Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40730 del 09/09/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 40730 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FURFARO SALVATORE N. IL 11/11/1959
avverso la sentenza n. 46/2013 TRIBUNALE di MESSINA, del
12/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/09/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
Udito il Procuratore G2nerale in persona del pott. ftfiVtbi 411D-t
che ha concluso per -t
Z

Udito, per la parte civile ‘Avv
Udit i difensor Avv

Data Udienza: 09/09/2015

Ritenuto di fatto
1. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Furfaro Salvatore avverso la
sentenza emessa 12.5.2014 dal Giudice monocratico del Tribunale di Messina che
confermava quella in data 21.1.2013 del Giudice di pace di Messina con cui il predetto
era stato condannato alla pena di C 300,00 di multa per il delitto di lesioni colpose
aggravate dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, in danno di Arici
Roberto (fatto del 7.5.2009): in particolare, aveva con il paraurti anteriore della

servizio di viabilità.
2. Deduce il vizio motivazionale:
2.1. in ordine alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa
con riferimento alle lesioni (gonalgia) compiuto dai giudici di merito di entrambi i
gradi di giudizio, supportate da un certificato del pronto soccorso in cui la diagnosi era
del tutto generica e fondata ancora sulle dichiarazioni dell’infortunato, senza alcuna
prova del collegamento causale tra la gonalgia e la condotta dell’imputato, né sul
punto, inspiegabilmente, era stato citato a supporto quale teste il collega in servizio
con l’Arici al momento dei fatti;
2.2. sotto il profilo del travisamento probatorio, atteso il silenzio serbato dalla
sentenza impugnata circa il comportamento tenuto nell’occasione dall’Arici che si era
introdotto nell’autovettura (ferma) del Furfaro, in cui era presente anche il figlio di 9
anni, strattonandogli un braccio con conseguente apertura di separato procedimento
con imputazione a suo carico per il reato di percosse ai danni del Furfaro; nonché
l’assenza di motivazione circa il comportamento dell’Arici che non aveva chiamato
nell’occasione altra pattuglia al fine di accompagnare, come previsto, il Furfaro in
caserma per le contestazioni del caso.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato e va respinto.
4. Ed anzi si è in cospetto di un’ipotesi contigua dall’inammissibilità, attesa la
reiterazione di buona parte delle censure rappresentate in grado di appello e da quel
Giudice disattese con congrue argomentazioni.
Invero, la sentenza impugnata ha svolto approfondita ed esaustiva motivazione in
ordine a tutti i punti oggetto delle rinnovate censure, spiegando puntualmente come
le dichiarazioni del Furfaro fossero ampiamente riscontrate dal compendio istruttorio,
sia sotto il profilo logico che obbiettivo (cioè tramite la certificazione sanitaria,
rilasciata a poche ore di distanza dai fatti, con diagnosi di “gonalgia sinistra post
traumatica”) e persino suffragate dalle dichiarazioni del teste Olivieri.
E’ stata finanche analizzato, con adeguate e logiche osservazioni, il comportamento
tenuto dall’Arici allorchè fu costretto ad introdursi nell’abitacolo dell’auto strattonando
il Furfaro -secondo la tesi di quest’ultimo- dopo aver tirato via le chiavi dal cruscotto,
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propria autovettura urtato il predetto, ispettore di polizia municipale, impegnato in

a seguito della condotta del Furfaro che non aveva ottemperato all’ordine di fermarsi
impartito dall’Arici stesso.
Al riguardo, si deve osservare che il vizio motivazionale, sia pur come modificato
dalla novella del 2006, non ha mutato la natura del giudizio di legittimità, nel quale il
controllo deve limitarsi, per legge, alla concatenazione logica delle argomentazioni
poste dai giudici di merito a sostegno del loro convincimento, non potendo trovare
ingresso una valutazione alternativa degli acquisiti elementi probatori, rispetto a

l’esperienza conoscitiva del giudice del merito, ma quello di verificare se il ricorrente
sia riuscito a dimostrare l’incompiutezza strutturale della motivazione del verdetto
impugnato; incompiutezza derivante dal fatto che il giudice del merito non ha tenuto
presente fatti decisivi, di rilevo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata,
dovendo la valutazione della prova essere effettuata tenendo conto di tutte le
risultanze acquisite, considerando non ogni singolo fatto in modo parcellizzato ed
avulso dall’insieme, ma valutando l’intero contesto – quale emerge dalla compiuta
istruzione probatoria – in maniera unitaria e globale (Cass. Pen., Sez. II, 6.12.2007,
n. 7712).
Peraltro, sebbene sia ora sindacabile, alla luce della richiamata novella della L. n. 46
del 2006, il vizio di “travisamento della prova”, che si realizza allorché si introduce
nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure
quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione, tale vizio
può essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato
quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia decisione conforme il limite del
“devolutum” non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva
l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei
motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo
giudice (Cass. pen., sez. II, 15.1.2008, n. 5994). Né nel caso di specie è dato
ravvisare quel travisamento ad opera di entrambi i giudici di merito “delle risultanze
probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre,
in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di
entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel
contraddittorio delle parti” richiamato dal ricorso sulla scorta di pronunce di questa
Corte (n. 44765 del 2013, Rv. 256837).
Le dichiarazioni rese dall’Arici sono state apprezzate come precise, puntuali, prive di
contraddizioni e genuine ed il comportamento dal medesimo tenuto nell’occasione
(introduzione nell’abitacolo dell’autovettura) risulta sorretto da logica argomentazione
(per spegnere il motore, dal momento che il Furfaro non accennava a fermarsi
all’intimato “Alt”) e dalla deposizione del teste Olivieri che ha corroborato (avendo
sentito visto un vigile fermo davanti all’auto, sentito altro vigile che chiedeva al

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quella effettuata in sede di merito; compito della Corte non è quello di ripetere

collega se era stato investito e notato l’Arici introdursi con il braccio e parte del corpo
nell’abitacolo dell’auto) quanto riferito dalla parte lesa.
Non vi era motivo, a questo punto, di disporre l’escussione, per giunta d’ufficio (non
risultando che ve ne sia stata richiesta da parte di alcuno), del collega dell’Arici come
teste.
Né vi era motivo di ritenere l’inattendibilità o irrilevanza del certificato medico del
pronto soccorso che, rilasciato a breve distanza dall’accaduto, ha consentito di

ginocchia dell’Arici.
5. Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 9.9.2015

collegare ragionevolmente la dolenzìa denunciata all’impatto del paraurti contro le

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