Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40762 del 30/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40762 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1. Caburrosso Gian Piero, nato a Ozieri il 05/08/1978,
2. Calvia Dario Efisio, nato a Sassari il 09/08/1977,
3. La Ferla Pio Giovanni, nato a Vibo Valentia 1’11/09/1968,
4. Silanos Mirko Simone, nato a Sassari il 09/01/1977,

avverso la sentenza del 15/05/2014 della Corte di appello di Cagliari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Enrico
Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi del Caburrosso e del
Calvia, e per il rigetto degli altri ricorsi;
udito, per il La Ferla, l’avv. Angela Maria Odescalchi, sostituto processuale
dell’avv. Giovanni Tedesco, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 30/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 15/05/2014 la Corte di appello di Cagliari, in parziale
riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di
quello stesso capoluogo, riconosciuta a Caburrosso Gian Piero la circostanza
attenuante della collaborazione, ha rideterminato la maggior pena inflittagli in
primo grado nella misura di due anni, nove mesi e dieci giorni di reclusione ed ha
conseguentemente revocato la pena accessoria; assorbita la condotta contestata

esclusa la circostanza aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74, d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, ha rideterminato la maggior pena inflittagli in primo grado nella
misura di quattordici anni, un mese e dieci giorni di reclusione; ha confermato
nel resto la condanna alla pena di sette anni e quattro mesi di reclusione inflitta
a Calvia Dario Efisio e Silanos Mirko Simone.
Tutti gli imputati rispondono a vario titolo del reato di cui all’art. 74, d.P.R.
n. 309 del 1990 (associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale
di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo hashish, il La Ferla Pio
Giovanni con il ruolo di coordinatore e organizzatore, gli altri di partecipi),
nonché dei vari reati-scopo di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990,
cit., rubricati ai capi 6, 7, 11, 16, 17, 20 (La Ferla Pio Giovanni, da solo o in
concorso con altri imputati non ricorrenti), 13 (Calvia Dario e La Ferla Pio
Giovanni), 14 (Caburrosso Gian Pietro e La Ferla Pio Giovanni), 19 (La Ferla Pio
Giovanni e Silanos Mirko Simone), commessi in Olbia e altrove dal 2004 al luglio
2008.

2. Per l’annullamento della sentenza propongono ricorso i sigg.ri Caburrosso
Gian Piero, Calvia Dario Efisio, La Ferla Pio Giovanni e Silanos Mirko Simone.

3.11 Caburrosso articola, per il tramite del difensore di fiducia, due motivi.
3.1.Con il primo eccepisce manifesta illogicità della motivazione in ordine
all’aumento di pena applicato per il reato di cui al capo 14, nella misura ritenuta
congrua di quattro mesi di reclusione, contraddittoria rispetto all’aumento della
pena inflitta dal Tribunale di Milano con sentenza del 25/05/2005 nella misura di
sei mesi di reclusione.
3.2.Con il secondo eccepisce carenza di motivazione in punto di
determinazione della pena per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990
perché la circostanza attenuante di cui al comma 7 è stata immotivatamente
applicata nella misura minima.

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al La Ferla Pio Giovanni al capo 17 della rubrica, in quella di cui al capo 14, ed

4.Calvia Dario Efisio articola, per il tramite del difensore di fiducia, unico
motivo di ricorso con il quale eccepisce inosservanza e/o erronea applicazione
dell’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, e vizio di motivazione in ordine
all’affermazione della sua responsabilità per il reato associativo.

5.La Ferla Pio Giovanni articola, per il tramite del difensore di fiducia, i
seguenti motivi.
5.1.Con il primo eccepisce, inosservanza o comunque erronea applicazione
dell’art. 649, cod. proc. pen., e deduce, al tal fine, d’esser stato condannato per

della Corte di appello di Cagliari.
5.2. Con il secondo eccepisce mancanza o manifesta illogicità della
motivazione in ordine al suo ruolo di promotore ed organizzatore del sodalizio ed
al concorso nei reati-fine, automaticamente ritenuto dai giudici di merito in virtù
del suo ruolo apicale.

