Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4073 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4073 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZANETTIN FLAVIO N. IL 09/10/1963
avverso l’ordinanza n. 21/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
29/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi dij1è1sor Avv.;

/

Data Udienza: 10/10/2013

-1- Con ordinanza del 29 aprile 2011, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato la
richiesta, avanzata da Zanettin Flavio, di riparazione dell’ingiusta detenzione dallo stesso
sofferta dal 9.7.1996 al 13.2.1997, da ultimo in regime di arresti domiciliari, in quanto
indagato per il reato di cui all’art. 73 del d.p.r. n. 309/90.
Allo Zanettin, agente della polizia penitenziaria in servizio, all’epoca, presso la Casa
Circondariale di Padova, è stato contestato di avere, in concorso con Pastorello Massimo,
successivamente deceduto, introdotto all’interno dell’istituto di pena, in tre diverse
occasioni, gr. 150 di cocaina destinate al detenuto Maniero Antonio. Accusa rivelatasi
infondata, essendo stato lo Zanettin assolto da ogni addebito con sentenza del 24.2.2009 del
Gup del Tribunale di Padova.
Secondo quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, dell’esistenza del traffico
all’interno della struttura carceraria e del coinvolgimento nello stesso di un agente, gli
inquirenti erano venuti a conoscenza grazie alle dichiarazioni rese dal Pastore Giuseppe e
dal Maniero, che tuttavia non avevano fornito indicazioni in ordine all’individuazione
dell’agente. Solo il Maniero aveva ipotizzato che questo potesse individuarsi nello Zanettin
poiché lo stesso prestava servizio in portineria ed era quindi a contatto con il detenuto
Pastorello, scopino in portineria. Era poi stato un terzo soggetto, Giacomelli Ermes, a
rivelare, nel corso di un interrogatorio reso nell’ambito di altro procedimento penale, che
l’agente in questione, secondo quanto rivelatogli dal Pastorello, era lo Zanettin, che egli
aveva anche riconosciuto in fotografia. Alla stregua di tali elementi indiziari, era stato
emesso nei confronti dell’agente penitenziario provvedimento di custodia cautelare in
carcere.
Tanto premesso, il giudice della riparazione ha individuato nella condotta processuale
tenuta dallo Zanettin gli estremi della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione.
In particolare, lo stesso giudice ha rilevato che l’odierno ricorrente, in sede di
interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere e che anche le
successive numerose richieste di modifica della misura imposta avevano riguardato solo la
sussistenza di esigenze cautelari, non anche la consistenza del quadro indiziario. Solo nel
marzo del 2007, ad oltre dieci anni dall’emissione del provvedimento custodiale, lo Zanettin
aveva reso interrogatorio ed aveva rivelato due importanti circostanze, poi valorizzate dal
Gup nella sentenza assolutoria, e cioè, che il Giacomelli: a) aveva nei suoi confronti forti
ragioni di malanimo in quanto l’agente aveva scoperto un tentativo di evasione, cui il
dichiarante era interessato, che aveva denunciato al suo superiore gerarchico, b) lo aveva
accusato di avere agevolato la fuga di alcuni detenuti, nascondendo dei seghetti all’interno
di una cella della sezione femminile adibita a spogliatoio degli agenti penitenziari; accusa
rivelatasi infondata, anche per l’esito negativo della perquisizione eseguita nel luogo ove i
seghetti, secondo il Giacomelli, si trovavano nascosti, tanto che il procedimento era stato
archiviato.
Gravemente colpevole, ed ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, è stata
quindi ritenuta la condotta dell’istante che, essendo in possesso di informazioni che
avrebbero potuto subito far venir meno i sospetti sul suo conto, non le aveva rivelate se non
dopo oltre dieci anni dall’arresto.
-2- Avverso detta ordinanza propone ricorso, per il tramite del difensore, lo Zanettin, che
deduce violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato con
riguardo: a) All’addebito di avere taciuto, in sede di interrogatorio di garanzia, le circostanze
successivamente riferite concernenti i suoi rapporti con il Giacomelli, in relazione ai tempi
ristretti che in tale occasione l’esponente aveva avuto per organizzare una difesa ed alle
difficoltà di orientarsi in una vicenda giudiziaria particolarmente complessa e di consultare

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Ritenuto in fatto.

