Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40766 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40766 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RASIA IVO N. IL 03/07/1950
avverso la sentenza n. 6634/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 05/05/2015

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Milano con sentenza 20.2.2014 ha confermato la
colpevolezza di Rasia Ivo in ordine al reato di cui al D. Lvo n. 74/2000, art. 10 ter
(omesso versamento IVA per l’anno di imposta 2008 per un ammontare complessivo di
C. 228.408,00), rilevando che la dedotta crisi di liquidità finanziaria non incide sulla
sussistenza del dolo del reato, trattandosi di appropriazione di somme ricevute per
finalità diverse; ha altresì osservato che il pagamento parziale del tributo a nulla vale
se non in relazione al trattamento sanzionatorio.

denunziando la violazione degli artt. 10 ter D. Lvo n. 74/2000, 43 cp (elemento
psicologico del reato) e 45 cp (forza maggiore), nonché la mancanza, contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione: ripropone la questione della crisi finanziaria
che ha reso impossibile il pagamento del tributo; richiama concetti dottrinari sul dolo e
ricostruisce la propria condotta, dichiarando di avere pagato decine di rate del debito
tributario. Richiama infine la legge delega n. 23/2014 sulla riformulazione del sistema
fiscale che prevede, tra l’altro, la punibilità solo dei comportamenti fraudolenti,
simulatori o finalizzati alla creazione o all’utilizzo di documentazione falsa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il reato in esame
è punibile a titolo di dolo generico essendo sufficiente a integrarlo la coscienza e
volontà di non versare all’erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale
coscienza e volontà deve investire anche la soglia di euro cinquantamila (prima della
recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 80/2014 che l’ha elevata a C.
103.291,38, ndr), soglia che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a
definirne il disvalore (sez. un, 28 marzo 2013, n. 37424, rv. 255758; sez. 3, 6 marzo
2013, n. 19099, rv. 255327). La prova del dolo – analogamente a quanto affermato
in relazione alla fattispecie di cui al precedente art. 10-bis – è insita nella
presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a
titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la
soglia di punibilità, entro il termine previsto.
Non può ovviamente escludersi, in astratto, che siano possibili casi – il cui
apprezzamento è devoluto al giudice del merito ed è, come tale, insindacabile in sede
di legittimità se congruamente motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o
l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria. È tuttavia necessario
che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità,
dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità al sostituto di imposta della
crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la
circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il

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L’imputato, tramite il difensore, ed anche personalmente ricorre per cassazione

ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre
cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse
necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni
tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il
suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di
un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale,
senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili
(v. Sez. 3, Sentenza n. 8352 del 24/06/2014 Ud. dep. 25/02/2015 Rv. 263128; cfr.

del 05/12/2013 Ud. dep. 04/02/2014 Rv. 258055; sez. 3, 9 ottobre 2013, n.
5905/2014).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello correttamente ha rigettato la doglianza
spiegando le ragioni per cui la dedotta crisi di liquidità doveva ritenersi irrilevante:
partendo dal riepilogo del meccanismo dell’IVA, ha osservato che l’inadempimento
dell’obbligazione tributaria penalmente sanzionata non deriva certo dalla impossibilità
di adempiere ma da una utilizzazione delle somme ricevute per diverse finalità.
La decisione, come si vede, si rivela corretta in diritto oltre che congruamente
motivata, e pertanto si sottrae decisamente alla censura mossa dal ricorrente che,
peraltro, omette di fornire la prova della totale impossibilità di reperimento delle
risorse necessarie all’adempimento tributario nel senso sopra inteso, soffermandosi
invece sulla idoneità in generale della crisi di liquidità ai fini dell’esclusione
dell’elemento psicologico del reato e della sussistenza della forza maggiore.
E, proprio su quest’ultimo tema, è bene ricordare che, secondo l’orientamento di
questa Corte, la forza maggiore sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione
dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta
ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si
trovi già in condizioni di illegittimità (v. Sez. 3, Sentenza n. 8352 del 24/06/2014 Ud.
dep. 25/02/2015 Rv. 263128; Sez. 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131;
Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981,
Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).
Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile,
imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da
rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad
un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha
sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà
economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore
penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1,
n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011,
Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3,

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altresì in tema di omesso versamento di ritenute certificate, sez. 3, Sentenza n. 5467

n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi,
Rv. 165822).
La mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria
penalmente rilevante non può, pertanto, essere addotta a sostegno della forza
maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a
fronteggiare una crisi di liquidità; inoltre, non si può invocare la forza maggiore
quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dal mancato
pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità;

solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto
tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che
sfuggono al suo dominio finalistico (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 8352 /2014 cit.).
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione
pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
La censura, dunque, neppure sotto tale profilo, coglie nel segno.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5.5.2015.

l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore

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