6.11 Silanos articola, per il tramite del difensore, i seguenti motivi.
6.1. Con il primo eccepisce la violazione dell’art. 178, cod. proc. pen.,
perché la richiesta di rinvio dell’udienza del 13/03/2014, già fissata per la
discussione, è stata disattesa dalla Corte di appello nonostante l’adesione del
difensore all’astensione dalle udienze deliberata dalle Camere Penali.
6.2.Con il secondo eccepisce la mancanza di prova in ordine alla
consapevolezza di aver preso parte all’accordo associativo ed al programma
delinquenziale, nonché della sussistenza del reato di cui al capo 19 della rubrica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

7.1 ricorsi sono inammissibili

8.Caburroso Gian Piero era stato condannato in primo grado alla pena di
cinque anni di reclusione così determinata: ritenuto il vincolo della continuazione
e più grave il reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, concesse
le attenuanti generiche nella loro massima estensione, la pena base era stata
quantificata nella misura di sei anni e otto mesi di reclusione ed era stata
ulteriormente aumentata di due mesi di reclusione per ciascuno dei due delitti di
cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990 contestati al capo 14, ed ulteriormente
aumentata di sei mesi di reclusione per i fatti per i quali il 28/02/2005 fu
arrestato a Milano in flagranza di reato e irrevocabilmente condannato da quel

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fatti che sono già stati irrevocabilmente accertati con sentenza del 28/10/2011

Tribunale con sentenza del 25/02/2005. Sulla pena totale così ottenuta (sette
anni e sei mesi di reclusione), il G.u.p. aveva applicato la riduzione per il rito.
8.1.La Corte di appello ha riconosciuto all’imputato la circostanza attenuante
della collaborazione di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, ed ha
operato la relativa diminuzione sulla pena base rideterminandola nella misura di
cinque anni di reclusione, rigettando le altre richieste relative all’ulteriore
diminuzione del trattamento sanzionatorio.
8.2.11 primo motivo è manifestamente fondato.
8.3.1 Giudici distrettuali hanno ampiamente spiegato, con la non modesta

ritenuto più che congruo e niente affatto contraddittorio il maggior aumento di
pena (nella misura di sei mesi di reclusione a fronte degli iniziali tre anni)
applicato per i fatti già oggetto di condanna da parte dei giudici milanesi. Si
tratta di valutazione non irragionevole e non sindacabile da questa Suprema
Corte.
8.4.E’ palesemente infondato anche il secondo.
8.5.Secondo un risalente indirizzo, condiviso dal Collegio, in tema di
applicazione di circostanze attenuanti non vi è obbligo specifico di motivazione
sulla entità di ciascuna diminuzione quando il giudice di merito, prendendo come
base la pena minima edittale, riduca sensibilmente detta pena per effetto della
concessione di due distinte ed autonome attenuanti. In questo caso, non avendo
l’imputato nessun diritto di ottenere il massimo della diminuzione per la
concessione delle attenuanti, e nessun interesse a dolersi della sensibile
diminuzione effettuata sul minimo edittale, é sufficiente la sola indicazione delle
ragioni che giustificano l’esistenza delle circostanze, valendo le stesse a
dimostrare come sia stato fatto uso da parte del giudice di merito del potere
discrezionale relativo alla graduazione della pena (Sez. 1, n. 5240 del
02/10/1979, Caputa, Rv. 145084).

9. Il Calvia, che non ha mai contestato, nemmeno in appello, la
consumazione del reato-fine di cui al capo 13, lamenta la carenza della
motivazione della condanna fondata, afferma, esclusivamente sulle conversazioni
intercettate, riportate tal quali e senza alcuna argomentazione logico giuridica
che ne supporti la attitudine dimostrativa della sua partecipazione al sodalizio.
9.1. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
9.2.Nel rispondere ai ben diversi e decisamente più pregnanti motivi di
appello, i giudici distrettuali hanno indicato con chiarezza gli elementi in base ai
quali hanno ritenuto l’organico inserimento dell’imputato nel sodalizio diretto dal
La Ferla, traendoli non solo dalle conversazioni telefoniche e dai dialoghi
intercorsi tra Pio Giovanni ed Eugenio La Ferla (sintetizzati nei contenuti e
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quantità e la migliore qualità dello stupefacente, le ragioni per le quali hanno