Considerato in diritto.
-1- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per
ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi
abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve
prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto,
sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta
abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro
indiziali() che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale
condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi
attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è
tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione “ex
ante”, non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore
condizionante rispetto all’emissione o il mantenimento del provvedimento di custodia
cautelare.
E’ stato anche affermato che nel procedimento riparatorio può costituire elemento di
valutazione la stessa condotta processuale del richiedente, con riguardo anche alla scelta, al
tempo dello stesso operata, di avvalersi della facoltà di non rispondere.
A tale proposito, è stato sostenuto che l’avvalersi di tale facoltà costituisce legittimo
esercizio di un diritto, riconosciuto dalla legge, ritenuto dall’indagato funzionale alla propria
difesa, e dunque del tutto neutro, di per sé, rispetto ai temi del dolo e della colpa grave come
delineati dalla norma ai fini del giudizio riparatorio. Analogamente, peraltro, a quanto è stato
osservato con riguardo a comportamenti processuali caratterizzati persino da reticenza o
menzogna, che pure rappresentano il legittimo esercizio del diritto di difesa dell’indagato.

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le centinaia di pagine di cui si componeva il provvedimento restrittivo e di individuarne le
parti che lo riguardavano. Mentre l’essersi l’indagato avvalso della facoltà di non rispondere
non potrebbe ritenersi circostanza idonea ad integrare, “ex se”, gli estremi della colpa grave,
nel senso inteso dall’art. 314 cod. proc. pen.; b) All’addebito di avere omesso, durante
l’intera fase cautelare, di prospettare difese concernenti la fondatezza dell’accusa, in realtà
ampiamente contestata negli atti difensivi, i cui contenuti sono stati anche ripresi nella
sentenza di assoluzione; e) Alla conoscenza dello Zanettin, fin dal tempo della emissione del
provvedimento restrittivo, delle circostanze rivelate nel 2007 e dell’esito delle accuse
rivoltegli dal Giacomelli; d) Alla ignoranza, da parte dell’autorità giudiziaria, delle predette
circostanze, taciute dall’interessato; in particolare, dell’esito del procedimento penale
avviato a seguito delle dichiarazione dello stesso Giacomelli, definito con provvedimento di
archiviazione dell’ 8.1.1996; e) Al nesso causale tra la condotta ritenuta colposa ed il
provvedimento restrittivo, in relazione al rilievo che la denuncia dell’intento calunnioso del
collaboratore avrebbe potuto avere nel decorso della vicenda sotto l’aspetto cautelare; O Al
coinvolgimento del Giacomelli nel rapporto trasmesso dallo Zanettin al superiore
gerarchico circa un tentativo di evasione; g) Alle ragioni dell’assoluzione dell’esponente,
individuate non nel malanimo che nutriva nei suoi confronti il Giacomelli, ma nell’originaria
genericità delle accuse allo stesso rivolte e nell’assenza di riscontri in ordine alla
individuazione dello Zanettin come l’agente infedele che trafficava con la droga; h) Alla
interpretazione dell’art. 273 cod. proc. pen., come formulato prima delle modifiche apportate
con la legge n. 62 del 2001; i) Alla individuazione in termini di gravità della condotta colposa
attribuita all’esponente.
-3- Con memoria pervenuta presso la cancelleria di questa Corte, l’Avvocatura Generale
dello Stato, costituitasi per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto dichiararsi
inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.

