infatti, è soggetto cui l’ordinamento processuale attribuisce una generale
presunzione di affidabilità, che va ovviamente rinforzata in rapporto alla
particolarità di ogni vicenda e di ogni contesto ricostruttivo.
Lì dove il teste riporti dichiarazioni rese dall’imputato, si tratta di un de relato su
un atteggiamento confessorio percepito non in ragione di comune militanza
criminale ma in un contesto di ordinarie relazioni interpersonali.
Nel caso in esame l’unico incremento di controllo è stato – in rapporto al giudizio
di attendibilità intrinseca – correlato alla rottura della relazione sentimentale tra i
due e alla richiesta della Bertuzzi di ‘recupero’ economico (motivata con
l’esistenza di situazioni debitorie collegate all’agire del Limongiello, il che, per la
verità non evidenzia profili di artata speculazione) ma ciò, si badi bene, non

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Ciò, ferma restando la necessaria adozione di ordinarie cautele valutative – nel

comporta la necessità di adottare il più rigoroso canone previsto per le chiamate
in reità o in correità.
Ciò posto, anche la concorrenza con detta fonte – nel complesso quadro
valutativo – di elementi aventi natura indiziaria, tesi a sostenere in via logica
l’attribuzione del fatto materiale all’imputato, può condurre alla affermazione di
penale responsabilità in piena osservanza dei canoni normativi di giudizio di cui
all’art. 533 cod.proc.pen. . Anche il rispetto del canone decisòrio secondo cui la
colpevolezza dell’imputato deve risultare «al di là di ogni ragionevole dubbio»

tale da consentire – di fatto – l’esame del merito, ma si pone come criterio
generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la capacità
dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza impugnata.
Il dubbio, peraltro, per determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di
ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza
dimostrativa della decisione, è solo quello «ragionevole» e cioè quello che trova
conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di
escludere o di superare (in tal senso Sez. I n.3282 del 2012 del 17.11.2011,
nonchè, in termini generali, Sez. I n. 31546 del 21.5.2008, rv 240763) .
3.2 La confessione stragiudiziale introdotta dalla teste Bertuzzi rappresenta,
pertanto, il perno della ricostruzione probatoria e, secondo le valutazioni dei
giudici del merito, ha trovato sostegno in dati probatori indiziari autonomi.
La difesa, al fine di contestare la validità di uno di questi dati (senza dubbio il più
consistente, rappresentato dalla localizzazione del Limongiello in prossimità al
luogo del delitto) ha formulato la richiesta di rinnovazione istruttoria sul tema del
«posizionannento sul territorio» del Limongiello nel pomeriggio del 10 novembre
2006 ed ha impugnato – con il presente ricorso – il relativo diniego, al primo
motivo.
Il motivo è infondato, posto che la motivazione espressa dalla Corte di merito,
pur sintetica, appare dotata di logicità e coerenza con i principi logici e di diritto
ricadenti sul tema.
Ciò che la Corte territoriale sostiene – al fine di negare la applicabilità della
previsione di legge di cui all’art. 603 co.1 cod.proc.pen., con affermata
‘decidibilità’ del processo allo stato degli atti – è che l’elemento «offerto» in
prospettiva (ossia la verifica dell’esatta posizione del Limongiello sul territorio)
non è dotato, sulla base dei dati disponibili, del carattere della certezza.
Ciò, in effetti, deriva dal fatto che la «posizione» sul territorio del Limongiello
Pietro alle ore 16.27 (aggancio della conversazione telefonica con la stazione
radio-base di via Santa Maria a Cubito) è ricostruibile solo in via probabilistica,

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non determina infatti l’introduzione di un ulteriore e specifico motivo di ricorso,

date le modalità di funzionamento dell’architettura tecnica delle comunicazioni
telefoniche.
Si tratta di un aspetto che è opportuno chiarire, data la ricorrenza delle
doglianze difensive espresse nei procedimenti ove si utilizzano dati simili.
Nessuna «certezza scientifica» può essere attribuita ad una rilevazione di
posizione realizzata mediante l’utilizzo di un comune apparecchio cellulare (non
dotato di GPS).
Per comune esperienza, il funzionamento delle architetture di telefonia mobile –

territorio – rappresenta un sistema (sul piano scientifico) qualificabile solo come
orientativo

