Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 41 del 28/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 41 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE MICCO MARCO N. IL 18/08/1985
avverso l’ordinanza n. 3889/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
16/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lete/sentite le conclusioni del PG Dott. 2fita,e.L
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Data Udienza: 28/11/2014

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza emessa in data 16 giugno 2014 il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi
dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini
Preliminari dello stesso Tribunale aveva applicato a Marco De Micco la misura cautelare della
custodia in carcere, siccome gravemente indiziato del delitto previsto e punito dall’art. 416bis, commi I, Il, III, IV, V, VI, VII, VIII cod.pen.
1.1 A fondamento della decisione il Tribunale riscontrava la sussistenza del requisito

Mobile di Napoli ed in particolare delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Domenico
Esposito, Giuseppe Esposito e Giovanni Favaloro, ritenute attendibili e riscontrate, nonché
degli esiti delle intercettazioni di conversazioni ambientali e telefoniche e dei servizi compiuti
sul territorio: tali elementi, secondo la ricostruzione esposta dai giudici del riesame, avevano
consentito di individuare l’organigramma della cosca camorristica De Micco-Bodo, facente
capo ai fratelli Marco, Salvatore e Luigi De Micco, soprannominati Bodo, operante nella zona
orientale della città di Napoli, quartiere Ponticelli, e nel territorio del limitrofo comune di
Cercola. Tale organizzazione, allorchè l’arresto e la collaborazione con la giustizia di Carmine
e Ciro Sarno avevano segnato la loro uscita dalla scena criminale locale ed aperto spazi per
l’affermazione di nuove formazioni, era sorta per iniziativa dei De Micco, i quali, emancipatisi
dalla cosca Cuccaro di Barra, si erano dati un’autonoma struttura ed erano riusciti ad imporsi
con la violenza contro le fazioni rivali, egualmente aspiranti ad assumere il controllo del
mercato degli stupefacenti e delle estorsioni nella zona di Ponticelli, e per dirimere contrasti
interni.
Quanto alla specifica posizione di Marco De Micco, indicato inizialmente quale affiliato al
clan Cuccaro col soprannome di “Bodo”, riscontrato dai successivi accertamenti come
rispondente alla sua persona, ed assegnato al controllo del settore del gioco d’azzardo in via
telematica, per poi costituire e dirigere il proprio autonomo gruppo criminoso, a suo carico
venivano valorizzati:
– le dichiarazioni dei cugini Vaccaro, vittime di estorsione dallo stesso perpetrata su mandato
di Angelo Cuccaro, vicenda per la quale era stato già condannato in primo grado;
-le informazioni di Domenico Esposito sull’acquisizione da parte dei De Micco del controllo del
traffico di droga a Ponticelli previa violenta estromissione del gruppo dei D’Amico, camorristici
storici della zona, avvenuta dopo una fase di contrasto, quindi di pacificazione grazie
l’accordo di spartizione a metà dei proventi di quel mercato, condotto nella zona di parco
Conocal, e la ripresa di un’autentica guerra con pestaggi ed eliminazione fisica a colpi di arma
da fuoco, reciprocamente attuata in danno di esponenti dei due gruppi;
-le dichiarazioni dello stesso Esposito e dei suoi familiari sulle minacce e sulla sparatoria di cui
questi ultimi era stati vittima ad opera di esponenti del gruppo De Micco, una volta appresa la
notizia della decisione di collaborare con la giustizia del primo, al fine di convincerlo ad
assumere una diversa linea di condotta;
1

della gravità indiziaria in ragione dei risultati delle investigazioni condotte dalla Squadra

-I’ episodio del pestaggio patito in data 27/2/2013 dal commerciante Vincenzo Masotti per
avere negato credito alla moglie di Salvatore De Micco;
– le estorsioni compiute nel periodo di Pasqua 2013 in danno di imprenditori di Ponticelli per
iniziativa e col coinvolgimento diretto dell’indagato, riferite da una delle vittime e confermate
da Domenico Esposito;
-le dichiarazioni di Giovanni Favaloro, già affiliato al gruppo avversario dei D’Amico, circa la
geografia ed il controllo da parte dei De Micco delle piazze di spaccio di droga nel quartiere
Ponticelli.
Inoltre, il Tribunale indicava quali elementi oggettivi di riscontro alle chiamate in

