Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41061 del 10/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 41061 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Carta Nicola, nato ad Ortona 1’11/01/1977

avverso la sentenza emessa il 07/12/2012 dalla Corte di appello di L’Aquila

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Rocco Giancristoforo, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Nicola Carta ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe,
recante la parziale riforma (solamente in punto di trattamento sanzionatorio)
della sentenza emessa il 03/02/2011 dal Tribunale di Chieti, sezione distaccata di
Ortona, nei confronti del suo assistito. I fatti si riferiscono al furto di contanti, di

Data Udienza: 10/07/2014

un carnet di assegni, di documenti d’identità e di una carta postamat, sottratti da
un borsello riposto all’interno di un esercizio commerciale, ed appartenente ai
proprietari del negozio: con la carta sopra evidenziata erano poi stati effettuati lo
stesso giorno (il 16/02/2008) due prelievi di denaro presso uno sportello
automatico.
Con l’odierno ricorso, la difesa deduce:
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata

individuato come il soggetto che utilizzò la tessera postamat nella tarda
mattinata del 16/02/2008, pochi minuti dopo che le persone offese si
erano avvedute dei furto; tuttavia, nessuno aveva notato l’imputato
all’interno del negozio, tanto che i titolari non lo avevano riconosciuto in
fotografia, mentre a ricollegare al Carta la persona che aveva effettuato i
prelievi era stato solo un giubbetto di pelle da lui indossato (che secondo
un Maresciallo dei Carabinieri corrispondeva a un indumento già visto in
possesso del ricorrente, senza che però il sottufficiale avesse potuto
vedere il volto di chi aveva usato la carta in questione).
Si tratterebbe, in definitiva, di indizi inconsistenti, tanto più che non
appare provata neppure la brevità dell’intervallo trascorso tra il furto e
l’uso della tessera
mancata assunzione di prova decisiva
La Corte territoriale non avrebbe tenuto in alcun conto il documento che
la difesa aveva allegato all’atto di appello, dimostrativo della circostanza
che l’imputato – alle 11:22 del 16/02/2008 – si trovava presso il Ser.T.
di Chieti, ergo a circa 40 km. di distanza dal luogo dei fatti; gli sarebbe
stato pertanto impossibile raggiungere velocemente l’abitato di Ortona,
visto che, quale soggetto in cura per problematiche correlate agli
stupefacenti, non poteva disporre di patente di guida
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale
Rideterminando la pena inflitta, la Corte di appello avrebbe preso in
considerazione il solo delitto di furto, escludendo la continuazione con il
reato di cui all’art. 55 d.lgs. n. 231 del 2007 (peraltro, non contestato
nell’originaria rubrica e ritenuto in sentenza dal giudice di primo grado); a
quel punto, però, venendo meno l’aumento dovuto al cumulo giuridico, la
pena avrebbe dovuto contenersi in anni 1 di reclusione ed euro 300,00 di
multa.

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Viene segnalato che, secondo i giudici di merito, il Carta sarebbe stato

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi di doglianza.
1.1 Quanto alla riferibilità del fatto all’imputato, la difesa apporta elementi
che risultano sconfessati già dalla sentenza del Tribunale, dovendosi ricordare
che per consolidata giurisprudenza «quando non vi è difformità di decisione, le

vicenda in modo da formare un tutto organico ed inscindibile. Il giudice di
appello, pertanto, non ha l’obbligo di procedere ad un riesame degli argomenti
del primo giudice che ritenga convincenti ed esatti purché dimostri, anche
succintamente, di aver tenuto presenti le doglianze dell’appellante e di averle
ritenute prive di fondamento» (Cass., Sez. IV, n. 1198 del 24/11/1992, Pelli, Rv
193013); è stato altresì affermato che «in tema di sentenza penale di appello,
non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo
grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta
in primo grado, nonché della corrispondente motivazione, seguano le grandi
linee del discorso del primo giudice. Ed invero, le motivazioni della sentenza di
primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione» (Cass., Sez. III, n. 4700 del
14/02/1994, Scauri, Rv 197497; v. anche Sez. II, n. 11220 del 13/11/1997,
Ambrosi no).
Tanto premesso, vero è che la Corte di appello si limita a dare per assodato
che il Carta fosse stato riconosciuto come autore dei prelievi, richiamandosi alle
argomentazioni del giudice di prime cure, ma esaminando il contenuto della
sentenza del Tribunale si rileva che:
la persona offesa, Domenico Civitarese, aveva comunque riconosciuto
nelle riprese effettuate presso lo sportello postamat la persona che quella
mattina si era introdotta nel suo negozio (individuazione assai
significativa, a prescindere dalla circostanza che egli poté o meno
riconoscere il Carta in altre fotografie);
il M.lio Fernando Morelli, in quelle stesse riprese, «riconobbe subito
l’odierno imputato», trattandosi peraltro di soggetto noto alle forze
dell’ordine (contrariamente dunque a quel che si sostiene nell’odierno
ricorso, dove si menziona semplicemente la coincidenza di un capo di
abbigliamento);