di localizzazione , data da un lato l’ampiezza del possibile

«irradiamento» di ciascuna ‘stazione radio base’ sul territorio circostante (l’area
di copertura di una singola stazione radio può arrivare – in rapporto alla potenzafino a dieci o più chilometri, in assenza di ostacoli dovuti alla conformazione del
territorio e specie in zone extraurbane) dall’altro l’influenza di variabili di
funzionamento (dipendenti anche dal volume di traffico) che possono
determinare lo «scorrimento» della conversazione da una cella (più vicina in
linea d’aria al luogo ove si trova l’apparecchio telefonico) ad un’altra contigua.
Tali variabili tuttavia, se da un lato determinano una possibile ‘imprecisione’ del
dato (agganciare una data cella, in prima approssimazione, può significare anche
trovarsi ad una distanza relativamente consistente dal luogo di ubicazione
dell’antenna che la governa), dall’altro non consentono di predicare la totale
inutilità dello strumento in questione a fini di localizzazione dell’utenza telefonica
(chiamante o ricevente) lì dove concorrano altre evidenze o comunque si
compiano verifiche sperimentali relative al concreto funzionamento, in una data
zona, delle celle che interagiscono in tali luoghi.
Ciò è stato tenuto ben presente nel caso in esame, tanto che l’affermazione
probatoria si è alimentata da verifiche sperimentali realizzate nei luoghi di
interesse, che hanno evidenziato non solo la ‘posizione originaria’
dell’apparecchio del Limongiello alle ore 16.27 ma la ‘sequenza’ delle successive
conversazioni, con aggancio di celle che si avvicinano – man mano – al luogo di
abitazione dei genitori (in Bagnoli). Ciò, sul piano logico accresce la valenza del
dato di partenza, soprattutto ove si consideri che l’ipotesi alternativa emergente dagli atti – vedrebbe il Limongiello in tutt’altra zona della città di
Napoli, ossia la zona portuale, posizionata marcatamente a sud-est rispetto al
territorio di Qualiano (via Santa Maria a Cubito).
E’ noto infatti che in ogni zona vi è una cella «statisticamente preferibile» proprio
perchè «prossima» al luogo in cui va gestita la conversazione e tale aspetto
consente di attribuire alla informazione in questione una effettiva «valenza
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basato sulla elaborazione del segnale da parte di stazioni radio collocate sul

indiziante», nei limiti che derivano dalla consapevolezza del margine di errore
prima descritto e che impongono la validità

attenuata

dell’indizio

(necessariamente concorrente con altri dati informativi).
Del tutto diversa, infatti, è la valenza scientifica che può essere attribuita – ad
esempio – al sistema di posizionamento globale GPS, sistema che attraverso una
rete dedicata di satelliti artificiali in orbita (attualmente in numero di 31)
fornisce informazioni sulle precise coordinate geografiche del ricevitore, con un
grado di accuratezza generalmente stimato nell’ordine di pochi metri di possibile

Ora, è evidente che la «rivalutazione» chiesta dalla difesa, in assenza di
informazioni desumibili da un sistema GPS, è inidonea – di per sè – a portare
elementi di assoluta certezza sulla effettiva posizione del Limongieilo alle ore
16.27, posto che si tratta di mera discussione dei «risultati» di una verifica
operata sul funzionamento di un normale apparecchio cellulare che, quel giorno
ed a quell’ora, venne ‘servito’ dalla stazione radio-base di Via Santa Maria a
Cubito.
In tal senso, non soltanto la risposta fornita dalla Corte di merito in punto di
rinnovazione istruttoria è del tutto congrua (trattandosi di valutare ciò che è già
in atti) ma non contiene alcun aspetto dissonante con il successivo utilizzo, in
chiave dimostrativa, del dato tecnico e storico (la prossimità spaziale tra via
Santa Maria a Cubito e l’abitazione della signora Gigantini).
Si è già detto, infatti, che la localizzazione derivante dall’utilizzo del cellulare, pur
non assistita da certezza scientifica, è statisticamente orientativa – con elevata
probabilità – della prossimità fisica dell’utilizzatore alla stazione radio ove il
segnale è stato elaborato.
Non vi è ragione alcuna, pertanto, di escludere il dato informativo che ne deriva
dalla più ampia valutazione probatoria, in presenza di ulteriori elementi (qui le
dichiarazioni rese dalla teste Bertuzzi e gli altri dati riportati in sentenza) aventi
carattere di precisione e convergenza finalistica.
3.3 Va infatti ricordato come la classificazione logica e giuridica degli elementi
probatori tra prova storica (o diretta) e prova critica (o indiziaria) si muove
esclusivamente sul piano della loro «idoneità rappresentativa» (dello specifico
contenuto informativo) rispetto al fatto da provare.
Tale partizione non riguarda la tipologia della fonte probatoria (un testimone può
essere portatore, ad es., quanto dell’una che dell’altra ‘classe’ di elementi), bensì
il rapporto esistente tra la

‘capacità dimostrativa’,

del singolo elemento

considerato, ed il ‘fatto da provare’ nella sua oggettiva materialità, così come
descritto nella imputazione.

