Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40884 del 10/12/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 40884 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Gurchiani Giorgi, nato il 22/01/1978
avverso l’ordinanza n. 990/2014 TRIBUNALE LIBERTÀ di BARI del
06/08/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale dott. Paolo Canevelli,
che ha chiesto annullarsi con rinvio l’ordinanza impugnata;
sentito per il ricorrente l’avv. Oliviero De Carolis Villars, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 10/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 6 agosto 2014 il Tribunale di Bari, costituito ai sensi
dell’art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di
Gurchiani Giorgi avverso l’ordinanza del 7 luglio 2014, con la quale il G.i.p. del
Tribunale di Bari aveva respinto l’istanza dell’interessato, volta a ottenere la
sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli

Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:

la misura cautelare della custodia in carcere era stata applicata

all’appellante con ordinanza del 17 maggio 2013 del G.i.p. del Tribunale di Bari
in relazione alle imputazioni di associazione per delinquere aggravata e tentata
estorsione;
– con sentenza del 10 giugno 2014, resa all’esito del giudizio abbreviato,
l’appellante era stato condannato per il solo reato di cui all’art. 416 cod. pen.,
aggravato ai sensi del quinto comma, alla pena di anni tre e mesi due di
reclusione;
– con l’atto di appello la difesa aveva reiterato la tesi già espressa con
l’istanza introduttiva, secondo cui la sostituzione della misura carceraria era
inevitabile alla luce della modifica normativa dell’art. 275, comma 2-bis, operata
con d.l. n. 92 del 2014, in virtù della quale la custodia cautelare non era più
applicabile ove il giudice avesse ritenuto che fosse inferiore a tre anni la pena in
concreto da eseguirsi, e nella specie, intervenuta la condanna di primo grado e
considerato il periodo di carcerazione già subito, tale pena era di anni due e mesi
uno di reclusione;
– in detto atto si era, in particolare, osservato -deducendosi che era
contraria al dettato normativo e all’esigenza sottesa alla novella di contrastare il
sovraffollamento carcerario la diversa interpretazione proposta dal G.i.p.- che la
valutazione in ordine alla pena da eseguirsi non poteva essere limitata al solo
momento genetico, potendo l’iniziale apprezzamento del G.i.p. essere smentito
da ulteriori riscontri probatori, acquisiti nella fase delle indagini preliminari, e
dalla diversa pena irrogata con la sentenza di condanna, oltre a rappresentarsi la
insussistenza del pericolo di fuga e l’incidenza della incensuratezza sulla
esclusione e sul ridimensionamento del pericolo di recidiva;
– l’affermazione difensiva circa l’immediata applicabilità del nuovo comma 2bis dell’art. 275 cod. proc. pen. e circa la necessaria costante verifica della

compatibilità della misura in atto con il limite di pena da esso posto era
certamente condivisibile e, pertanto, era punto nodale quello relativo alla
interpretazione del riferimento, contenuto nella disposizione indicata, alla “pena

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arresti domiciliari.

da eseguirsi”, e in particolare alla verifica se tale espressione dovesse intendersi
con riguardo alla pena residua ovvero alla sanzione inflitta, senza tener conto del
pre-sofferto cautelare;
– l’interpretazione difensiva, che non era peregrina avuto riguardo alla
espressione normativa utilizzata e alle ragioni, enunciate nell’art. 1 del decretolegge, circa la necessità e urgenza della disposta modifica normativa per rendere
la norma coerente con la previsione dell’art. 656 cod. proc. pen. in materia di
sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, era smentita dalla modifica

definitivamente approvato il 2 agosto 2014, in corso di pubblicazione;
– la legge di conversione, riferendosi alla “pena detentiva irrogata”, aveva
eliminato ogni dubbio correlato all’espressione “pena detentiva da eseguirsi”,
dando un “chiarimento lessicale, che funge da chiave interpretativa univoca della
norma (del d.l.) siccome a tutt’oggi in vigore”;
– era pertanto inoperativo nei confronti dell’appellante, alla stregua di tale
interpretazione, il divieto di custodia cautelare in carcere;
– l’ulteriore argomento difensivo riferito al mero decorso del tempo era del
tutto neutro e non suscettibile di incidere sul quadro cautelare;
– né esplicava ragionevolmente alcun effetto deterrente l’applicazione del
braccialetto elettronico, essendo l’appellante cittadino straniero, già destinatario
della misura dell’espulsione a pena espiata;
– la congrua motivazione del persistente pericolo di recidiva assorbiva ogni
questione relativa al pericolo di fuga.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia avv. Oliviero De Carolis Villars, l’interessato Gurchiani, che ne
chiede l’annullamento sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 275, comma
2-bis, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 8 d.l. n. 92 del 2014.
Secondo il ricorrente, che illustra la sua vicenda cautelare, le motivazioni del
Tribunale del riesame sono censurabili, poiché l’unica legge applicabile è quella
vigente al momento della decisione e il giudice nell’applicare la legge deve tener
conto del significato proprio delle parole, secondo la loro connessione, e della
intenzione del legislatore, ai sensi dell’art. 12 delle preleggi.
Nel momento in cui era stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale doveva,
pertanto, fare applicazione della legge vigente, che era il decreto-legge n. 92 del
2014, il cui art. 8 con il termine “pena da eseguirsi” non poneva nessun dubbio
interpretativo, tale da giustificare la ricerca della intenzione del legislatore,
essendo, peraltro, lo stesso termine già presente nella normativa processuale, e