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Anche detti comportamenti, pur legittimi, possono però essere oggetto di indagine nel
giudizio riparatorio, posto che è stato individuato in capo all’indagato un onere di
rappresentazione ed allegazione di elementi probatori allo stesso favorevoli, per dar modo
all’organo inquirente di comporre un più preciso quadro investigativo ed indiziario che
consenta interventi ad esso adeguati, anche correttivi, proprio con riguardo a provvedimenti
concernenti la libertà personale dell’indagato. Il mancato rispetto di tale onere può quindi
rappresentare manifestazione di colpa grave, posto che in tal caso, non si tratta di sanzionare
l’esercizio di un diritto fondamentale della persona, quale quello al silenzio, ma di attribuire
rilevanza al mancato esercizio di un diritto o facoltà che, anche nel processo sulla
responsabilità, acquista rilievo (ad es., la mancata indicazione di un alibi).
E tuttavia, è stato da questa Corte condivisibilmente anche affermato che, perché i predetti
comportamenti possano essere ricondotti nell’ambito del dolo o della colpa grave, occorre
che siano accompagnati dalle seguenti circostanze: a) che i fatti taciuti siano specifici e
sicuramente noti all’indagato, b) che essi siano ignoti all’autorità giudiziaria, c) che essi
abbiano effetto decisamente dirimente rispetto alle accuse contestate (diverse sentenze di
questa Corte sostengono che i fatti taciuti debbano essere “risolutamente favorevoli”), nel
senso che siano tali da determinare la completa eliminazione del valore indiziante degli
elementi acquisiti in sede investigativa che hanno determinato l’adozione del provvedimento
restrittivo, d) che la condotta dell’indagato si sia posta in posizione sinergica rispetto
all’adozione del provvedimento restrittivo e al mantenimento dello stesso (Cass. nn.
14439/06, 24355/06, 26686/06, 43309/08, 16370/03, 40902/08, 47041/08, 44090/11)
Orbene, ritiene la Corte che, nel caso di specie, tale analisi non sia stata compiutamente
svolta dal giudice della riparazione, ovvero sia stata svolta in maniera incompleta ed
assertiva.
In realtà, la corte territoriale non ha chiarito:
A) se allo Zanettin era noto, fin dal momento del suo arresto, che Giacomelli nutriva ver
di lui ragioni di malanimo in quanto a conoscenza del rapporto, concernente un tentativo di
evasione, che l’agente aveva trasmesso ai suoi superiori, ed in che termini detto rapporto
riguardava il Giacomelli;
B) se lo stesso Zanettin era, nello stesso periodo, a conoscenza delle accuse rivoltegli dal
Giacomelli circa un suo presunto coinvolgimento in un tentativo di evasione; anche alla luce
di quanto sul punto sostenuto nell’ordinanza impugnata, e cioè, che a tale proposito lo
Zanettin aveva riferito solo di avere avuto notizia di una perquisizione diretta a rinvenire dei
seghetti nascosti nel carcere, non anche di essere stato indicato dal Giacomelli come persona
coinvolta in detto tentativo;
C) se le circostanze indicate dallo Zanettin nell’interrogatorio reso nel 2007 erano solo a
lui note e non anche agli inquirenti ed allo stesso Gip della cautela, come pur avrebbe
dovuto essere in un contesto investigativo che vedeva un agente della polizia penitenziaria
accusato di esser coinvolto in traffici di droga da un detenuto (Giacomelli) ristretto
nell’istituto ove lo stesso svolgeva il proprio servizio.
Come sembra potersi affermare -quanto alle accuse del Giacomelli di un coinvolgimento
dell’agente in un tentativo di evasione per il quale avrebbero dovuto utilizzarsi dei seghetti
in realtà mai rinvenuti- per il fatto che il decreto di archiviazione a tale riguardo è stato
emesso in data 9.1.96, cioè ben prima dell’emissione del provvedimento restrittivo che ha
colpito lo Zanettim, di alcuni mesi successivo (1997); mentre di detta archiviazioni e delle
ragioni della stessa il Gip della cautela, che ha riportato nel suo provvedimento le
dichiarazioni del Giacomelli, non poteva certo essere all’oscuro, dovendosi ritenere che gli
atti relativi a tale vicenda fossero stati compiutamente acquisiti.
E come dovrebbe altresì ritenersi con riguardo al rapporto stilato dallo Zanettin circa il
tentativo di evasione, dovendosi ragionevolmente ritenere che l’intero servizio svolto
dall’agente sia stato sottoposto dagli inquirente ad attento e minuzioso esame.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

D) Perché ed in che termini le circostanze “rivelate” dallo Zanettin sono state ritenute
dirimenti (“risolutamente favorevoli”) rispetto alle accuse contestate, nel senso che, ove
conosciute dagli inquirenti, esse avrebbero annullato il valore indiziante degli elementi
acquisiti in sede investigativa, sui quali il Gip ha fondato il provvedimento restrittivo.
E) Perché ed in che termini la condotta silente dell’indagato si è posta in posizione
sinergica rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo e al mantenimento dello stesso,
ove si consideri che, secondo quanto emerge dall’ordinanza impugnata, gli elementi di
accusa a carico dello Zanettin sono stati tratti, in primis, dalle dichiarazioni rese da Pastore
Giuseppe e da Maniero Antonio, poi riscontrate da quelle rese dal Giacomelli.
Non ha, infine, il giudice della riparazione chiarito le ragioni per le quali, nel caso di
specie, il silenzio tenuto dall’indagato debba esser valutato in termini di colpa grave, cioè di
“macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti”, invece che di
colpa lieve, non ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo.
Sussistenti, in conclusione, sono i vizi motivazionali dedotti dal ricorrente, di guisa che
l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

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