Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41079 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 41079 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANNIZZARO GIORGIO N. IL 07/01/1950
avverso l’ordinanza n. 326/2014 TIZIE. LIBERTA’ di CATANIA, del
20/03/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 09/07/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Gioacchino Izzo, ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso.

Per il ricorrente è presente l’Avvocato Valerlo Vianello Accorretti, il quale chiede l’accoglimene°
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del Riesame di Catania, con ordinanza del 20 marzo 2014, rigettava
l’appello proposto nell’interesse di Cannizzaro Giorgio avverso l’ordinanza emessa dal

2013.
2.

L’indagato era stato raggiunto da una prima ordinanza applicativa della custodia
cautelare in carcere, emessa dal Gip presso il Tribunale di Catania, in data 21 febbraio
2009, ed eseguita il 25 febbraio 2009, per intestazione fittizia dei beni, aggravata ai
sensi dell’articolo 7 del d.l. n. 152 del 1991 e, in conseguenza ditale provvedimento,
era stato ristretto sino alla data del 28 marzo 2011.

3.

Due anni più tardi, il Gip aveva emesso, in data 16 aprile 2013, l’ulteriore ordinanza di
custodia cautelare per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, fondando il
provvedimento su un vasto materiale investigativo costituito anche da intercettazioni
telefoniche e ambientali relative agli anni 2007 e 2008, oltre ad una conversazione del
2 febbraio 2009, raccolta, in parte, in epoca precedente all’emissione della prima
ordinanza del 25 febbraio 2009.

4.

Secondo l’assunto difensivo dato che il materiale investigativo era tutto antecedente
all’emissione della prima ordinanza, poiché ricorreva connessione tra il reato di
intestazione fittizia e quello di associazione mafiosa e gli elementi costitutivi del reato
associativo erano desumibili già all’epoca della prima misura cautelare, dovevano
reputarsi scaduti i termini di fase, ai sensi dell’articolo 297, comma 3 del codice di rito.

5. Il Tribunale ha rigettato l’impugnazione sulla base di tre argomentazioni: ha escluso che
il reato associativo, oggetto della seconda ordinanza cautelare, fosse solo precedente (e
non anche successivo) alla data del 21 febbraio 2009, di emissione del primo
provvedimento cautelare; ha ritenuto insussistente, sia il nesso teleologico, che la
continuazione fra i due reati di associazione e quella di fittizia intestazione dei beni; ha
escluso che, al momento della emissione della prima ordinanza cautelare, fossero
desumibili tutti gli elementi per la sussistenza della fattispecie associativa mafiosa a
carico del ricorrente.
6. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la difesa dell’indagato
deducendo:
• violazione dell’articolo 279, terzo comma del codice di rito poiché le risultanze
processuali non consentivano di affermare la permanenza del vincolo associativo, anche
dopo l’ordinanza custodiale del 21 febbraio 2009;

giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale in data 30 dicembre

mancata valutazione dell’esistenza di una presunzione di interruzione della condotta
criminosa in conseguenza di un provvedimento coercitivo che limita la libertà personale;

errata valutazione dei presupposti del vincolo di continuazione, da esaminare all’esito
dei rispettivi processi;

mancata valutazione del copioso materiale probatorio rappresentato dalle intercettazioni
telefoniche, idoneo a dimostrare la sussistenza della fattispecie associativa già al

CONSIDERATO IN DIRITTO

L’ordinanza impugnata non merita censura.
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa dell’indagato rileva che la decisione impugnata,
con riferimento al profilo della anteriorità del delitto associativo, oggetto della seconda
ordinanza cautelare, rispetto al momento di emissione del primo provvedimento
cautelare, risulta fondata solo su presunzioni. L’esame concreto delle dichiarazioni dei
collaboratori avrebbe consentito di escludere l’ipotesi del coinvolgimento associativo
dell’indagato, anche nel periodo successivo all’esecuzione dell’ordinanza del 21 febbraio
2009, sino alla data dell’aprile 2010, indicata come termine finale del reato
permanente. In particolare, alcun elemento concreto sarebbe stato possibile trarre dalle
dichiarazioni rese dal collaborante La .Causa riguardo a quanto avvenuto sui territorio
sino all’anno 2012 e ciò perché lo stesso era stato detenuto per molti anni e, nello
specifico, dall’anno 2007 sino alla scelta di collaborare. Analoghe considerazioni
riguardavano le dichiarazioni di Sturiale il quale, pur essendo stato arrestato nel mese
di ottobre 2009, non avrebbe fornito alcun elemento utile riguardo all’attività svolta
dall’indagato all’interno della associazione, anche dopo il suo arresto, in sede di
esecuzione della ordinanza cautelare del 21 febbraio 2009.
2. In secondo luogo la difesa evidenzia che, in presenza di un reato permanente,
l’esistenza di un provvedimento coercitivo determina una presunzione di interruzione
della condotta criminosa (Cass. n. 48211 del 13 novembre 2013) che non appare

