Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41078 del 09/07/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 41078 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AVOLA MASSIMILIANO N. IL 14/06/1976
avverso l’ordinanza n. 1964/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
25/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 09/07/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Gioacchino Izzo, ha concluso chiedendo il
rigetto dei ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Enrico Piatanìa in sostituzione dell’Avv. Giuseppe Di
Stefano, il quale chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

emessa dal Tribunale di Catania, in sede di riesame, il 25 novembre 2013, con la quale
veniva parzialmente annullata l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Catania
il 17 novembre 2013, che aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere
nei confronti del ricorrente, perché indiziato dei delitti previsti all’articolo 416 bis del
codice penale, poiché avrebbe fatto parte, dal gennaio 2012, dell’associazione di tipo
mafioso denominata wClan Piscopo” operante nel territorio di Vittoria e zone circostanti
(capo 1), nonché di plurimi reati di estorsione, tentata consumata, aggravata dal
metodo e dalle finalità mafiose, ai sensi dell’articolo 7 del di. 152/1991 (capi, da 2 a
15), consistenti nell’imposizione di un servizio abusivo di guardiania nei terreni rurali
facenti capo a imprese; illecita concorrenza con violenza e minaccia aggravata ai sensi
del citato articolo 7 (capo 16) e numerosi episodi di furto aggravato.
2. Avversa l’ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere, emessa dal giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania, i difensori avevano proposto
impugnazione e il Tribunale del Riesame, con provvedimento del 25 novembre 2013,
aveva annullato l’ordinanza emessa, limitatamente a taluni dei reati di furto commessi,
(di cui ai capo 18), confermando nel resto l’ordinanza.
3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la difesa di Avola, lamentando:

insufficienza della motivazione o erronea applicazione della legge penale, in relazione
alla qualificazione giuridica del fatto contestato al capo 1) della rubrica, quale
associazione mafiosa e utilizzo irrituale della motivazione per relationem.

erronea applicazione della legge penale o mancanza assoluta di motivazione riguardo ai
residui addebiti (in particolare gli episodi di estorsione) e alla contestata circostanza
aggravante prevista all’articolo 7 della legge n. 203 del 1991.

CONSIDERATO IN DIRITTO

L’ordinanza impugnata non merita censura.
1. Con il primo motivo di ricorso i difensori di Avola Massimiliano lamentano vizio di
motivazione e violazione di legge riguardo alla sussistenza dei gravi indizi dei reati
contestati, essendo necessaria una qualificata probabilità di colpevolezza. In particolare,
con riferimento al reato associativo, è richiesto il volontario perseguimento degli scopi

1. I difensori di Avola Massimiliano propongono ricorso per cassazione contro l’ordinanza

della consorteria, nella consapevolezza di inserire la propria condotta su quella degli
altri associati, mentre tale profilo non è stato adeguatamente valutato nel
provvedimento impugnato.
2. E’ stato valorizzato il pregresso inserimento del ricorrente in un’associazione mafiosa
per fatti riferiti all’anno 2002, rispetto ai quali i collaboratori di giustizia non avrebbero
fornito elementi di novità.
3. Sulla base di tali argomentazioni non sussisterebbero neppure i gravi indizi riguardo

4.

Sotto altro profilo i difensori censurano il ricorso eccessivo dei giudici del riesame alla
motivazione per relationem, che tende a vanificare il mezzo di impugnazione attraverso
il generico rinvio al provvedimento impugnato.

5. Con il secondo motivo, con riferimento alle ipotesi di estorsione, la difesa deduce la
mancanza dei presupposti di cui all’articolo 629 del codice penale, per la cui punibilità è
richiesto che la volontà della vittima sia viziata da timore indotto da violenza o
minaccia, posta in essere dall’agente, mentre le risultanze processuali non evidenziano
che Avola abbia usato violenza o minaccia nei confronti degli imprenditori.
6.

Preliminarmente va ribadito che, in tema di misure cautelar’ personali, allorché sia
denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso
dal Tribunale del Riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla
Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione .alla peculiare natura del
giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del
quadro indiziarlo a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai
principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. (Sez. 4, n.
26992 del 29/05/2013 – dep. 20/06/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460) e il vizio di
mancanza della motivazione .non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando
non risulti “prima fede” dal testo del provvedimento impugnato, restando a essa
estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni
di fatto. (Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011 – dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251761).
Pertanto, a questa Corte non compete un potere di revisione degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato,

ivi compreso

l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di
apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata
chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del Riesame (Sez. 5,
n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997).

all’aggravante della commissione dei fatti con le modalità mafiose.