commentati nella loro valenza probatoria), ma anche dalla spedizione punitiva
posta in essere ai danni dell’imputato per il recupero dei proventi dell’attività di
spaccio da lui non versati ai fratelli La Ferla, dalle dichiarazioni del collaborante
Damigella e dall’arresto del 03/03/2008 del Calvia stesso e del Damigella che gli
aveva appena recapitato, per conto dei fratelli La Ferla, tre chilogrammi di
hashish da destinare al successivo smercio (circostanza, quest’ultima, che la
Corte di appello ha ritenuto dimostrativo del rinsaldato “pactum scelerisn.
9.3.L’attitudine di tali elementi a dimostrare l’assunto accusatorio non è

sia stato escluso il travisamento della prova e che le conclusioni non appaiano,
come nel caso in esame, niente affatto manifestamente illogiche rispetto alle
premesse.

10.11 primo motivo del ricorso del La Ferla è generico e manifestamente
infondato.
10.1. L’imputato si limita a lamentare l’affermata insussistenza dell’identità
del fatto oggetto dell’odierna regiudicanda con quello già oggetto di condanna
irrevocabilmente pronunciata dalla stessa Corte di appello il 28/10/2011, ma
aldilà di generiche indicazioni non si spinge, omettendo del tutto di confrontarsi
con gli specifici argomenti di fatto (prima ancora che di diritto) che hanno indotto
i Giudici distrettuali a rigettare l’analoga eccezione proposta in sede di appello
(decisiva la circostanza che la partecipazione all’associazione per delinquere per
la quale l’imputato ha già riportato condanna irrevocabile è successiva a quella
per la quale si procede).
10.2.E’ generico, manifestamente infondato e proposto per motivi non
consentiti in sede di legittimità il secondo motivo di ricorso.
10.3.Per quanto attiene il ruolo apicale disimpegnato dall’imputato nel
sodalizio criminoso, rileva il Collegio che la doglianza in parte riprende alla
lettera i medesimi argomenti già sottoposti alla Corte di appello, in parte si fonda
su questioni nuove, perché la credibilità intrinseca ed estrinseca dei due
collaboranti non solo non era mai stata devoluta alla Corte di appello nei termini
in cui lo è oggi, ma era stata addirittura ritenuta implicitamente sussistente
allorquando su tali dichiarazioni egli aveva fondato le sue difese per affermare in
appello il proprio ruolo di mero partecipe.
Non una sola parola, invece, viene spesa per confutare gli specifici
argomenti illustrati nella sentenza impugnata (pagg. da 40 a 45) a sostegno del
confermato ruolo apicale svolto dall’imputato nell’associazione per delinquere
diretta insieme con i fratelli.
10.4. Per quanto riguarda, invece, il concorso nei reati-fine occorre
evidenziare che, diversamente da quanto sostiene l’imputato, la Corte di appello
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questione che possa essere rimessa in discussione in questa sede, una volta che

non ne ha mai sostenuto la responsabilità in base alla proprietà transitiva del
proprio ruolo associativo, ma, coerentemente agli argomenti devoluti con lo
specifico motivo di appello (del tutto eccentrici, sul punto, rispetto a quello
odierno), ha escluso che l’affermazione di tale responsabilità si fondasse sulle
sole dichiarazioni dei collaboratori (la cui credibilità era stata contestata a questi
soli fini), indicando capo per capo gli elementi di prova ulteriori e diversi rispetto
a quelli dichiarativi e sottolinenando come anche il Giudice di prime cure, nel
ricostruire i fatti, avesse escluso la penale responsabilità per quelli che si

In questo ben più ampio contesto, il ruolo apicale svolto dal ricorrente funge
solo da collante che consente una lettura unitaria ed organica dei fatti
compendiati nelle singole imputazioni, ricomposti nella trama associativa di cui
sono stati ritenuti espressione.
E’ perciò del tutto priva di fondamento (ed anche fuori tema) la critica del
ricorrente che, peraltro, nel denunziare il malgoverno dell’art. 192, cod. proc.
pen., propone questioni (fattuali) del tutto parcellizzate e diverse da quelle
devolute ai Giudici di merito, chiamati a pronunciarsi sulla sola attendibilità dei
chiamanti in correità.

