Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40677 del 21/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 40677 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VETTORATO GABRIELLA N. IL 19/05/1950
avverso la sentenza n. 3718/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.,_‘),,C
che ha concluso per qt.

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Data Udienza: 21/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10/6/2014, la Corte di appello di Milano, in parziale
riforma di quella del Tribunale di Pavia impugnata da Vettorato Gabriella,
riduceva la pena inflitta all’imputata ad anni cinque di reclusione ed euro
195.000 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
La Vettorato è imputata per aver promosso, organizzato e partecipato, in
concorso con altri soggetti separatamente giudicati, ad un’associazione per

favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mediante l’induzione in errore
della Prefettura per il rilascio del nulla osta, del relativo visto per l’ingresso e del
contratto di soggiorno a favore di soggetti extracomunitari, costituendo ed
utilizzando le cooperative Athena e Pioppi e alcune ditte individuali, di fatto
inesistenti o inattive, al fine di attestare fraudolentemente e/o con documenti
contraffatti e/o alterati, l’esistenza dei requisiti richiesti dal Testo unico per
l’immigrazione, al fine di favorire l’ingresso di numerosi immigrati
extracomunitari, dietro corrispettivo di somme di denaro.
In particolare l’imputata è indicata essere organizzatrice dell’associazione:
ella avrebbe messo a disposizione dell’organizzazione la propria precedente
esperienza di titolare di un’agenzia di intermediazione lavorativa e avrebbe
fornito a Ben Chardoud Soumiya e ad altri membri del sodalizio i nominativi e le
generalità di diversi datori di lavoro, in alcuni casi del tutto estranei ai fatti,
nonché i dati delle relative imprese, così da consentire ai correi di presentare alla
Prefettura di Pavia numerosissime istanze di ingresso per lavoratori
extracomunitari suffragate da false attestazioni circa l’esistenza di sedi e unità
operative delle imprese.
La Vettorato corrispondeva a Ben Chardoud Soumiya la somma di euro
300,00 per ogni delega proveniente dai datori di lavoro che ella si impegnava a
presentare presso gli uffici dell’anagrafe del Comune di Gravellona Lomellina.

La ricorrente, inoltre, è stata condannata per alcuni specifici episodi di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravati dal numero delle
persone favorite, reato contestato in concorso con Ben Chardoud Soumiya.
La Ben Chardoud Soumiya agiva apparentemente per conto di un
imprenditore conosciuto dalla Vettorato, in base a deleghe a proprio favore
riportanti sottoscrizioni false autenticate presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di
Gravellona Lomellina con la complicità di un funzionario e gestiva le pratiche
delle istanze di assunzione dei lavoratori presso la Prefettura di Pavia, attestando
falsamente la provenienza dell’istanza dall’imprenditore, l’esistenza di un’unità
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delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti di

lavorativa e di una sistemazione alloggiativa e lavorativa presso la ditta,
dichiarando, altresì, che l’impresa in questione aveva fatturato una determinata
somma, nonostante non avesse nemmeno presentato la dichiarazione dei redditi.
La somma che la Vettorato corrispondeva a Ben Chardoud Soumiya (euro
300,00 per ogni delega) veniva più che compensata dalle somme che il
lavoratore avrebbe corrisposto a seguito dell’ottenimento del permesso di
soggiorno.
Per due delle tre imprese coinvolte, infine, la Vettorato è stata condannata

Soumiya e Travaglino Silvia, reato contestato per le false attestazioni da parte
del funzionario del Comune di Gravellona Lomellina.

I controlli sull’anomalo numero di domande provenienti da imprese che
dichiaravano di avere aperto una sede in provincia di Pavia avevano dimostrato
che numerose pratiche riportavano una delega del datore di lavoro a Ben
Chardoud Soumiya autenticate da un funzionario comunale. Le unità lavorative
così come gli alloggi di cui alle dichiarazioni erano risultati inesistenti.
Noè Dario, coinvolto insieme alla Ben Chardoud e che si era prestato a
fittizie assunzioni fondando allo scopo un’altra cooperativa, aveva riferito che, un
giorno, la Ben Chardoud gli aveva presentato la Vettorato, che si era resa
disponibile a fornire i nominativi di altre ditte da indicare come datori di lavoro.
Le pratiche e le dichiarazioni dei datori di lavoro coinvolti, i cui dati la
Vettorato conosceva, riscontravano il racconto di Noè, così come le indagini della
polizia sui contatti telefonici tra la Vettorato e Jouini Ahmed, amico della Ben
Chardoud. La Vettorato risultava coinvolta in una precedente indagine su reati
analoghi.

Secondo la Corte territoriale, la prospettazione dell’appellante secondo cui
altre persone potevano aver fornito i dati dei datori di lavoro a Noè era
meramente ipotetica: in realtà, i tre datori di lavoro coinvolti avevano fornito i
dati alla Vettorato e tali dati erano stati utilizzati nelle domande.
La Corte ribadiva l’attendibilità di Noè Dario e confermava la rilevanza e la
fondatezza delle indagini di polizia giudiziaria sui tabulati telefonici; rigettava,
inoltre, la richiesta di concessione delle attenuanti generiche alla luce del
precedente penale specifico.

2. Ricorre per cassazione Gabriella Vettorato, deducendo distinti motivi.
In un primo motivo la ricorrente deduce manifesta illogicità della
motivazione e travisamento e omessa valutazione di prove in relazione alla

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per il delitto di cui agli artt. 110 e 479 cod. pen., in concorso con Ben Chardoud

attendibilità attribuita a Dario Noè, escusso ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen..
In sede di appello, la ricorrente aveva contestato l’attendibilità di Noè, la
genericità e imprecisione della sua deposizione e l’evidente obiettivo di
alleggerire la sua posizione. Noè sosteneva di avere incontrato una sola volta la
Vettorato, ma non aveva saputo riconoscerla in fotografia (l’imputata nega
l’incontro) e aveva riferito di avere solo ipotizzato che i nominativi delle aziende
del cremonese e del veronese riportati nei fax a lui giunti fossero stati indicati
dalla Vettorato. Noè aveva indicato l’epoca dell’incontro con la Vettorato

erano state trasmesse per via telematica al Ministero nei mesi di maggio e
giugno 2008, quindi in epoca precedente all’incontro, così come lo erano le
deleghe rilasciate a favore di Ben Chardoud Sounniya.
In definitiva, non vi era prova che i nominativi delle aziende fossero stati
forniti dalla Vettorato a Noè e, per di più, si trattava di dati che erano a
conoscenza di Ben Chardoud Sounniya.
La motivazione con cui la Corte territoriale aveva ribadito l’attendibilità di
Noè travisava le prove: la sentenza sosteneva che proprio il mancato
riconoscimento della Vettorato in dibattimento da parte di Noè era la prova che
egli non voleva rendere dichiarazioni compiacenti; in realtà, era emerso che, nel
corso delle indagini preliminari, a Noè era stata mostrata la sola fotografia della
Vettorato, che aveva riconosciuto; in dibattimento, però, non aveva saputo
riconoscerla perché inserita in un album fotografico: Noè, in sostanza, voleva
compiacere il P.M. perché, in quel periodo, era in definizione la sua posizione con
un patteggiamento molto mite.
L’inattendibilità di Noè era dimostrata dal numero delle domande che egli
sosteneva di avere presentato: 16 – 17 domande, rispetto al numero effettivo di
circa 300.
Anche il passaggio della sentenza in cui si afferma che l’incontro tra Noè e
Vettorato non era necessariamente avvenuto alla fine dell’estate travisava le
risultanze probatorie e non chiariva perché le prime domande provenienti dai
datori di lavoro Cauteruccio, Criscuolo e Marino (quelli i cui nominativi sarebbero
stati forniti dalla Vettorato) risalissero al mese di maggio 2008.
Ancora: la Corte non spiegava perché era irrilevante la circostanza che i
nominativi degli imprenditori erano già in possesso della Ben Chardoud, che Noè
aveva talvolta accompagnato a redigere le autentiche delle firme false presso il
Comune di Gravellona Lomellina, come da lui ammesso; ciò dimostrava che i
nominativi dei fittizi datori di lavoro erano conosciuti da Noè prima dell’incontro
con la Vettorato.
Oltre ad essere inattendibili, le dichiarazioni di Noè non erano in alcun modo

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nell’estate inoltrata del 2008, ma più di metà delle domande delle tre imprese

riscontrate, né dalla coimputata Cervo (che non aveva mai sentito parlare della
Vettorato), né dalla Ben Chardoud, che non aveva reso dichiarazioni.

In un secondo motivo il ricorrente deduce manifesta illogicità della
motivazione e travisamento della prova con riferimento all’attribuzione alla
Vettorato e a Jouini Ahmed di due utenze telefoniche.
Secondo l’ipotesi accusatoria, vi erano stati 26 contatti tra la Vettorato e
Jouini, che era colui che doveva fornire i nominativi dei cittadini extracomunitari,

Non vi era prova che l’utenza fosse intestata alla Vettorato e che,
comunque, ella lo utilizzasse. La Corte aveva ritenuta raggiunta la prova
dell’intestazione e dell’uso delle due utenze sulla base della deposizione
dell’ispettore Morgana: ma questi aveva riferito ai sensi dell’art. 195 cod. proc.
pen. su dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, contro il divieto di
legge; inoltre mancavano i documenti delle compagnie telefoniche.
Ancora: atteso che per l’unico reato contestato alla Vettorato in concorso
con Jouini era stata pronunciata assoluzione dell’imputata, la Corte avrebbe
dovuto chiarire perché quelle conversazioni erano significative per la prova della
partecipazione all’associazione per delinquere.

