Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40950 del 22/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 40950 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
D’ANGELO GIUSEPPE N. IL 13/02/1945
avverso la sentenza n. 2770/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 06/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;

Data Udienza: 22/05/2014

Con il ricorso si deduce violazione dell’articolo 612 cp, atteso che l’imputato pronunciò
la frase “deve riferire al signor Rubino che se mi condannano anche per un solo giorno
per una cosa che non ho fatto, è meglio che non esce più dalla caserma perché lo
brucio vivo”. Detta frase non integra il reato contestato, in quanto, innanzitutto,
costituisce una minaccia condizionata, che, per univoco orientamento
giurisprudenziale, non integra il delitto di cui all’articolo 612 cp; in secondo luogo,
perché essa era diretta non a restringere la libertà psichica del soggetto passivo ma a
evitare un danno ritenuto (a torto o a ragione) ingiusto per l’imputato.
In ogni caso non ricorre l’aggravante della minaccia grave.
Con successiva censura deduce violazione degli articoli 62 bis 163 e 164 cp in
relazione al trattamento sanzionatorio, in quanto non sono state concesse, senza
adeguata motivazione, le circostanze attenuanti generiche e il beneficio della
sospensione condizionale della pena.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Il ricorrente va condannato alle
spese del grado e al versamento di somma a favore della cassa ammende. Si stima
equo determinare detta somma in 1000 euro.
La frase sopra riportata ha un oggettivo e grave contenuto intimidatorio e non ha
alcun rilievo il fatto che essa sia stata pronunciata dall’imputato il quale, a suo dire, si
riteneva oggetto di persecuzione da parte dei carabinieri. Prospettare ad un soggetto
la ipotesi di essere bruciato vivo, evidentemente, quale che sia la ragione della
minaccia, costituisce una prospettiva grave ed allarmante, astrattamente e
oggettivamente idonea ad intimidire il destinatario della frase. La corte peraltro
mette in evidenza che l’espressione fortemente minacciosa fu pronunciata
dall’imputato in occasione dell’accertamento a suo carico della contravvenzione di cui
all’articolo 697 cp e di cui all’articolo 20 bis comma secondo della legge 110 del 1975.
Correttamente dunque si osserva che non si comprende come il D’ Angelo possa aver
ipotizzato di essere stato ingiustamente perseguitato.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la corte tiene conto di due sentenze di
condanna, circostanza che, da un lato, non ha consentito la concessione del beneficio
invocato, dall’altro, ha ampiamente giustificato la quantificazione della pena, che,
correttamente, viene ritenuta particolarmente mite, atteso che essa si è attestata in
mesi due di reclusione. Ciò anche in considerazione del fatto che l’imputato, tra i suoi
precedenti penali, annovera condanne per resistenza e minaccia a pubblico ufficiale.
Trattasi dunque di recidiva specifica.

b’Angelo Giuseppe ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe riportata,
con la quale la corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia di primo
grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine alle
imputazioni dei capi A) e C) perché estinti per prescrizione, confermato la condanna
per il delitto di cui al capo B), vale a dire per minacce gravi nei confronti del
maresciallo dei carabinieri Rubino, rideterminando il trattamento sanzionatorio.

PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento di € 1000 alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, 22.V.2014.-

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