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motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado possono integrarsi a

il giubbetto notato indosso a chi effettuava i prelievi de quibus non era
solo di tipo corrispondente a un indumento del Carta, ma era
contraddistinto da uno scudetto che lo stesso M.Ilo Morelli aveva visto su
un identico capo di vestiario a casa dell’imputato, dove il militare si era
recato pochi giorni dopo per curare una notifica al Carta.
1.2 Del tutto inconsistente è la pretesa decisività della documentazione
rilasciata dal Ser.T. di Chieti: le allegazioni difensive apparivano infatti del tutto
ipotetiche, a partire dalla dedotta necessità del Carta di avvalersi giocoforza di

tempo deve intendersi financo sovrabbondante per percorrere un tragitto di soli
40 chilometri. La manifesta infondatezza della doglianza esonerava pertanto il
giudice di appello dall’obbligo di curarne una compiuta disamina (v., a riguardo,
Cass., Sez. V, n. 27202 dell’11/12/2012, Tannoia).
1.3 In ordine alla pena, va innanzi tutto precisato che il capo d’imputazione
originario (mai modificato) si riferisce espressamente al solo addebito di furto,
aggravato ex art. 625, n. 4, cod. pen. ed in ragione della contestata recidiva:
nella descrizione del fatto si segnala comunque che con la carta

postamat

trafugata erano stati “effettuati due prelievi dell’importo di C 250,00,
rispettivamente alle 12:34 e 12:36, presso l’ufficio postale di Ortona”.
Secondo il Tribunale, dalla rubrica emergeva anche l’ulteriore delitto di cui
all’art. 55 del d.lgs. n. 231 del 2007 («come contestato nell’editto accusatorio,
ancorché senza il riferimento alla specifica norma di legge violata»); ne derivava,
con espressa esclusione dei presupposti per concedere al Carta le circostanze
attenuanti generiche, una pena così determinata:
pena base, anni 1 di reclusione ed euro 300,00 di multa;
aumento ai sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen. fino ad anni 1, mesi 6 di
reclusione ed euro 450,00 di multa;
ulteriore aumento in ragione della recidiva, fino ad anni 2, mesi 6 di
reclusione ed euro 750, di multa.
La Corte di appello non risulta avere affrontato il problema della ravvisabilità
(anche) del reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento, anche perché la
difesa non aveva avanzato con i motivi di gravame alcuna specifica ed articolata
doglianza sui punto, né oggi il ricorrente rappresenta che ve ne fossero state, in
ipotesi rimaste non esaminate. Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte
aquilana si limita a concedere al Carta attenuanti generiche equivalenti alle
contestate aggravanti – «in considerazione delle condizioni personali del
prevenuto ed al fine di dosimetria della pena» – rideterminando la sanzione in
anni 1, mesi 6 di reclusione ed euro 300,00 di multa.

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mezzi pubblici per portarsi ad Ortona dal capoluogo di provincia, e circa un’ora di

Ergo, non è corretto affermare che i giudici di secondo grado avrebbero
escluso la continuazione fra i due reati ritenuti dal Tribunale, come invece
sostiene la difesa: pur non essendo stato esplicitato il percorso attraverso il
quale la Corte territoriale è pervenuta al risultato indicato, deve evidentemente
ritenersi che il cumulo giuridico faccia ancora parte del computo implicitamente
presupposto nella sentenza qui impugnata.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Carta al

nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 10/07/2014.

pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa

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