– le emergenze delle conversazioni intercettate, indicative del vincolo associativo che legava
agli altri correi l’indagato, soprannominato in gergo “il parente”, esteriorizzato in rituali
tatuaggi dell’appellativo “Bodo” e nell’ausilio finanziario e logistico prestato ai sodali detenuti,
delle consuetudini di vita comune, del carattere organizzato delle azioni delittuose, nonché
del ruolo apicale assunto dai fratelli De Micco e del mantenimento immutato dei predetti
vincoli anche nel periodo in cui l’indagato era stato tratto in arresto per altre vicende;
– l’esito degli accertamenti condotti dalle forze dell’ordine in ordine alla fruizione da parte
dell’indagato di una scorta armata quando in data 2 ottobre e 16 dicembre 2013 si era
presentato presso il Commissariato di P.s. per assolvere all’obbligo impostogli con la misura
dell’affidamento in prova ai servizi sociali;
-la dimostrata frequentazione con altri sodali, quali Roberto Boccardi,
– l’esistenza, rinvenuta all’esito di perquisizione, effettuata nell’aprile 2014, di documentazione
per la contabilizzazione dei proventi illeciti, con distinzione delle entrate e delle uscite,
impiegate per l’acquisto di armi, stupefacenti, per il mantenimento dei sodali e per le loro
spese legali, nonché di una lista delle armi possedute e dei sodali del gruppo.
Infine, riteneva che con riferimento alle esigenze cautelari operasse la presunzione di
sussistenza ed adeguatezza stabilita dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, in assenza della
prova contraria circa la non ricorrenza di tali esigenze, posto che, nonostante la
sottoposizione a misura domiciliare in altro procedimento, egli aveva mantenuto gli stessi
legami criminosi, misura ritenuta adeguata all’elevata pena presumibilmente irrogabile
all’esito del giudizio.
2.Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato a mezzo del suo
difensore, avv.to Sorrentino, il quale lamenta:
a) inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al disposto degli artt.
125, 192 commi 3 e 4, 273 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen. per l’assoluto difetto degli
elementi costitutivi necessari per poter configurare un’associazione a delinquere di tipo
camorristico, denominata clan De Micco-Bodo. In tal senso le dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia non offrono elementi per ritenere che il ricorrente abbia fatto uso della forza
d’intimidazione derivante dal vincolo associativo per acquisire il controllo di attività
economiche, di autorizzazioni, concessioni o per condizionare il libero voto in occasione di
competizioni elettorali, in quanto:
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correità ed in reità provenienti dai collaboranti:

-Giuseppe Esposito riferisce circostanze, peraltro generiche, antecedenti la presunta
costituzione del clan De Micco-Bodo;
-Domenico Esposito, quando descrive in modo vago e generico quattro episodi estorsivi
relativi al “giro di Pasqua” 2013, è smentito quanto alle vicende in danno di Salvatore Ferraro
e Ciro Martinelli, riferisce genericamente della gestione delle piazze di spaccio nella zona di
Ponticelli, ma il ricorrente non deve difendersi da alcuna accusa specifica mossagli al
riguardo;
-Giovanni Favaloro nulla dice sulla persona del ricorrente, riferisce notizie apprese “de relato”,
ma non parla di un clan camorristico denominato De Micco-Bodo e non offre elementi per

-le conversazioni riportate nell’ordinanza erano state intercettate nel periodo in cui il
ricorrente non si era trovato a Ponticelli perchè detenuto o agli arresti domiciliari ed esse
attestavano della consuetudine di consumare assieme i pasti, priva di contenuti illeciti,
mentre l’unica che lo riguarda direttamente è intercorsa col fratello e quindi non ha valenza
indiziante.
b)

Mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione quanto alla

valutazione degli indizi raccolti, perché il provvedimento offre una ricostruzione di vari episodi
criminosi, non riguardanti però la persona del ricorrente e non significativi al fine di ritenere
dimostrata l’esistenza del gruppo camorristico De Micco-Bodo, tanto da non essere stati
nemmeno contestati quali reati fine. Secondo la difesa, la vicenda subita dai cugini Vaccaro
era antecedente al periodo di contestazione del delitto associativo e non riguardava
direttamente Marco De Micco, l’episodio in danno di Salvatore Ferraro era smentito dal diretto
interessato e quello in danno di Ciro Martinelli non offre spunti indiziari a carico del ricorrente
per avere il Martinelli riferito di un rapporto amichevole con questi al di fuori di richieste
estorsive. Anche le vicende relative al controllo del traffico di stupefacenti non sono oggetto
di apposita imputazione e sono collocabili nel periodo in cui l’indagato era agli arresti
domiciliari.
c) Mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione quanto all’omessa
applicazione dei principi di diritto esposti quale premesse metodologica; in particolare, non è
stato considerato che dell’estorsione commessa a Salvatore Ferraro il De Micco non è
chiamato a rispondere e che quanto riferito da Domenico Esposito è totalmente divergente
dal narrato di Giuseppe Esposito e dei cugini Vaccaro.
3. Con memoria successiva, l’avv.to Alfredo Gaito ha articolato dei motivi nuovi, con i
quali ha dedotto che le tre vicende estorsive, oggetto di separato provvedimento cautelare,
erano ancora “sub judice”, mentre l’ordinanza aveva analizzato conversazioni intercettate
riguardanti diverse realtà criminali e fatti di reato oggetto di paralleli procedimenti, non
ancora definiti con decisioni irrevocabili, aveva recepito in modo acritico le dichiarazioni dei
collaboratori, non valutate nella loro idoneità a costituire indizi, ed aveva assegnato valore
dimostrativo a comportamenti diffusi nelle famiglie meridionali. Non si era dunque avveduta
che si trattava delle “chiacchiere” di inaffidabili propalanti, due dei quali smentiti dalle
persone offese, che i messaggi e le comunicazioni telefoniche riguardavano altri sogge ‘, che
3

ritenere che esso sia realmente esistito,

le abitudini di vita dei familiari erano irrilevanti nel periodo della detenzione del ricorrente.
Pertanto, la motivazione dell’ordinanza risultava elusiva dei temi posti dalla difesa, perché
supinamente allineata alla prospettazione accusatoria e non era coerente con gli indirizzi
interpretativi offerti dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite circa la necessità per
l’adozione della cautela che gli elementi indiziari assumano idoneità dimostrativa quanto
all’attribuzione del fatto di reato al destinatario della misura coercitiva.
4. Con successiva memoria a firma dell’avv.to Sorrentino si è dedotto che la
contestazione dell’imputazione conteneva il riferimento temporale circa la decorrenza iniziale
dal settembre 2012 con la conseguente inutilizzabilità degli elementi indiziari antecedenti alla

Giuseppe Esposito e di quelle dei cugini Vaccaro; inoltre, le dichiarazioni di Domenico Esposito
erano le uniche utilizzabili, dal momento che quelle di Giovanni Favarolo si ponevano in
contrasto con l’art. 195 cod. proc. pen., comma settimo. Infine, ha insistito che erano
mancati i riscontri esterni individualizzanti il soggetto ed il fatto storico.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.Col primo motivo si contesta l’acquisizione di un quadro indiziarlo di sufficiente gravità
ed univocità per configurare, anche solo per le finalità proprie del procedimento cautelare,
l’elevata probabilità della partecipazione del ricorrente al delitto associativo ascrittogli.
1.1 Giova ricordare in via preliminare che, ai fini dell’emissione di una misura cautelare
personale, per integrare il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza”, preteso dall’art. 273
cod.proc.pen., devono essere acquisite emergenze probatorie, di natura logica o
rappresentativa, che, contenendo “in nuce” gli elementi costitutivi della fattispecie penale
contestata, non valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato ai
fini della pronuncia di una sentenza di condanna, ma consentono, per la loro consistenza, di
prevedere che nel prosieguo delle indagini saranno idonei a dimostrare tale responsabilità ed
al tempo stesso giustificato una qualificata probabilità di colpevolezza (Cass. sez. 6, n. 35671
del 06/07/2004, sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, Cuccaro ed altri, rv. 237475; sez. 1, n.
20536 del 13/4/2011, Palmanova, rv. 250296). In particolare, questa Corte ha affermato: “In
tema di misure cautelari personali, la nozione di “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art.
273 cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo del termine analogo inteso quale
elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai
fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo
a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai
reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per
il giudizio di merito dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. come si desume dall’art.
273, comma primo bis, cod. proc. pen., che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod.
proc. pen., ma non il comma secondo dello stesso articolo che richiede una particolare