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della stessa disposizione, operata in sede di conversione, nel testo

in particolare nell’art. 656 cod. proc. pen., che disciplina “la pena da eseguire
quale residuo di maggior pena”.
Il Tribunale ha, invece, erroneamente applicato una norma contenuta in un
disegno di legge, che, pur approvato in via definitiva, non era legge dello Stato
al momento della decisione, mutuando la reale intenzione del legislatore dalla
nuova formulazione normativa della legge di conversione, laddove non solo non
vi erano dubbi interpretativi in ordine all’espressione utilizzata nel decreto-legge,
ma nello stesso preambolo del decreto si faceva riferimento alla necessità di

La portata dell’art. 8 contenuto nella legge di conversione è del tutto diversa
e il richiamo a diverso istituto processuale esclude che la locuzione sia
interpretativa di quella del decreto-legge.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, sono censurabili anche gli argomenti del Tribunale che
fanno riferimento al decorso del tempo e alla disponibilità del braccialetto
elettronico, poiché il decorso di un cospicuo lasso temporale dall’applicazione
della misura custodiale, da solo non valido per dimostrare l’attenuazione delle
esigenze cautelari, non è elemento neutro; il pericolo di fuga non può essere
desunto dalla sua condizione di straniero; l’applicazione del braccialetto
elettronico non può essere esclusa sulla base della presunzione del suo interesse
a rendersi irreperibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso non è fondato.
1.1. Si premette in diritto che l’art. 8 d.l. 26 giugno 2014, n. 92, pubblicato
nella G.U. n. 147 del 27 giugno 2014, ha sostituito il precedente testo dell’art.
275, comma 2-bis, cod. proc. pen., stabilendo che la misura della custodia in
carcere non può essere applicata, oltre che nel caso in cui il giudice ritenga che
con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena,
anche nel caso in cui il giudice ritenga che, all’esito del giudizio,

“la pena

detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni”.
La legge di conversione 11 agosto 2014, n. 117, pubblicata nella G.U. n. 192
del 20 agosto 2014, ha apportato modifiche al testo introdotto con il detto
decreto-legge, stabilendo, tra l’altro, la sostituzione delle parole “da eseguire”
con la parola “irrogata”.
1.2. Si rileva in fatto che la difesa ha presentato istanza di revoca o
sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, applicata al
ricorrente con ordinanza del 17 maggio 2013 del G.i.p. del Tribale di Bari, in data
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rendere coerente la norma con quella contenuta nel già indicato art. 656.

7 luglio 2014, e quindi successivamente alla entrata ìn vigore, in data 28 giugno
2014, dell’indicato decreto, invocando l’applicazione del novellato art. 275,
comma 2-bis, cod. proc. pen., dopo avere valorizzato quali elementi favorevoli
allo stesso il tempo decorso in regime di custodia cautelare e l’insussistenza del
pericolo di fuga per la sua disponibilità di alloggio e la sua possibile controllabilità
a mezzo del collocando braccialetto elettronico, e rappresentando che, in
relazione alla condanna irrogata e al periodo di carcerazione già subito, la pena
da eseguire in concreto era inferiore al limite dei tre anni.

respinto l’istanza, dissentendo dalla opinione difensiva secondo cui la predetta
novellata disposizione farebbe riferimento alla pena da eseguire in concreto,
dedotto il presofferto, e affermando che essa al contrario riguarda
esclusivamente il momento genetico e demanda al giudice che

“applica” la

custodia cautelare in carcere una prognosi sulla entità della irroganda pena.
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale, argonnentativannente giudicando
non peregrina la deduzione difensiva circa la doverosa costante verifica della
compatibilità della misura in atto con il nuovo limite normativo, ha ritenuto
tuttavia smentita l’interpretazione proposta circa il significato dell’espressione
“pena da eseguire” dal chiarimento lessicale derivante dalla modifica della stessa
disposizione nel testo della legge di conversione, definitivamente approvata il 2
agosto 2014, in attesa di pubblicazione alla data della decisione (6 agosto 2014),
la stessa imponendo d’interpretare la pregressa espressione, oggettivamente
ambigua, quale “pena detentiva irrogata”.
1.3. Poste tali premesse in diritto e in fatto, deve, pertanto, muoversi seguendo le cadenze temporali del procedimento- dal rilievo pacifico che,
all’epoca delle decisioni del G.i.p. e del Tribunale, era vigente l’art. 275, comma
2-bis, cod. proc. pen. nel testo contenuto nel richiamato d.l. n. 92 del 2014 e
che, successivamente alla data dell’ordinanza impugnata, è stata promulgata la
legge di conversione n. 117 del 2014, che -in attesa di pubblicazione alla detta
data- ha modificato nei termini indicati, per quanto qui interessa, il detto testo.
1.3.1. Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la materia delle
misure cautelari appartiene alle leggi processuali, e quindi soggiace (in assenza
di una specifica disciplina transitoria) alla regola generale “tempus regit actum”,
che regge la successione delle leggi di ordine pubblico e processuali in base
all’art. 11 delle preleggi, e non alle leggi sostanziali che stabiliscono l’ambito dei
diritti della persona (Sez. U, n. 8 del 27/03/1992, dep. 18/04/1992, Di Marco,
Rv. 190246, e, tra le altre, più recentemente, Sez. 5, n. 18090 del 16/03/2010,
dep. 12/05/2010, Mondini, Rv. 247143; Sez. 5, n. 35677 del 15/07/2010,
dep. 04/10/2010, Dammacco, Rv. 248879).