7. Ciò premesso, il vaglio logico e puntuale delle risultanze processuali operato dal
Tribunale per il riesame non consente a questa Corte di legittimità di muovere critiche,
nè tantomeno di operare diverse scelte di fatto.
8.

Quanto al rinvio operato dal Tribunale a singoli elementi contenuti in altri provvedimenti
giurisdizionali, risultano osservate le tre condizioni richieste dalla giurisprudenza ai fini
della legittimità della motivazione “per relationem”.

9. Il riferimento, recettizio o di semplice rinvio, riguarda un legittimo atto del

propria del provvedimento di destinazione. Il Tribunale dimostra, nei fatti, di avere
preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di
riferimento e le ha meditate e ritenute coerenti con la sua decisione. Infine, l’atto di
riferimento, è allegato o trascritto nel provvedimento o comunque è conosciuto
dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale
l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e,
conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione
(Cassazione penale , sez. un., 21 giugno 2000, n. 17).
10.A tali considerazioni occorre aggiungere che, in tema di motivazione dei provvedimenti
sulla libertà personale, l’ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla
richiesta di riesame, sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicché la
. motivazione del Tribunale del Riesame integra e completa l’eventuale carenza di
motivazione del provvedimento del primo giudice e, viceversa, la motivazione
insufficiente del giudice del riesame può ritenersi integrata da quella del provvedimento
impugnato, allorché, in quest’ultimo -come nel caso di specie- siano state indicate le
ragioni logico – giuridiche che, ai sensi degli art. 273, 274 e 275 c.p.p., ne hanno
determinato l’emissione.
11.Con specifico riferimento alle censure relative ai gravi indizi di reità, riferiti al reato
associativo, in sede cautelare la valutazione degli indizi di colpevolezza deve essere
condotta con minor rigore rispetto a quanto deve avvenire nell’ambito del giudizio di
condanna. Trattasi di affermazione che trova la sua fonte normativa nell’articolo 273 del
codice di procedura penale che, al comma 1 bis, richiama i commi 3 e 4 dell’articolo 192
e non invece il numero 2, che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non
solo gravi, ma anche precisi e concordanti). Anche questa Corte (Cassazione penale ,
sez. IV, 06 luglio 2007, n. 37878) ha già ricordato che in tema di misure cautelari
personali, la nozione di “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273 c.p.p. non si
atteggia allo stesso modo del termine “indizi” inteso quale elemento di prova idoneo a
fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta a indicare la “prova logica o
indiretta”, ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192,
comma 2, c.p.p.), che consente di risalire a un fatto incerto attraverso massime di
comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare è quindi sufficiente

procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione

t

qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità
sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. Gli indizi, dunque, ai fini
delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per
il giudizio di merito dall’art. 192, comma 2, c.p.p.
12.Nello specifico, il Tribunale del Riesame, con riferimento al nucleo centrale delle
censure, relative al reato associativo, ha illustrato, con motivazione adeguata ed esente
da censure, l’esistenza di un’associazione mafiosa evidenziando che, sulla base di

dell’associazione di tipo mafioso, denominata “cosa nostra”, articolata in famiglie,
suddivisa in più gruppi circoscritti, uno dei quali operante in Vittoria e facente capo ai
fratelli Piscopo e legato alla cellula di “cosa nostra” di Gela. Le risultanze processuali,
non contestate dal ricorrente in questa sede, hanno evidenziato la perdurante vitalità
nel territorio di Vittoria di tale articolazione composta, oltre che da Avola, anche da
Guastella Francesco e dai fratelli Rotante Enzo e Gianluca, impegnata
nell’accaparramento parassitario e nel controllo violento delle attività economiche
dell’area di riferimento.
13.11 quadro indiziarlo è integrato dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Ancora
Pollo e Ferma Giovanni. Quest’ultimo ha riferito, nello specifico, che l’attività di
guardiania nel territorio di Vittoria era nelle mani del ricorrente e del Guastella i quali si
procuravano tale attività dietro larvate minacce, facendo prima eseguire furti. e
danneggiamenti in danno degli imprenditori presi di mira e, poi, imponendo il servizio di
custodia. L’attendibilità dei collaboratori non è contestata in ricorso.
14. Non vi sono dubbi sulla sussistenza del carattere mafioso anche di tale articolazione,
poiché Avola Massimiliano ricopriva un ruolo apicale ed era noto nell’ambiente anche
per avere organizzato e ospitato riunioni tra esponenti di due consessi mafiosi locali
contrapposti, indice sintomatico della sua partecipazione all’associazione mafiosa e della
fiducia riscossa all’interno, garantita da collegamenti con plurimi esponenti di ben due
consorterie.
15.11 Tribunale ha adeguatamente evidenziato che il ricorrente risulta strettamente legato,