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contestazione associativa e la necessità di espunzione delle dichiarazioni del collaboratore

qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (Cass. sez. 5, n.
36079 del 05/06/2012, Fracassi e altri, rv. 253511).
2. Ciò posto ritiene la Corte che il Tribunale di Napoli con l’ordinanza impugnata abbia
offerto una giustificazione razionale, compiuta e conforme ai criteri normativi delle ragioni
della decisione assunta di conferma del provvedimento impositivo della massima misura
coercitiva.
2.1 In primo luogo, va disatteso il profilo di contestazione che addebita all’imputazione
provvisoria l’omessa specificazione delle condizioni, pretese dalla norma incriminatrice, per
poter configurare il delitto associativo: al riguardo il ricorso, con singolare sintesi, cita

delicti”, ma trascura volutamente quanto è ad essa premesso, ossia la descrizione analitica
dell’accusa in tutte le componenti oggettive e soggettive del fatto di reato, ovvero l’addebito
mosso al De Micco di avere promosso e diretto un’associazione di tipo mafioso, denominata
“DE MICCO-BODO”, che si era avvalsa della forza di intimidazione del vincolo associativo e
della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per conseguire le finalità
antigiuridiche:
-dell’acquisizione del controllo egemonico sul territorio di Porticelli e Cercola mediante la
contrapposizione armata con altre formazioni criminose analoghe e la repressione violenta dei
contrasti interni, nonché accordi di temporanea non belligeranza;
-dell’eliminazione o sistematica intimidazione dei soggetti che ostacolano tale egemonia;
-dell’impunità agli affiliati, attraverso una capillare e diffusa rete di appoggi e connivenze,
finalizzate a prevenire interventi delle forze di polizia e a garantire la latitanza degli
esponenti;
-del conseguimento, per sé per sé e per gli altri affiltati, di profitti e vantaggi ingiusti,
attraverso attività delittuose, quali usura, estorsioni, rapine, danneggiamenti, minacce
sistematicamente esercitate ai danni di imprenditori pubblici e privati; commercianti, liberi
professionisti e comuni cittadini, violazione legge in materia di armi e violazione legge in
materia di sostanze stupefacenti.
A tali complete e ben intelligibili indicazioni, segue la descrizione della specifica condotta
ascritta al De Micco quale dirigente e capo dell’organizzazione “con compiti di decisione,
pianificazione e di individuazione di tutte le azioni delittuose da compiere, degli obiettivi da
perseguire, delle vittime da colpire, delle richieste da avanzare, della gestione degli aspetti
economico-finanziari, mantenendo la “cassa” del clan e provvedendo alla suddivisione e
distribuzione delle “mesate” agli affiliati”.
2.2 La contestazione dell’accusa risponde dunque esattamente alla formulazione dell’art.
416-bis cod. pen., il quale annovera tra i caratteri specifici dell’associazione di stampo
mafioso il programma, condiviso tra promotori, capi ed aderenti, di “commettere delitti” e
“realizzare profitti o vantaggi ingiusti”, e non soltanto di conseguire il controllo di attività
economiche o di condizionare il libero esercizio del voto in occasioni di competizioni elettorali.
La mancata narrazione di specifiche condotte di realizzazione di tali scopi da parte dei

