Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40686 del 21/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 40686 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEPAU GIANLUIGI N. IL 12/04/1975
avverso l’ordinanza n. 2950/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
FIRENZE, del 10/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

fRik
7Rcevp)

Uditi difensor Avv.;

le n/ve/P

00

Data Udienza: 21/05/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 10 giugno 2014, il Tribunale di
sorveglianza di Firenze respingeva il reclamo proposto da Gianluigi De Pau,
avverso il provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza il 7 maggio
2014 che aveva dichiarato inammissibile l’integrazione di 30 giorni sui semestri
di liberazione anticipata già concessi, per essere in corso di esecuzione la pena
per un reato ostativo alla concessione del beneficio (omicidi volontari).
2. Ha proposto ricorso De Pau, personalmente, chiedendo l’annullamento

3. Con il primo motivo, il ricorrente interpreta le modifiche apportate al
decreto-legge dalla legge dì conversione nel senso che il comma 2 consente
ancora la concessione ai condannati che a decorrere dal 1 gennaio 2010
abbiano già usufruito della liberazione anticipata la maggiore detrazione di 30
giorni senza esclusioni.
4. Con un secondo motivo lamenta violazione o erronea applicazione della
legge penale in quanto l’istanza finalizzata alla concessione del beneficio era
stata presentata nella vigenza del D.L. 146/2013 che non prevedeva nessuna
preclusione in relazione alla tipologia di condanna. Contesta che possono
essere introdotte restrizioni alla concessione delle misure alternative alla
detenzione carceraria ovvero ai benefici penitenziari nei confronti di coloro che
prima dell’entrata in vigore della normativa restrittiva avevano già raggiunto
un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti. Richiama il principio
secondo cui le normative sopravvenienti debbano essere applicate anche ai
condannati i quali prima dell’entrata in vigore delle norme peggiorative
avessero raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto.
5. Con un ultimo motivo osserva che, essendo detenuto anche per reati
non ostativi, il tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto procedere allo
scorporo della pena ed applicare la liberazione anticipata per i reati non esclusi
dal beneficio.
6. Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso non può ritenersi per alcun aspetto
fondato. La vicenda procedimentale in esame si colloca “a cavallo” della
conversione in legge (n. 10 del 21/2/2014) del decreto 23/12/2013 n. 146,
che al comma 4, eliminato dalla legge di conversione, prevedeva che «Ai
condannati per taluno dei delitti previsti dall’articolo 4 bis della legge 26 luglio

I

del provvedimento impugnato.

1975, n. 354 la liberazione anticipata può essere concessa nella misura di
settantacinque giorni, a norma dei commi precedenti, soltanto nel caso in cui
abbiano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero
sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della
personalità», mentre ora, per effetto delle modifiche al comma 1 apportate
dalla medesima legge, consente il riconoscimento della maggiore detrazione di
pena «Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti dall’articolo
4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354».

dunque in alcun modo beneficiare della disciplina di favore, essendo detenuto
per un delitto previsto dall’art. 4-bis L. n. 354 del 1975 (ord. pen.).
La materia dell’esecuzione della pena ha natura “processuale”, per cui il
principio che governa la scelta della norma applicabile va correttamente
identificato in quello di cui all’art. 11, comma 2, disp. prel. c.c., cd. tempus
regit actum, escludendosi in tal modo l’ammissione del condannato al più
favorevole trattamento in materia di liberazione anticipata previsto dal decreto
legge non convertito in legge, in quanto, al momento della decisione, la norma
non era più in vigore per effetto della mancata conversione del decreto stesso
sul punto. Principi analoghi sono stati affermati dalla Corte Costituzionale (ord.
n. 10 del 1981; sent. n. 376 del 1997) e dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo (sentenza Grande Camera del 21 ottobre 2013, Del Rio Prada
c/Spagna; decisione della Commissione del 15 gennaio 1997 nel caso L.C.R. c/
Svezia; Monne c/ Francia dell’i aprile 2008; Giza c/Polonia del 23 ottobre
2012). In proposito, questa Corte di legittimità, ricollegandosi alla decisione
del giudice delle leggi (Corte cost., sentenza 22 febbraio 1985, n. 51)», ha già
espresso il principio, cui questo Collegio aderisce, secondo cui «la norma
contenuta in un decreto legge non convertito non ha attitudine ad inserirsi in
un fenomeno successorio quale quello descritto e regolato dai commi secondo
e terzo dell’art. 2 c.p., ovverosia in un fenomeno successorio concernente
norme penali sostanziali» [Cass. 27 giugno 2014, (dep. 31 luglio 2014),
Panno; Sez. 1, n. 53781 del 2014, Ciriello; Sez. 1, n. 1650 del 2015, Giuliano;
Sez. 1, Sentenza n. 1653 del 2015, Gioè].
2. Diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, la norma non
introduce una restrizione alla concessione di benefici penitenziari o di misura
alternative, ma estende, con alcune eccezioni, i vantaggi conseguenti ad un
beneficio penitenziario ordinario, già previsto e reso accessibile a tutti i
condannati.
3. Quanto alla tesi fondata sul tenore letterale dell’art. 4 secondo comma
della L. 10, essa è infondata, poiché seziona il D.L. n. 146 del 2013, art. 4
2

2. In base al testo convertito in legge ed ora in vigore il ricorrente non può

convertito dalla L. n. 10 del 2014, isolando il comma 1 dal comma 2, mentre
essi vanno letti in coordinazione tra loro e, quindi, con esclusione dal beneficio
della liberazione anticipata speciale dei condannati per taluno dei delitti
previsti dall’art. 4 bis Ord. Pen., sia per il biennio successivo al 24 dicembre
2013, sia per il periodo decorrente dal 1 gennaio 2010. Tale interpretazione,
oltre a non essere contraddetta dalla lettera della legge, è avvalorata dal
rilievo che il testo del D.L. n. 146 del 2013, art. 4, al comma 4, soppresso
dalla legge di conversione, prevedeva per i condannati per delitti ostativi un

riconoscimento della liberazione anticipata speciale, non essendo sufficiente
l’aver dato o continuato a dare prova di partecipazione all’opera di
rieducazione, richiedendosi altresì la prova di “un concreto recupero sociale,
desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della
personalità”.

E

sarebbe perciò irragionevole, oltre che incoerente, una

interpretazione, quale quella proposta, secondo la quale nel momento in cui il
legislatore escluderebbe i condannati per delitti ostativi dal beneficio della
liberazione anticipata speciale solo per il biennio successivo al 24 dicembre
2013, ne consentirebbe invece l’ammissione per il tempo pregresso, a partire
dal 1 gennaio 2010, senza richiedere l’ulteriore e più pregnante condizione
rispetto a quella legittimante l’integrazione del medesimo beneficio per i
condannati per reati non ostativi, che contraddistingueva invece la precedente
più favorevole disciplina.
In sintesi, lettera e finalità della norma convergono nell’escludere i
condannati per delitti previsti dall’art. 4 bis Ord. Pen. dall’ammissione al
beneficio della liberazione anticipata speciale, di cui al D.L. n. 146 del 2013,
art. 4, commi 1, 2 e 3, convertito con modificazioni dalla L. n. 10 del 2014,
sia per il futuro (biennio decorrente dal 24/12/2013), sia per il passato
(integrazione della riduzione di pena già ottenuta con ulteriori trenta giorni
per ogni singolo semestre di pena scontata a partire dal 1 gennaio 2010,
incluso il semestre dì pena in corso di espiazione alla medesima data).
4.

Il motivo relativo alla richiesta di scioglimento del cumulo è stato

formulato genericamente e non può essere preso in considerazione. Il
ricorrente, che attualmente sta espiando la pena per reato ostativo, non
dimostra l’interesse attuale allo scioglimento del cumulo e l’incidenza che la
pronuncia avrebbe sulla sua posizione (attesa la ratio della norma volta alla
deflazione carceraria).
5. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento.

3

ulteriore requisito, rispetto ai condannati per reati non ostativi, ai fini del

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il giorno 21 maggio 2015

Il Consigliere estensore

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