momento dell’emissione della prima ordinanza di custodia cautelare.

superata dalle emergenze processuali.
3. Il motivo è inammissibile poiché la difesa deduce la presunta inconsistenza di elementi
idonei a dimostrare la permanenza del vincolo associativo in capo all’indagato, anche
nel periodo successivo all’esecuzione della misura cautelare del 21 febbraio 2009 e sino
alla data di permanenza della associazione, indicata nel mese di aprile dell’anno 2010
nel capo d’imputazione, sulla base di elementi di fatto estrapolati da un copioso
materiale probatorio, senza trascrivere, allegare o indicare, nell’ambito dei relativi
faldoni, la collocazione degli atti specifici dai quali poter evincere, in concreto, che
l’apporto fornito dai collaboranti La Causa e Sturiale risulta contraddittorio o
inattendibile.
41 1A

4.

Si richiede alla Corte una valutazione dei fatti che non vengono neppure documentati e
ciò non consente di operare il doveroso controllo di congruità della motivazione.

5. In ogni caso, le dogiianze sono infondate poiché il Tribunale ha fatto proprio il principio
espresso dalla giurisprudenza che consente la retrodatazione della decorrenza del
termine di durata della misura successivamente disposta, ove ricorra il presupposto
dell’emissione di più ordinanze di custodia cautelare per fatti diversi, commessi prima
dell’emanazione del primo provvedimento coercitivo. Il Tribunale, pertanto,

contestato fino all’aprile 2010, ben avrebbe potuto fondarsi su un vincolo di adesione
perdurato anche in epoca successiva alla carcerazione dell’indagato,

in virtù della

ordinanza del 21 febbraio 2009, poiché i collaboratori di giustizia non avevano in alcun
modo fatto riferimento alla cessazione della messa a disposizione del clan, in funzione
della sopravvenuta carcerazione.
6. Con il secondo motivo la difesa contesta l’affermazione del Tribunale circa
l’insussistenza, sia del nesso teleologico, sia del vincolo della continuazione. Quanto a
quest’ultimo, la valutazione sulla sussistenza del vincolo andrebbe operata all’esito del
processo, al fine di verificare se le due fattispecie avrebbero potuto, per ipotesi, all’esito
dei rispettivi processi, essere attinte dal vincolo della continuazione.
7. Il motivo è inammissibile nella parte in cui pone a sostegno della doglianza una mera
ipotesi, riguardo all’astratta e successiva configurabilità dei presupposti della
continuazione, non deducendo alcun elemento di senso contrario rispetto alla puntuale
argomentazione posta a sostegno dei provvedimento impugnato. Analoghe
considerazioni riguardano le censure relative al nesso teleologico rispetto alle quali la
deduzione della difesa è viziata dal presupposto errato dell’antecedenza del reato
associativo rispetto a quello oggetto della prima ordinanza. Presupposto che, per le
considerazioni che precedono, non può ritenersi provato.
8.

Per il resto, le doglianze sono infondate. Il Tribunale ha applicato il principio secondo cui
la retrodatazione opera nell’ipotesi di ordinanze cautelari emesse in procedimenti
diversi, quando sussista una connessione qualificata (cioè il concorso formale, il vincolo
di continuazione o il nesso teleologico), per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a
giudizio, nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare.