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soltanto l’ultima riga del capo d’imputazione, specificante il “tempus” ed il “locus commissi

collaboratori di giustizia, valorizzati nelle due conformi ordinanze cautelari, non assume
dunque alcun rilievo.
2.3 Anche le censure mosse al contenuto informativo delle propalazioni di detti
collaboratori sono prive di alcun fondamento: per quanto Esposito Giuseppe abbia descritto
circostanze riguardanti il ricorrente, ma riferite alla sua passata collaborazione criminale col
gruppo organizzato dei Cuccaro di Barra, la loro considerazione non può ritenersi viziata, né
estranea al “thema decidendum”: al contrario rileva perché, unitamente alle vicende delle
richieste estorsive in danno dei cugini Vaccaro, -testi indicanti espressamente il ricorrente
quale emissario delle pretese, delle intimazioni e delle minacce loro rivolte per conto dei capi

inizio le vicende della costituzione del clan De Micco. In altri termini, sebbene i fatti specifici
non rientrino nell’ambito temporale dell’accusa come contestata in via provvisoria perché
antecedenti, ciò nonostante le relative circostanze concorrono a delineare le origini del
fenomeno criminoso investigato.
2.4 Si afferma poi in ricorso che le generiche dichiarazioni di Domenico Esposito non
sarebbero riscontrate quanto alle vicende delle estorsioni del “giro di Pasqua 2013” ed anzi
sarebbero smentite dai diretti interessati, dal che avrebbe dovuto discendere il giudizio
d’inattendibilità del propalante.
2.4.1 La censura ignora però, sia le diffuse e puntuali osservazioni condotte dal
Tribunale circa l’intrinseca credibilità della fonte, non contraddette da argomenti contrari, sia
il contenuto della sua narrazione, che attiene più propriamente alle vicende, vissute in prima
persona, del clan De Micco, alla sua esistenza, alla sua struttura organizzata, al ruolo di capo
rivestito dal ricorrente, agli interessi criminosi nel settore del narcotraffico sulle piazze di
spaccio di Ponticelli, descritto minuziosamente nei meccanismi di funzionamento, alle
dinamiche dello scontro armato e violento con la fazione dei D’Amico, facente capo a
Giuseppe D’Amico, detto “Peppino Fraulella”, alla necessità di garantire assistenza legale e
mantenimento ai sodali detenuti grazie ai proventi ricavati dal traffico di droga, alle reazioni
altrettanto violente ed allarmanti poste in essere contro i di lui familiari, quando si era
appreso della sua collaborazione con la giustizia. Si tratta di circostanze fattuali specifiche e
dettagliate, che l’ordinanza ricostruisce mediante la citazione diretta della fonte dichiarativa,
ma che la difesa preferisce trascurare per ridurre il nucleo della sua narrazione ai soli episodi
estorsivi: oltre a non poter contraddire il ragionamento valutativo, condotto dal Tribunale, per
la parzialità e la non decisività dell’analisi critica proposta, quanto esposto in ricorso viene
contraddetto dalla constatazione che la serietà degli elementi indiziari raccolti su tali condotte
estorsive è valsa al De Micco la sottoposizione a separato provvedimento custodiale, che,
seppure non definitivo, offre spunti coerenti con l’impostazione accusatoria, ove delinea la
sua organizzazione come dedita anche all’attività estorsiva quale fonte di finanziamento e
forma di controllo del territorio.
Né quanto dedotto nel corso della discussione tenutasi innanzi a questa Corte circa
l’intervenuto annullamento con rinvio del diverso titolo cautelare ha ricevuto riscontro e può
essere valutato per le ragioni, rimaste ignote, della decisione.
6

del clan Cuccaro-, attiene al contesto storico e criminoso di tipo associativo dal quale hanno