11.Anche il ricorso del Sinalos è generico, manifestamente infondato e
comunque proposto per motivi non consentiti dalla legge.
11.1. Il primo motivo è palesemente infondato.
11.2.Va condivisa la decisione della Corte di appello di non riconoscere
effetto alla proclamazione della astensione dalle udienze indetta, in violazione
dell’art. 2, comma 1, del Codice di Autoregolamentazione delle astensioni dalle
udienze degli avvocati, senza il necessario preavviso di 10 giorni, al di fuori dei
casi previsti dall’art. 2, comma 7, legge 12 giugno 1990, n. 146, e senza
l’indicazione della durata.
11.3.11 rilievo è decisivo perché, nel caso di specie, la Corte territoriale
aveva respinto la richiesta di differimento dell’udienza avanzata dal difensore
dell’imputato che, all’udienza del 13/03/2014, aveva dichiarato di aderire
all’astensione a oltranza dalle udienze deliberata dall’Assemblea dell’Ordine
forense di Cagliari e Sassari senza il rispetto del temine di preavviso e senza
l’indicazione di un termine finale.
11.4.L’astensione del difensore dalle udienze non è riconducibile nell’ambito
dell’istituto del legittimo impedimento, giacché costituisce espressione
dell’esercizio di un diritto di libertà (Sez. U., n. 26711 del 30/05/2013, Ucciero,
Rv. 255346), il quale impone il rinvio anche dell’udienza camerale a
partecipazione non necessaria (in questo senso, Sez. 3, n. 19586 del
19/03/2014, Pierri, Rv. 259440) purché posto in essere nel rispetto e nei limiti
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fondavano sulle sole dichiarazioni rese dai collaboratori.

indicati dalla legge e dal codice di autoregolamentazione che ha valore di fonte
normativa secondaria vincolante “erga omnes” (Sez. U, n. 40187 del
27/03/2014, Lattanzio, Rv. 259926; cfr., altresì, Sez. U, n. 26711 del 2013, cit.)
11.5.Ne consegue che il diniego del rinvio è stato legittimo.
11.6.11 secondo motivo è generico e proposto per motivi non consentiti dalla
legge.
11.7.La Corte di appello, e ancor prima il Giudice dell’udienza preliminare,
hanno indicato ed illustrato con dovizia di particolari i plurimi elementi di prova
in base ai quali è stata ritenuta certa la partecipazione dell’imputato al sodalizio

per il successivo smercio (capo 19). I giudici di merito, in particolare, hanno
riportato i numerosi dialoghi intercorsi con i fratelli La Ferla dai quali, a loro
giudizio (che appare a questa Suprema Corte non manifestamente illogico),
emerge l’evidente rapporto fiduciario che li legava all’imputato nel suo ruolo di
persona dedita all’attività di smercio della sostanza fornita dai capi ai quali
doveva rendere il conto utilizzando, allo scopo, utenze dedicate. Un rapporto
fiduciario, ulteriormente avallato dalle notizie che l’imputato forniva ai fratelli
circa – per esempio – la perquisizione subita dal Calvia verso la fine del mese di
gennaio 2008, o dalla proposta che aveva fatto loro di dotarsi di uno strumento
per poter conversare in tutta sicurezza; un rapporto fiduciario che aveva
comportato anche la sua partecipazione alla spedizione punitiva ai danni del
Calvia e che si sarebbe protratto anche successivamente ai fatti per i quali si
procede, nella collaborazione in particolare prestata ai La Ferla nel 2009.
11.8.11 ricorrente non contesta il travisamento del contenuto dei dialoghi
intercettati ma si limita ad affermare, in modo generico, che la prova della sua
responsabilità non si può fondare esclusivamente sull’intercettazione delle
conversazioni telefoniche e deducendo, contrariamente all’evidenza, che al
massimo egli spacciava per sé solo.
11.9.11 tentativo di interpretare in modo diverso il contenuto delle
conversazioni telefoniche, avvalendosi anche del richiamo ad atti del processo (e
dunque estranei al testo della motivazione), gli interrogativi e le esclamazioni dei
quali è infarcito il ricorso che rifugge dal confrontarsi con le ragioni della sua
condanna come emergono dalla motivazione della sentenza, lo rendono del tutto
inammissibile perché generico e perché attinge a motivi fattuali non consentiti in
questa fase di legittimità.

11.Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C.
Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento

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criminoso e la detenzione di tre chilogrammi di hashish consegnatigli dai La Ferla

nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 30/04/2015

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