9. Il Tribunale ha correttamente escluso la sussistenza del nesso teleologico nei rapporti
tra delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso e reati fine, sulla base del
principio dell’autonomia del reato associativo rispetto al quale i delitti fine, sono ideati e
attuati successivamente (Cass. n. 34557 del 25 luglio 2003). Nello stesso modo
correttamente ha escluso la sussistenza della continuazione poiché non era possibile
affermare che al momento della prima adesione dell’indagato all’associazione mafiosa,
risalente al lontano anno 1986, lo stesso avesse deliberato, nell’ambito di un disegno

correttamente ha ritenuto che il reato associativo oggetto della seconda ordinanza,

criminoso unitario, di porre in essere l’attività di illecita intestazione fittizia di quote, che
costituiva oggetto della prima ordinanza di custodia cautelare.
10.Infatti, va ribadito in questa sede, il principio costantemente affermato dalla
giurisprudenza secondo cui normalmente non è configurabile la continuazione tra reato
associativo e reati fine, se non nei casi In cui il giudice verifichi puntualmente che i reati
fine siano stati programmati al momento della costituzione dell’associazione (Sez. 1, n.
40318 del 04/07/2013 – dep. 27/09/2013, Corigliano, Rv. 257253) risultando del tutto

condotta di intestazione fittizia di quote societarie fosse avvenuta mentre era in vita
l’associazione criminale. Nello stesso modo il Tribunale ha fatto corretto uso dei principi
in materia che escludono la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che,
pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al
rafforzamento dei medesimo, non erano programmabili “ah origine” perché legati a
circostanze ed eventi contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili al
momento iniziale dell’associazione stessa, attesa l’insufficienza del solo rapporto di
strumentalità dei reati fine, alla funzionalità della cosca (Sez. 1, n. 13609 del
22/03/2011 – dep. 05/04/2011, Bosti, Rv. 249930).
11.Con il terzo motivo la difesa censura la motivazione del Tribunale sull’impossibilità di
desumere dagli atti in possesso dell’ufficio inquirente, alla data di emissione del primo
provvedimento cautelare, gli elementi costitutivi della fattispecie associativa mafiosa.
Secondo la tesi difensiva il materiale probatorio, anche in assenza del contributo fornito
dai collaboratori, ascoltati in un momento successivo, poteva ritenersi sufficiente per
individuare gli elementi costitutivi della fattispecie associativa, poiché le dichiarazioni
presenti nelle intercettazioni raccolte nell’ambito del procedimento cd “Padrini 3”
apparivano ampie e consistenti.
12. La doglianza è inammissibile, perché generica, fondandosi su una astratta valutazione di
sufficienza di un non meglio definito “copioso materiale intercettativo” raccolto, che la
difesa si limita a menzionare, senza documentare e allegare, al fine di consentire alla
Corte di legittimità di valutare la congruità della motivazione.
13.In ogni caso le censure sono infondate, poiché non consentono di superare le puntuali
argomentazioni del giudice a quo secondo cui, al momento dell’emissione della prima
ordinanza del 25 febbraio 2009 non erano desumibili, da tutti gli elementi acquisiti dal
Tribunale del Riesame, i presupposti per la fattispecie di associazione mafiosa.
14. Sotto tale profilo ha evidenziato che la seconda ordinanza, relativa al reato associativo,
si fondava su una piattaforma istruttoria molto articolata, costituita non soltanto dalle
intercettazioni telefoniche e ambientali menzionate dalla difesa nell’ultimo motivo di
ricorso, e relative agli anni 2008 e 2009, ma anche dalle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia acquisite nel mese di novembre 2009, gennaio 2010, maggio 2011 e 2012.

insufficiente, per l’applicazione della disciplina del reato continuato, la circostanza che la

15.Le risultanze processuali evidenziano il dato decisivo, ai fini che qui rilevano, della
anteriorità della ordinanza dei 21 febbraio 2009, rispetto alle decisive dichiarazioni rese
dai pentiti, che si collocano nei mesi successivi a ottobre 2009, come evidenziato in
premessa.
16.Sulla base di tali elementi, alla data di emissione della misura, il Pubblico Ministero non
era in grado di configurare il reato associativo, considerando, anche, che il materiale
istruttorio è stato sottoposto all’inquirente solo in data 21 ottobre 2011 con la relativa

17.In conclusione la decisione impugnata va confermata e alla pronuncia di rigetto
consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.att. c.p.p.
Così deciso in Roma il 9/07/2014
Il Consigliere estensore

informativa di reato.

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