numerose sentenze passate in giudicato, poteva ritenersi acclarata l’esistenza, in Sicilia,

sulla base delle dichiarazioni dei collaborante Ferma Giovanni, a Guastella nella
imposizione “a tappeto” dei servizi di vigilanza agli imprenditori.
16.Un terzo elemento di riscontro é costituito dal contenuto delle intercettazioni
analiticamente riportate nell’ordinanza impugnata che evidenziano, tra l’altro, il
coinvolgimento stretto di Avola e Guastella, oltre che dei fratelli Rotanti, in veste, questi
ultimi, subordinata, nel consesso mafioso. Le conversazioni descrivevano atti di
punizione violenta nei confronti dei soggetti che avevano disatteso le disposizioni,
orgogliose rivendicazioni di una sfera di supremazia territoriale nei confronti di
potenziali rivali, con modalità di controllo violento del territorio, tipiche dei consessi di
stampo mafioso (sintomatiche le frasi ricorrenti nelle conversazioni “fagli capire con chi ai

hanno a che fare… Fagli fare subito retromarcia… Riprendersi di nuovo tutta la zona…”
Oppure “sono i guardiani della zona (Avola e Guastelia) e comandano loro”).
17. Nello stesso senso milita, anche ai fini della prova dell’apporto concreto all’associazione,
il riferimento contenuto nelle conversazioni alla distribuzione periodica di somme di
denaro alla stregua di retribuzioni mensili, legate proprio a un contesto associativo più
ampio, dove il termine stipendio si riferisce, come ben argomentato dal Tribunale, agli
emolumenti corrisposti mensilmente a coloro che si mettono a disposizione,

18. Conseguentemente, contrariamente alle generiche contestazioni del ricorrente,
emergono elementi certi in ordine alla sussistenza, a partire dal mese di gennaio 2012,
di una condotta posta in essere dal ricorrente e dagli altri associati, di imposizione
continuativa nei confronti di plurimi imprenditori di Vittoria, dello svolgimento di un
preteso servizio di vigilanza dei terreni agricoli, sede delle rispettive imprese, con
corresponsione di somme di denaro periodiche, sulla base di un regime di sostanziale
monopolio, facendo leva sulla caratura mafiosa di Avola e sulla tacita minaccia di
ritorsioni nei confronti dei destinatari.
19.Sotto tale profilo il provvedimento impugnato, con motivazione congrua e adeguata, ha
evidenziato i dati essenziali dell’aggravante di cui all’articolo 7 della legge n. 203 del
1991, poiché il ricorrente, unitamente agli altri associati, aveva di mira l’accrescimento
della posizione del sodalizio sul territorio, attraverso lo sfruttamento parassitario di
attività economiche floride della zona, con la larvata prospettazione di ritorsioni
direttamente riconducibili alla caratura criminale dei soggetti appartenenti al sodalizio.
20.Dai singoli episodi di estorsione, con riferimento ai quali le censure sono in fatto e
tendono ad una ricostruzione alternativa delle vicende, non consentita in questa sede,
emergono elementi consistenti riguardo alla probabilità che gli imprenditori si siano
determinati alla instaurazione di rapporti di vigilanza in ragione della coartazione
esercitata dalla fama criminale qualificata di Avola e dalla pressione rappresentata dai
furti subiti, segno della capacità, anche del ricorrente, di esercitare un controllo sulla
criminalità locale, al fine di dimostrare agli imprenditori la necessità di affidarsi ad altre
forze criminali, di maggiore consistenza, per evitare pregiudizi futuri.
21.Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.att. c.p.p.
Così deciso in Roma il 9/7/2014
Il Consigliere estensore

DEPOSITATA IN CANCELLEM

effettivamente, del consorzio mafioso.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA