Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4072 del 08/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4072 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAZZINO LUIGI N. IL 20/06/1979
avverso l’ordinanza n. 28/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
12/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 08/10/2013

- 1- Con ordinanza del 12 giugno 2012, la Corte d’Appello di Milano, in applicazione del
disposto di cui all’art. 314 cod. proc. pen., liquidava a Razzino Luigi, a titolo di equa
riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, in regime carcerario, per 196 giorni e, in
regime domiciliare, per 145 giorni, la somma di euro 87.800,00.
La corte territoriale, accertato, quanto al diritto all’indennizzo, che il ricorrente non aveva
contribuito, né prima né dopo la perdita della libertà personale, a determinare, con una
condotta caratterizzata da dolo o colpa grave, l’adozione del provvedimento restrittivo,
liquidava in via equitativa, preso atto del protrarsi della detenzione, delle modalità della
stessa e delle conseguenze che ne erano conseguite, la somma sopra specificata, indicando in
euro 300,00 ed in euro 200,00 le somme liquidabili per ogni giornata di detenzione,
rispettivamente, carceraria e domiciliare.
-2- Avverso tale decisione, ricorre per cassazione, per il tramite del difensore, il Razzino,
che deduce violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in
relazione ai criteri utilizzati per la determinazione dell’indennizzo nonché all’entità della
somma liquidata, che non terrebbe conto delle conseguenze pregiudizievoli derivate
dall’arresto e dal successivo processo; in particolare, dello “strepitus fori” che aveva
caratterizzato la vicenda processuale che lo aveva coinvolto.
-3- Il Procuratore Generale presso questa Corte chiede, in via principale, che la trattazione
del ricorso venga rinviata in attesa della decisione della Corte Costituzionale, sollecitata
dall’ordinanza 12.10.12 delle Sezioni Unite, con riguardo al tipo di procedimento da seguire
per la trattazione, davanti alla Corte d’appello, dei ricorsi in materia di riparazione per
l’ingiusta detenzione; cioè, se gli stessi debbano essere trattati in pubblica udienza. Salvo che
non intervenga dichiarazione degli interessati di rinuncia a detta trattazione, nel qual caso lo
stesso PG chiede il rigetto del ricorso.
-3- L’Avvocatura Generale dello Stato, con memoria depositata presso la cancelleria di
questa Corte il 5 ottobre 2013, si costituisce in giudizio nell’interesse del Ministero
dell’Economia e chiede il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto.
-1- Rileva preliminarmente la Corte, con riferimento alla principale richiesta formulata dal
PG di legittimità, che sulla questione concernente il procedimento per la trattazione dei
ricorsi in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, le SS.UU. di questa Corte, già con
decisione n. 41694 del 18.10.2012, hanno sostenuto che il procedimento in questione “non
trova ostacolo nella sentenza 10 aprile 2012 della Corte europea per i diritti dell’uomo, nel
caso Lorenzetti c. Italia, in quanto tale pronuncia, nell’affermare la necessità che al soggetto
interessato possa quanto meno essere offerta la possibilità di richiedere una trattazione in
pubblica udienza, non si riferisce al giudizio innanzi alla Corte di cassazione”. Inoltre, i
successivi interventi in proposito delle SS.UU. e della stessa Corte Costituzionale -che, con
sentenza n. 214 del 5.6.2013, ha dichiarato inammissibile, per difetto di rilevanza, la
questione, sollevata, con la citata decisione, dalle SS.UU., di legittimità costituzionale
dell’art. 315, comma 3 cod. proc. pen., in relazione all’art. 646, comma 1, cod. proc. pen.sono orientati nel senso che la questione del rito non riguarda il giudizio di legittimità, per il
quale deve ritenersi utilizzabile il rito camerale non partecipato, ma solo la fase di merito, nel
caso in cui venga richiesto di procedere nelle forme dell’udienza pubblica. Richiesta che, nel
caso di specie, non risulta essere stata avanzata.
-2- Tanto premesso, osserva la Corte che il ricorso è infondato.
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Ritenuto i fatto.

P.Q.M.

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-2.1- In tema di riparazione per ingiusta detenzione, in particolare, di individuazione dei
criteri da seguire nella determinazione dell’equo indennizzo, questa Corte ne ha
costantemente individuato il carattere indennitario e non risarcitorio, affermando che la
liquidazione dello stesso si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente
conto, sia della durata della custodia cautelare sia, e non marginalmente, delle conseguenze
personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. Con riferimento alla durata della
carcerazione, il criterio di riferimento per il calcolo dell’indennizzo è stato individuato in
quello aritmetico, che tiene conto della durata della carcerazione ed è costituito dal rapporto
tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315, comma secondo, cod. proc. pen. e il
termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma quarto, lett. c), espresso
in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione
subita. Calcolo grazie al quale si perviene alla individuazione della somma liquidabile di
circa 235,00 euro per ogni giorno di detenzione in carcere, comprensiva di tutte le negative
conseguenze generalmente derivanti dalla carcerazione, ridotta alla metà nel caso di arresti
domiciliari in vista della loro minore afflittività rispetto alla detenzione in carcere. Detto
criterio, che risponde all’esigenza di garantire, nei diversi contesti territoriali, un trattamento
tendenzialmente uniforme, non esime, tuttavia, il giudice dall’obbligo di valutare le
specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall’integrare opportunamente tale
criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la
decisione il più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame.
La Corte di legittimità ha ulteriormente chiarito “che il giudice è assolutamente libero anche
di andare al di là del parametro aritmetico allorchè le conseguenze personali e familiari si
rivelino tali -nonostante la modesta durata della privazione della libertà- da meritare un
indennizzo senza confini, se non il confine del tetto massimo disponibile”, ed ancora che “i
parametri aritmetici individuano soltanto di norma o, se si vuole, soltanto tendenzialmente il
massimo indennizzo liquidabile relativamente a tutte le conseguenze personali e familiari
patibili per ogni giorno di ingiusta detenzione, libero essendo il giudice di discostarsene, sia
in meno sia in più, e non solo marginalmente,…dando, però, di quel discostarsi….congrua
motivazione (Cass. 8.7.05 sez. IV).
-2.2- Orbene, a tali principi, che questa Corte pienamente condivide, si è sostanzialmente
attenuta la corte territoriale che, richiamato il parametro aritmetico, ha aumentato in maniera
apprezzabile l’importo giornaliero dell’indennizzo, liquidabile in base a detto parametro,
proprio in considerazione delle circostanze richiamate nel ricorso; e cioè, della condizione
personale del Razzino, sottufficiale della Guardia di Finanza, dai trascorsi professionali
ineccepibili, e delle rilevanti conseguenze pregiudizievoli che, in ragione di tale condizione,
erano allo stesso derivate dalla carcerazione, anche a causa dell’eco che la notizia dell’arresto
aveva avuto sulla stampa.
Occorre, peraltro, rilevare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il controllo di
legittimità della somma liquidata a titolo di riparazione non può concretizzarsi in un
sindacato sulla sufficienza o insufficienza della stessa, essendo tale controllo limitato alla
verifica della congruità e logicità della motivazione e della coerenza dei criteri adottati;
caratteri che l’ordinanza impugnata certamente presenta, essendo la decisione impugnata
rispettosa della normativa di riferimento e dei principi affermati da questa Corte, oltre che
sorretta da motivazione del tutto coerente sotto il profilo logico, e dunque non censurabile
nella sede di legittimità.
-3- Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle
spese processuali. L’intempestività della memoria di costituzione del Ministero resistente,
induce a dichiarare compensate, tra le parti, le spese del presente giudizio.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, l’ 8 ottobre 2013.

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