12

scarto.

In tal senso, è definibile quale prova critico-indiziaria, ogni contributo conoscitivo
che, pur non rappresentando in via diretta il fatto da provare, consenta – sulla
base di una operazione di raccordo logico tra più circostanze – di contribuire al
suo disvelamento (dal fatto noto, l’indizio, si perviene alla conoscenza di quello
ignoto).
L’ indizio, pertanto, ha una sua autonoma capacità rappresentativa, che tuttavia
per la sua parzialità, – e per il rappresentare una circostanza diversa (pur se
logicamente collegata) rispetto al fatto da provare – , consente esclusivamente di

meccanismo di inferenza logica capace di condurre ad un accettabile risultato di
conoscenza di ciò che rileva ai fini del giudizio.
Ed è proprio in ragione di tale «deficit strutturale» di capacità dimostrativa, che
la prova indiziaria è oggetto di una particolare cautela valutativa da parte del
legislatore, che ancora il risultato probatorio (art. 192 co.2) all’esistenza di
particolari caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta inferenza
(gravità, precisione, concordanza),

il tutto nell’ambito di una doverosa

valutazione unitaria e globale dei dati raccolti ( Sez. U., 4.2.1992, ric. Ballan,
con insegnamento ribadito da Sez. U n. 33748 del 12.7.2005, ric. Mannino, rv.
231678 : poiché l’indizio è significativo di una pluralità, maggiore o minore di
fatti non noti – tra cui quello da provare-, nella valutazione di una molteplicità di
indizi è necessaria una preventiva valutazione di indicativìtà di ciascuno di essi sia pure di portata possibilistica e non univoca – sulla base di regole collaudate di
esperienza e di criteri logici e scientifici, e successivamente ne è doveroso e
logicamente imprescindibile un esame globale e unitario, attraverso il quale la
relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio possa risolversi,
perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli
altri, sì che il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva
probatoria viene esaltata nella valutazione unitaria, in modo da conferire al
complesso indiziario pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale
può affermarsi conseguita la prova logica del fatto) .
Il singolo indizio, inteso come dato con contenuto informativo tale da
‘concorrere’ all’accrescimento della verità contenuta nell’ipotesi di partenza, va
pertanto sottoposto a verifica al fine di individuarne il «grado di persuasività» (si
veda, sul tema, Sez. I n. 42750 del 9.11.2011, rv 251502) fermo restando che
non può pretendersi che il giudizio di ‘gravità’ (ossia il peso dimostrativo in
rapporto al fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo
del tutto possibile – nell’ambito della valutazione unitaria richiesta dalla norma la concorrenza di elementi indizianti di

maggiore o minore gravità, ferma

restando la necessaria (al fine di raggiungere il risultato dimostrativo) precisione
13

attivare, nella mente del soggetto chiamato ad operare la ricostruzione, un

(intesa come direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo) e
concordanza (il che implica – almeno sul piano tendenziale – la pluralità dei dati
sottoposti a valutazione, la loro convergenza dimostrativa e, in ogni caso,
l’assenza di dati antagonisti, di ‘smentita’).
Il diverso ‘grado’ di gravità del singolo indizio influisce sulla valutazione
complessiva, nel senso che, come è stato ribadito, di recente, da Sez. V n.
16397 del 21.2.2014, rv 259552, in tema di prova indiziaria, il requisito della
molteplicità, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità

indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi,
quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza
di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per
il raggiungimento della prova del fatto.
Dunque può concludersi che – nel caso in esame – il dato tecnico valorizzato in
sentenza, ossia la orientativa localizzazione dell’imputato in località molto vicina
all’abitazione della vittima alle ore 16.27 del 10 novembre del 2006
legittimamente concorre alla ricostruzione del fatto in termini di colpevolezza,
posto che trattasi di dato che ha un contenuto informativo autonomo e
convergente con altre risultanze istruttorie.
In particolare, il dato è stato logicamente rapportato all’evento delittuoso non
soltanto in ragione della prossimità ‘spaziale’ ma anche in rapporto alle verifiche
autoptiche (con rinvenimento di residuo gastrico nello stomaco della vittima) ed
ai verosimili tempi di esecuzione dell’omicidio.
La Gigantini, per quanto è emerso dalla istruttoria, aveva consumato il pasto
Intorno alle ore 13.30 e al momento della morte non lo aveva del tutto digerito,
il che porta a ritenere – sul piano della comune esperienza – del tutto logica la
considerazione contenuta in sentenza circa una tempistica del delitto
antecedente rispetto al momento in cui, alle ore 16.27, Limongiello Pietro attiva
il cellulare dopo circa due ore di ‘assenza del traffico’.
4. Con gli ulteriori motivi di ricorso – il secondo e il terzo, in parte già esaminati la difesa del ricorrente propone temi che esorbitano dal giudizio di legittimità,
mirando ad ottenere una rivalutazione del contributo dimostrativo derivante dalle
dichiarazioni rese da Bertuzzi Angela.
Si è già richiamato il valore della «confessione stragiudiziale» proveniente dalla
teste e va qui precisato che nella verifica di attendibilità intrinseca – realizzata in
sede di merito – non sono rinvenibili incompletezze o travisamenti.
Nel corso dei giudizi di primo e secondo grado sono infatti state vagliate e
disattese le ragioni di ‘sospetto’ circa la piena affidabilità della teste, sia sotto il
profilo del «ritardo» narrativo che in rapporto allo stato d’animo derivante dalla
14

sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di

rottura della relazione sentimentale, con motivazione che risulta dei tutto logica,
in quanto inquadra (come è doveroso fare, rapportandosi alla serie degli
accadimenti) la complessità della relazione sentimentale intercorsa tra la donna
e l’attuale imputato e le sue ricadute emotive.
Ad un iniziale atteggiamento di ‘protezione’ (con reticenza nei primi contatti con
gli investigatori) ritenuto comprensibile in virtù della speranza di riattivare il
rapporto a due, è infatti seguita una fase ‘rivendicativa’ sotto il profilo del danno
economico arrecato da condotte tenute dal Limongiello e la successiva

Tali aspetti risultano tutti valutati (con considerazioni niente affatto illogiche) in
un contesto ove è stata attribuita decisiva valenza alla «ricchezza» della
narrazione, avente dettagli (come, ad esempio la presenza della pioggia al
momento della fuga, dato risultato veritiero) conoscibili solo in capo al reale
autore del fatto (si ricordi che la Bertuzzi viveva a Verona).
Le diverse considerazioni proposte dalla difesa mirano alla ‘sostituzione’ del peso
dimostrativo delle dichiarazioni (operazione non realizzabile nella presente sede)
o evidenziano fratture logiche in realtà insussistenti. Lo stesso tentativo di
strangolamento, infatti, non può dirsi escluso dagli esiti autoptici, posto che sono
state rilevate escoriazioni sul collo derivanti – verosimilmente – dall’uso della
corda rinvenuta sul posto, sia pure utilizzata con forza non tale da concorrere,
sul piano eziologico, all’evento morte. Ciò pertanto non esclude che il dettaglio
possa essere stato realmente narrato dal Limongiello alla Bertuzzi e da questa
riferito.
Per il resto, la difesa evita di confrontarsi – in ciò ricadendo nel vizio di
frammentarietà – con gli esiti delle captazioní telefoniche (riportati nella
decisione di primo grado) che, sia pure in via indiziaria, hanno concorso alla
affermazione di responsabilità, data l’evidente tendenza del Limongiello – e del
padre – a fornire agli inquirenti una ricostruzione non veritiera degli spostamenti
tenuti nel primo pomeriggio del 10 novembre del 2006.
Per tali ragioni il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente
giudizio dalle costituite parti civili, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonchè a rimborsare alle parti civili costituite le spese del presente giudizio, che
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narrazione della drammatica confidenza ricevuta.

liquida in euro 4.000,00 in favore di Monte Annamaria ed euro 4.000,00 in
favore di Gigantini Giovanni
Così deciso il 6 maggio 2015

Il Consigliere estensore

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