2.4.2 Che poi due delle vittime delle estorsioni del “giro di Pasqua 2013” abbiano negato
di avere corrisposto denaro, diversamente da quanto riferito dall’Esposito, non assume
valenza favorevole decisiva, dal momento che la stessa difesa riporta l’effettiva presentazione
del dichiarante al Ferraro per esigere denaro da destinare ai carcerati e che il Martinelli
conferma la visita al cantiere di alcuni giovani, latori della richiesta di tangente per conto del
loro capo, emergenze sufficienti a livello indiziario per ipotizzare il contestato tentativo di
estorsione.
2.4.3 Risultano generiche ed inconferenti le doglianze che riguardano la gestione delle
piazze di spaccio sotto il profilo della mancata contestazione di tale condotta quale reato-fine

magistrato requirente, incaricato delle indagini, circa i tempi ed i modi di esercizio dell’azione
penale e di contestazione degli addebiti, potendo al più valere ai fini dell’applicazione del
disposto dell’art. 297 cod. proc. pen., comma terzo, ciò che rileva è che al processo siano
stati acquisiti plurimi elementi indiziari della dedizione dell’organizzazione denominata clan De
Micco-Bodo a quel tipo di attività delittuosa, come del resto contestato nell’imputazione
provvisoria.
2.4.4 L’impugnazione in esame trascura poi del tutto di analizzare gli specifici ed
eterogenei elementi di riscontro che il provvedimento in verifica ha indicato rispetto alla
narrazione dell’Esposito, ovvero:
a) del dimostrato pestaggio, realizzato con tipico metodo mafioso, del commerciante Vincenzo
Masotti, reo di avere negato credito alla cognata del ricorrente, vicenda per la quale pende
altro procedimento penale a suo carico col già disposto rinvio a giudizio;
b)delle documentate minacce e dell’aggressione portata dal fratello del De Micco contro la
cognata dell’Esposito perché abbandonasse la piazza di spaccio sino ad allora gestita ed in
altra occasione da un “commando” del clan contro la moglie ed altri congiunti dell’Esposito
dopo la diffusione delle notizie sulla sua collaborazione con la giustizia;
c) delle dichiarazioni del collaboratore Giovanni Favarolo, il quale, non soltanto ha riferito di
conoscere e temere il “gruppo riferibile ai fratelli De Micco..il cui capo era Marco De Micco”,
sostituito alla guida del suo clan nel periodo di detenzione in carcere dal fratello Salvia e da
Gennaro Volpicelli, ma anche di essersi affiliato agli avversari D’Amico dopo le minacce
ricevute dagli esponenti di tale formazione e di avere partecipato allo scontro armato
scatenatosi per il controllo delle piazze di spaccio e delle attività estorsive in Ponticelli;
d) del rinvenimento in data 8 aprile 2014 in sede di perquisizione al ricorrente degli appunti
riguardanti forniture di stupefacenti ed i proventi ricavatine, destinati all’acquisto di armi, menzionate esplicitamente come “pist” e “calasc” per alludere a pistole e, con impropria
dicitura, ai “kalashnikov”- ed alle esigenze di mantenimento e di difesa legale dei sodali
indicati nominativamente mediante contribuzioni erogate a cadenza mensile;
e) delle conversazioni intercettate anche nel periodo in cui egli era sottoposto a misure
coercitive di tipo domiciliare o di minore afflittività, nelle quali veniva citato in gergo come il
“parente” in riferimento a specifiche vicende d’interesse del clan ed ai suoi affari illeciti;

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nel presente procedimento: premesso che non possono sindacarsi le scelte operate dal

f) dell’abitudine, constatata dal personale di polizia, di muoversi scortato da accompagnatori
armati, a protezione della sua incolumità contro possibili attacchi degli avversari ed a
dimostrazione del suo prestigio criminale.
2.4.5 In conclusione, i rilievi difensivi non riescono a scalfire la tenuta logica della
valutazione compiuta nell’ordinanza in verifica, la quale con uno sviluppo coerente, privo di
contraddizioni e di incongruenze ha riscontrato nel materiale indiziario la presenza di tutti i
requisiti tipici di un’associazione di tipo camorristico.
In particolare, quanto alla sua struttura, ha rilevato: “la rigida ripartizione di ruoli e la
rigorosa gerarchia, che escludono per gli affiliati la possibilità di adottare estemporanee

