Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41289 del 29/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 41289 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DURANTE GIUSEPPE N. IL 30/03/1954
DE SIMONE MASSIMO N. IL 25/05/1968
avverso la sentenza n. 5221/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di MESSINA, del 07/08/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 29/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 agosto 2013, resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc.
pen., il G.u.p. del Tribunale di Messina, ha applicato a Durante Giuseppe e De
Simone Massimo, imputati, in concorso, dei delitti di tentato omicidio in danno di
Carbonaro Maria, Stracuzzi Alessia e Arrigo Gioele e di detenzione e porto illegali
della pistola utilizzata per commettere il primo reato, la pena concordata fra le

quattro di reclusione, ritenuta corretta la qualificazione giuridica dei fatti
contestati e considerata legittima e congrua l’entità delle rispettive pene.
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi
gli imputati con separati atti.
Durante Giuseppe ha chiesto l’annullamento della sentenza deducendo, con
unico motivo, violazione di legge e mancanza e illogicità della motivazione, ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art.
129 cod. proc. pen., per l’omessa verifica della compiutezza dell’ipotesi
accusatoria in ordine alla corretta qualificazione giuridica del reato di tentato
omicidio e alla entità della pena applicata.
De Simone Massimo ha articolato due motivi a fondamento del chiesto
annullamento della sentenza, deducendo, con il primo, violazione dell’art. 129
cod. proc. pen., degli artt. 110, 56, 575 cod. pen. e degli artt. 110 cod. pen., 4 e
7 legge n. 895 del 1967, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod.
proc. pen., dolendosi dell’omessa valutazione degli elementi che avrebbero
potuto portare a un suo proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. e, con il
secondo motivo, violazione degli stessi indicati articoli, in relazione all’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per totale mancanza di motivazione circa la
sussistenza delle condizioni per il suo proscioglimento e la congruità della pena.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, i ricorsi sono stati rimessi a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
2. Questa Corte ha più volte affermato che l’obbligo della motivazione,
imposto al giudice dagli artt.111 Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte
le sentenze, opera anche rispetto alla sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti, che deve

essere rispondente al modello di sentenza

prefigurato dal codice di rito, che all’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
2

parti, pari per il primo ad anni cinque di reclusione e per il secondo ad anni

prevede “la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione
è fondata”.
Nella giurisprudenza di questa Corte è stato, tuttavia, precisato che l’obbligo
della motivazione non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444, comma 2, cod. proc.
pen., rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una
funzione di semplice presa d’atto del patto concluso dalle parti, lo sviluppo delle
linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza

fatti dedotti nell’imputazione.
2.1. Movendo da tale prospettiva interpretativa, le Sezioni Unite di questa
Corte hanno delineato una compiuta analisi strutturale della motivazione della
sentenza prevista dall’art. 444, comma 2 cod. proc. pen., chiarendo che la stessa
si esaurisce in una delibazione a un tempo positiva e negativa:
– positiva quanto all’accertamento della sussistenza dell’accordo delle parti
sull’applicazione di una determinata pena, della correttezza della qualificazione
giuridica del fatto nonché dell’applicazione e della comparazione delle eventuali
circostanze, della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art.
27, comma 3, Cost., e della concedibilità della sospensione condizionale della
pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del
beneficio;
– negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità
o di non procedibilità o di estinzione del reato.
Le delibazioni positive devono essere necessariamente sorrette dalla concisa
esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto riguarda il
giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste dall’art. 129 cod.
proc. pen., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa
della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti
risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza delle suindicate ipotesi
(Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv. 191135;
Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270).
2.2. Si è anche puntualizzato che, in tema di patteggiamento, la possibilità
di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto
in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui
sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati,
mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti
margini di opinabilità, rimarcandosi che, anche in questo caso, la verifica
sull’osservanza della previsione contenuta nell’art. 444, comma 2, cod. proc.
pen. deve essere compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione,

3

dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i

della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso (tra le
altre, Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 02/04/2013, Bisignani, Rv. 254865)
3. Nella specie, il G.u.p. del Tribunale di Messina, prima di applicare la pena
patteggiata conforme all’accordo tra le parti, ha controllato l’insussistenza delle
condizioni indicate nell’art. 129 cod. proc. pen. e ha coerentemente rilevato
l’esatta qualificazione giuridica delle fattispecie contestate, oltre alla correttezza
del trattamento sanzionatorio nei termini concordati, che ha ampiamente
ripercorso.

è immune dai denunciati vizi, peraltro formulati in termini del tutto astratti e
senza il minimo riferimento a concreti elementi che potessero imporre una più
diffusa esposizione delle ragioni della ritenuta qualificazione.
Né gli imputati, che hanno chiesto l’applicazione di determinate pene,
possono dolersi della entità delle stesse, da essi stessi sollecitata, né della
complessiva adeguatezza del trattamento concordato, evocando una generica
omessa disamina degli atti, già considerati e valutati nella concreta formulazione
delle richieste.
4. Consegue la declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali, e di ciascuno – valutato il
contenuto dei ricorsi e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella
proposizione dell’impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, della somma che appare congruo determinare in millecinquecento
euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di millecinquecento
euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Consegue che, alla luce dei predetti condivisi principi, la sentenza impugnata

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