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Il G.I.P., con ordinanza del 7 luglio 2014, vigendo il predetto decreto, ha

1.3.2. È consequenziale a tale condiviso principio l’affermazione, condivisa in
sede di merito e dal ricorrente, della natura processuale, in tema di misure
cautelari personali e di procedure incidentali de libertate, della norma che ha
modificato l’art. 275, comma

2-bis, cod. proc. pen. e della sua immediata

applicabilità, in mancanza di una specifica normativa transitoria, a tutte le
situazioni non ancora definite al momento della sua entrata in vigore, tenendo
conto dei dati di fatto risalenti a epoca a essa anteriore
È del pari consequenziale l’ulteriore rilievo che, a seguito della conversione

cassazione, la norma processuale deve essere applicata -avendo il decreto perso
ogni efficacia- nel nuovo testo risultante dalla legge di conversione n. 117 del
2014, che, con la indicazione della pena detentiva “irrogata”, in luogo di quella
“da eseguire”, ha chiaramente espresso la valenza come punto di riferimento,
quando sia intervenuta la sentenza di condanna, della pena da essa inflitta senza
detrazioni della custodia cautelare eventualmente già sofferta.
1.4. In tale contesto, si sottrae alle doglianze difensive la conclusione cui è
pervenuta l’ordinanza impugnata, che ha ritenuto inoperativo -riferendosi alla
“pena detentiva irrogata” non epurata del periodo di carcerazione già sofferto- il
divieto di custodia cautelare in carcere rispetto al ricorrente, condannato in
primo grado alla pena di anni tre e mesi due di reclusione, sia pure attraverso un
percorso argomentativo che, nella operata analisi dell’appello cautelare, ha
valorizzato -al fine della interpretazione della espressione “pena da eseguire”
contenuta nell’allora vigente decreto, esclusa la volontà legislativa di modificare
la portata sostanziale della disposizione- il “chiarimento lessicale” tratto dalla
espressione “pena irrogata”, contenuta nel testo di conversione, non ancora
promulgato.
La successiva entrata in vigore di detta norma, con conseguente perdita di
efficacia del decreto-legge convertito, esclude la pertinenza di ogni ulteriore
considerazione sul punto, essendo la pena irrogata al ricorrente superiore a tre
anni di reclusione.

2. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile per la genericità delle
deduzioni su cui si fonda, che si risolvono in aspecifiche censure di merito,
correlate solo in termini di contrapposizione argomentativa all’ordinanza
impugnata, che, con un apparato argomentativo né assertivo né manifestamente
illogico, ha apprezzato, in adesione ai rilievi già svolti nell’ordinanza appellata, la
posizione del ricorrente e ha esplicato le ragioni della conferma della misura
cautelare della custodia in carcere.
Nel dar conto di tale determinazione il Tribunale, in risposta ai riproposti
rilievi difensivi, ha, infatti, osservato, dopo la considerazione in diritto della
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del d.l. n. 92 del 2014 intervenuta nelle more della proposizione del ricorso per

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332

Rqma, li

a- 201

infondatezza del principale argomento afferente al novum legislativo, la non utile
spendibilità del riferimento al mero decorso del tempo, ragionevolmente
rappresentandone la sua non autonoma incidenza sul quadro cautelare, e la
inefficacia deterrente dell’applicazione del braccialetto elettronico al ricorrente,
che ha logicamente rappresentato, rimarcando l’interesse dello stesso,
destinatario della misura della espulsione a pena espiata, a rendersi irreperibile
e, in tal modo, inferendone la conseguente esclusa capacità di autolimitare la
propria libertà personale di movimento.

congruamente motivando circa la persistente sussistenza del pericolo di recidiva,
aveva in esso ritenuta assorbita la questione del pericolo di fuga, che di nuovo
prospettata è del tutto infondatamente collegata alla opposta valutazione
negativa della mera condizione di straniero del ricorrente e alla funzionalità della
misura alla eseguibilità del decreto di espulsione.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del
ricorrente, la Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art.
94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.,

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma

1-ter, disp. att.

cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Né il Tribunale ha prescisso dal rimarcare che il Giudice di primo grado,

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