identifica il potere criminale dell’organizzazione con “la famiglia” di appartenenza; la
diuturnitas dei rapporti intersoggettivi; l’utilizzo di linguaggi cifrati e il ricorso a rituali e a
simboli espressioni dello spirito identitario del gruppo (quale quello di tatuare sul corpo il
nome dei Bodo con cui i De Micco sono noti da tempo nel panorama criminale di Ponticelli);
l’individuazione di un luogo per lo svolgimento delle riunioni operative, strutturato in maniera
tale da tutelare i partecipanti dal rischio di irruzioni delle forze dell’ordine o di intercettazioni
ambientali; l’abituale condivisione di momenti conviviali; la destinazione dei ricavati delle
illecite attività effettuate per conto del sodalizio stesso ad una cassa interna comune
funzionale ad assicurare un sistema di mutuo sostentamento in caso di morte o di arresto,
oltre che l’approvvigionamento di anni ed il pagamento delle spese di assistenza legale”.
Quanto alla sua capacità di manifestazione all’esterno, ha evidenziato “l’ampiezza degli
obiettivi del progetto criminoso e la pluralità dei settori illeciti di intervento del sodalizio (quali
quelli delle scommesse clandestine,del traffico degli stupefacenti e delle estorsioni,
tradizionali fonti di approvvigionamento economico della criminalità organizzata di tipo
mafioso) in un ambito territoriale storicamente soggiogato dalla criminalità organizzata e
dalla presenza di consorterie variamente strutturate tra loro alleate; il compimento di reatifine tipicamente espressivi della esistenza di un’associazione di tipo mafioso; la disponibilità
di uomini e mezzi per il perseguimento degli illeciti scopi del gruppo; l’approvvigionamento di
micidiali armamenti da impiegare in azioni delittuose; l’utilizzo di scorte armate; il ricorso
sistematico alla violenza per l’affermazione della propria supremazia sul territorio; il
compimento di azioni terroristiche finalizzate alla eliminazione fisica degli avversari o dei
sodali che scelgono di collaborare con la giustizia; l’instaurazione, attraverso atti di
sopraffazione e di intimidazione, di un clima di assoggettamento diffuso all’esterno e
all’interno del sodalizio”.
Ha quindi sottolineato il ruolo dirigenziale del ricorrente, ancorandolo a precise
risultanze fattuali, non interrotto o impedito nemmeno dalla subita carcerazione, posto che
anche in costanza di detenzione domiciliare egli aveva mantenuto contatti con i fratelli,
parimenti affiliati, nonché ricevuto visite di un personaggio legato allo stesso contesto ed ai
medesimi interessi criminali.
2.4.6 Infine, maggiori elementi, dotati di un contenuto esplicativo concreto e di capacità
confutativa, non offrono nemmeno i motivi aggiunti, che si limitano a liquidare in qodo

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iniziative personali; l’esistenza di un vincolo parentale tra gli esponenti apicali del gruppo, che

generico come non riscontrate e quali vane ciarle le informazioni dei collaboratori, i fatti di
reato oggetto di separati procedimenti come non ancora investiti da accertamento
irrevocabile, le conversazioni intercettate perchè riguardanti altri soggetti, le abitudini
conviviali come innocue consuetudini delle famiglie meridionali, introdotte da congiunti del
ricorrente. Si tratta all’evidenza di una lettura riduttiva, banalizzante ed atomistica del
compendio indiziario, come tale inidonea a smentire la coerenza logica e l’aderenza al dettato
normativo della decisione e del suo apparato giustificativo. Parimenti, generica è la doglianza
sulla mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che nella memoria difensiva non
viene illustrata quanto alle censure asseritamente ignorate e contenute nello scritto prodotto

apprezzare la fondatezza della denunciata carenza.
Il ricorso va dunque respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone
trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’istituto
penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2014.

al Tribunale, né alla loro pretesa decisività, con ciò impedendo a questo Collegio di

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