Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4113 del 04/12/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4113 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Fratepietro Benvenuto, nato il 6.1.1971
avverso la sentenza n. 2958\12 della Corte di appello di Bari del 7.1.14
udita la relazione svolta dal consigliere Sandra Recchione
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Delehaye Enrico che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,
Uditi l’avv. Domenico Farina del foro di Foggia difensore della parte civile Cifaldi
Michele, che chiede l’inammissibilità del ricorso e l’avv. Giovanni Antonio
Dellacroce del Foro di Foggia che chiede l’annullamento della sentenza
impugnata ed in alternativa la prescrizione

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Bari in riforma della sentenza del 3 gennaio 2011 del
tribunale di Foggia, sezione distaccata di Cerignola, confermava l’accertamento
di responsabilità relazione al reato di truffa contrattuale nei confronti del

Data Udienza: 04/12/2014

Fratepietro in concorso con l’imputato Lucano, non ricorrente, all’imputato si
contestava di avere pagato il calcestruzzo commissionato alla parte civile con
assegni che venivano protestati. Fratepietro veniva condannato, riconosciute le
attenuanti generiche alla pena di anno uno di reclusione ed euro 500 di multa.

2. Avverso tale sentenza ricorreva per cassazione l’imputato personalmente
deducendo:
1) Violazione dell’articolo 337 comma 3 cod. proc. pen. Si sosteneva che la
querelante non aveva alcun titolo per agire in nome della persona giuridica

rappresentanza; si precisava che l’onere di provare la legittimità del potere di
rappresentanza non poteva essere riversato sull’imputato.
2)

Contraddittorietà della motivazione in ordine all’accertamento di

responsabilità. Si censurava la mancata considerazione degli elementi dedotti
con l’atto di appello; il ricorrente ribadiva che la prima commissione, alla quale
aveva partecipato il Fratepietro, veniva regolarmente onorata, mentre alla
seconda, rimasta insoluta il Fratepietro non aveva però partecipato, essendo la
condotta posta in essere dal solo coimputato.
3) Si contestava l’eccessività della pena in relazione al fatto che non si era
effettuata qualcuna valutazione differenziale tra la condotta del Lucano e quella
del coimputato laddove la condotta del Fratepietro si presenta assolutamente
marginale
4) Si censurava infine l’omessa considerazione delle doglianze nei confronti
delle statuizioni civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso si presenta manifestamente infondato.
1.1. Quanto alla asserita carenza dei poteri di rappresentanza del querelante, il
collegio condivide il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui
l’esercizio del diritto di querela, in mancanza di uno specifico divieto statutario o
assembleare, rientra fra i compiti del rappresentante legale di una società di
capitali e, pur trattandosi di un atto di straordinaria amministrazione, non
richiede il conferimento di un apposito mandato (Cass. sez. 6, n. 16150 del
26/04/2012, Rv. 252715; Cass. sez. 6, n. 7845 del 30.4.1999, Rv. 214735
Cass. Sez. 6, n. 501 del 16/12/1996 Rv. 207737). Pertanto l’invocato vizio non
sussiste.
1.2. Il secondo motivo di ricorso

è manifestamente infondato. Il ricorrente

offre una lettura alternativa delle emergenze processuali non proponibile in sede
2

perché la querela era priva delle indicazioni della fonte dei poteri di

di legittimità. La Corte di merito nell’accertare la responsabilità del Fratepietro
ha offerto una motivazione priva di fratture logiche e coerente con le prove
emerse nel corso del processo. A pag. 4 della sentenza impugnata si legge che
«è proprio la condotta concretamente osservata dal Fratepietro a far ritenere
che costui non si è limitato ad agire per nome per conto dell’altro, senza
consapevolezza della volontà di non pagare da parte di quest’ultimo ma che al contrario – abbia partecipato a pieno titolo alla truffa giacchè non si è solo
occupato delle commissione (lo sostiene la p.o) ma ha anche fornito dati inesatti
concernenti il Lupano, così da non renderlo facilmente rintracciabile». Si rileva

commissione non «risulta provata e risulta smentita dalla po».
Non può essere in alcun modo censurata infatti la scelta di assegnare la
massima affidabilità alle dichiarazioni della persona

offesa, laddove non

emergano elementi che inducano a ritenere la testimonianza non credibile.
Il compendio motivazionale posto a sostegno della affermazione dei
responsabilità si articola su valutazioni di merito coerenti con le emergenze
processuali che non si prestano ad alcuna censura in questa sede.
Il collegio condivide, in punto di limiti della cognizione affidata alla Corte di
legittimità, la costante giurisprudenza della Corte secondo cui esula dai poteri
della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento
impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata
esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità
solo la verifica dell'”iter” argomentativo di tale giudice, accertando se
quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno
condotto ad emettere la decisione (Cass. Sez. 6, 14.4.1998 n. 1354; Cass. Sez.
U, sent. n. 930 del 13/12/1995, dep 1996, Rv. 203428; Sez. 6, sent. n. 10751
del 05/11/1996, Rv. 206335; Sez. 1, sent. n. 7113 del 06/06/1997, 208241;
Sez. 1, sent. n. 803 del 10/02/1998„ Rv. 210016; Sez. 1, sent. n. 1507 del
17/12/1998, Rv. 212278; Sez. 6, sent. n. 863 del 10/03/1999, Rv. 212997).
1.3.Manifestamente infondate sono anche le doglianze relative al trattamento
sanzionatorio. Sul punto il collegio condivide il consolidato orientamento della
Corte di cassazione secondo cui la determinazione in concreto del trattamento
sanzionatorio è frutto di una valutazione di merito insindacabile in sede di
legittimità. Al riguardo si condivide la giurisprudenza della Corte di cassazione
secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena
base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne
3

inoltre che la affermazione dell’imputato di avere partecipato solo alla prima

discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad
una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia
frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente
motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
Nel caso di specie il ricorrente

si doleva genericamente della gravità

trattamento sanzionatorio, lamentasi della entità della pena inflitta,
proponendo una doglianza manifestamente infondata.
1.4. Le doglianze relative alle statuizioni civili si presentavano generiche fin
dalla proposizione con i motivi di appello, dunque originariamente

Il

collegio

condivide

l’orientamento

secondo

cui

la

inammissibilità

dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere
dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto
giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo
le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate,
anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (Cass. sez. 2, n. 40816
del 10/07/2014, Rv. 260359, Cass. sez. 4, n. 16399 del 3 ottobre 1990, rv.
185996). Il che conduce a ritenere non ammissibili le doglianze proposte dal
ricorrente relativamente alle statuizioni civili, la cui genericità le rendeva
inammissibili anche all’atto della proposizione con i motivi di appello.

2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che si determina equitativamente in C 1000,00. Il ricorrente deve altresì
essere condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute in questo
grado dalla costituita parte civile liquidate in euro 2000 oltre rimborso spese
forfettarie Iva e Cpa.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 alla Cassa delle ammende.
Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute in
questo grado dalla costituita parte civile liquidate in euro 2000 oltre rimborso
spese forfettarie Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, il giorno 4 dicembre 2014

L’estensore

inammissibili.

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