Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40773 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40773 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Giaquinto Paola, nata il 29 giugno 1981
Liberato Giuseppe, nato il 7 giugno 1976
Musone Eremigio, nato il 23 luglio 1978
avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia del 26 novembre 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, e per il rigetto dei ricorsi nel
resto.

i

Data Udienza: 05/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. — Con sentenza del 26 novembre 2013, la Corte d’appello di Perugia — in
riforma della sentenza assolutoria del 21 ottobre 2005, pronunciata dal Gip del
Tribunale di Perugia, all’esito di giudizio abbreviato, con la formula «perché il fatto
non costituisce reato» — ha ritenuto sussistente la responsabilità penale degli imputati
in relazione alla detenzione fini di spaccio, in concorso, di 18 pasticche di estasi (fatto
commesso in data

10 maggio 2001) e li ha condannati, ritenute sussistenti le

del d.P.R. n. 309 del 1990, rispettivamente: alla pena di mesi 8 di reclusione ed euro
2000,00 di multa, condizionalmente sospesa (Giaquinto e Liberato); alla pena di un
anno di reclusione ed euro 3000,00 di multa (Musone).
2. — Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore e con
unico atto, ricorso per cassazione, deducendo la manifesta illogicità della motivazione
in ordine al mancato riconoscimento della destinazione non comune di esclusivo
consumo di gruppo dello stupefacente ritrovato, corrispondenti a un quantitativo assai
modico. In particolare, non si sarebbe considerato il comportamento di Liberato, che
al momento della perquisizione era intervenuto spontaneamente assumendosi la
responsabilità dell’acquisto del stupefacente.
Con un secondo motivo di doglianza, si eccepisce la prescrizione del reato,
contestato come commesso il 10 maggio 2001.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Deve essere dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
3.1. – Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il presupposto per
l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. è costituito dall’evidenza,
emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha
commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come
reato. Solo in tali casi, infatti, la formula dì proscioglimento nel merito prevale sulla
causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa
sentenza. I presupposti per l’immediato proscioglimento devono, però, risultare dagli
atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in
considerazione della chiarezza della situazione processuale. È necessario, quindi, che
la prova dell’innocenza dell’imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza
ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un “apprezzamento”, ma
ad una mera “constatazione”.

circostanze attenuanti generiche e l’ipotesi dì minore gravità del comma 5 dell’art. 73

L’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in
sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza
impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio,
possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece
dichiarare l’estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si
troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l’obbligo dell’immediata
declaratoria della causa di estinzione del reato. E ciò, anche in presenza di una nullità

essendo l’inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio
dell’immediata applicabilità della causa estintiva

(ex plurimis, sez. 6, 1° dicembre

2011, n. 5438; sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490, rv. 244275; sez. un., 27 febbraio
2002, n. 17179, rv. 221403; sez. un. 28 novembre 2001, n. 1021, rv. 220511).
3.2. – I presupposti per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.,
come appena delineati, non sussistono certamente nel caso di specie.
Quanto al primo motivo di doglianza – riferito alla responsabilità penale, sotto il
profilo della mancata considerazione dell’ipotesi del cosiddetto “consumo di gruppo” di
stupefacenti – deve rilevarsi che lo stesso è infondato. Con motivazione pienamente
sufficiente e logicamente coerente, la Corte d’appello ha valorizzato, per escludere
tale ipotesi, il dato rappresentato da foglietti di carta con nominativi e abbreviazioni di
nominativi di potenziali acquirenti e indicazioni di corrispondenti somme di denaro,
che si trovavano proprio negli involucri contenenti la sostanza stupefacente, oltre al
dato quantitativo dello stupefacente, che supera il bisogno dei tre ipotetici
consumatori.
3.3. – Dall’esame degli atti risulta che – come dedotto dalla difesa con il
secondo motivo di impugnazione – il termine di prescrizione è già ampiamente
decorso.
Il reato contestato, ricondotto dalla Corte d’appello all’ambito di applicazione
dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, è stato, infatti, commesso il 1°
maggio 2001; a partire da tale data, deve essere computato il termine complessivo di
sette anni e sei mesi, giungendosi così alla data del 1 novembre 2008, addirittura
precedente alla pronuncia della sentenza d’appello. Ai fini di tale computo, deve
considerarsi che il richiamato comma 5 deve essere ormai considerato fattispecie
autonoma di reato e non semplice circostanza attenuante; fattispecie punita, in forza
della più favorevole disciplina attualmente vigente, introdotta dall’art. 1, comma 24ter, lettera a), del d.l. n. 36 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 79

di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità,

del 2014, con le pene massime di quattro anni di reclusione ed euro 10.329,00 di
• multa; con la conseguenza che il massimo edittale da prendere in considerazione ai
fini del computo della prescrizione è, appunto, quello di quattro anni di reclusione. E
trovano applicazione nel caso di specie i previgenti artt. 157 e 160 cod. pen., i quali
prevedono un termine di cinque anni aumentato a sette anni e sei mesi a seguito delle
interruzioni intervenute, trattandosi di reati commessi prima dell’entrata in vigore
della legge 5 dicembre 2005, n. 251, di riforma della prescrizione, e già oggetto di

ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della
prescrizione, la pronuncia della sentenza di primo grado, indipendentemente dall’esito
di condanna o di assoluzione, determina la pendenza in grado d’appello del
procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli (sez. un.,
24 novembre 2011, n. 15933, rv. 252012). Nel caso di specie, del resto, si
giungerebbe ad identico risultato finale anche applicando i termini prescrizionali
attualmente vigenti (sei anni di reclusione, aumentati di un quarto a sette anni e sei
mesi).
4. – La sentenza impugnata deve, perciò, essere annullata senza rinvio, perché
il reato è estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza, per essere il reato estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2015.

assoluzione con sentenza del Gip del Tribunale di Perugia del 21 ottobre 2005. Infatti,

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