In un terzo motivo, la ricorrente deduce travisamento della prova in ordine
alla ritenuta provenienza dall’imputata delle generalità e dei documenti fiscali
relativi alle imprese Cauteruccio, Criscuolo e Marino. I documenti erano a
conoscenza di altri soggetti, come emergeva dall’escussione dei tre imprenditori.
Non si trattava di mera suggestione difensiva, come riteneva la Corte
territoriale, ma di fatti riferiti dai tre testimoni. Per di più, gli altri datori di lavoro
coinvolti avevano negato di conoscere la Vettorato e avevano riferito di essersi
rivolti, per l’assunzione di lavoratori stranieri, ad una diversa commercialista di
Verona che risultava in contatto con Chardoud Soumiya.

In un quarto motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla
mancata concessione delle attenuanti generiche.
La ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

Il ricorrente ripropone considerazioni in fatto già esposte nell’atto di appello

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coinvolto in un episodio (capo D) rispetto al quale la Vettorato era stata assolta.

che la sentenza impugnata ha preso in considerazione e valutato.

Ciò riguarda, innanzitutto, l’attendibilità di Noè Dario, ritenuta sussistente
dalla Corte nonostante il mancato riconoscimento dell’imputata in dibattimento:
la Corte ne ha fornito una spiegazione non manifestamente illogica (egli aveva
visto la Vettorato di persona solo in un’occasione e per pochi minuti),
sottolineando che l’identificazione della Vettorato non discendeva esclusivamente
dal riconoscimento fotografico effettuato nel corso delle indagini preliminari, ma

Anche sul punto dell’epoca esatta dell’incontro tra la Vettorato e Noè, la
sentenza motiva adeguatamente sulla mancanza di certezza che esso fosse
avvenuto nel corso dell’estate 2008 e non alcuni mesi prima: né l’indicazione
temporale fornita dal coimputato era di precisione tale da ritenere sussistente un
travisamento della prova da parte della Corte territoriale.

2. Non corrisponde alla realtà processuale emergente dalle sentenze di
merito l’affermazione del ricorrente secondo cui le dichiarazioni di Noè non
avevano ricevuto alcun riscontro: la sentenza impugnata, al contrario, li indica.

In primo luogo, l’intervento di una donna a supporto delle attività illecite già
avviate era stato confermato anche dalla coimputata Monica Cerva; in secondo
luogo, è ampiamente provato – e non è contestato dall’imputata – che tre
imprenditori i cui nomi erano stati spesi e le cui firme erano state contraffatte
(Cauteruccio, Criscuolo e Marino) avevano avuto pregressi rapporti lavorativi con
la Vettorato, cui avevano fornito tutti i dati poi utilizzate nelle istanze presentate
alla Prefettura di Pavia; infine, i dati emergenti dall’analisi dei tabulati telefonici
dimostravano che la Vettorato, già da mesi, era in costante contatto con Jouini
Ahmed, sicuramente coinvolto nelle attività illecite in quanto indicato nelle
domande presentate da Ben Chardoud Soumiya come proprietario dell’immobile
dove i lavoratori stranieri avrebbero dovuto essere ospitati (si tratta di una delle
condizioni richieste dalla legge per permettere la concessione del visto di
ingresso), con indicazione della sua utenza telefonica.

Si tratta di riscontri di natura oggettiva assai consistenti, perché hanno
permesso ai giudici di merito di comprendere come Ben Chardoud Soumiya era
venuta a conoscenza dei dati dei tre imprenditori da utilizzare per continuare a
presentare domande e di ravvisare un legame stabile tra la stessa, la Vettorato e
Jouini. Emerge, quindi, una conoscenza parziale dei rapporti tra la Ben Chardoud
e la Vettorato da parte di Noè: non a caso era stata la Ben Chardoud a

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dal nome che la Ben Chardoud gli aveva fatto.

presentargli l’imputata, né erano stati necessari nuovi incontri, in quanto le due
donne e Jouini erano in contatto tra loro.

Esattamente la Corte valuta come meramente congetturali le considerazioni
dell’appellante sulla possibilità che la Ben Chardoud potesse avere ricevuto i dati
dei tre imprenditori tramite altre persone.
In effetti, il ricorrente oppone a questa valutazione le dichiarazioni di altri
imprenditori, i cui nomi erano stati indebitamente spesi, i quali non avevano

commercialista: ma è evidente che la Ben Chardoud poteva avere più contatti
per ampliare la platea di imprenditori da indicare come disponibili all’assunzione
di lavoratori stranieri e, quindi, poteva essersi rivolta anche a soggetti diversi
dalla Vettorato; ma ciò, ovviamente, non esclude affatto la responsabilità
dell’imputata.
D’altro canto, il ricorrente non sostiene affatto che

anche Cauteruccio,

Criscuolo e Marino avevano avuto rapporti lavorativi con la diversa
commercialista di Verona da altri indicata e, rispetto ai predetti, si limita appunto
a suggerire che essi avevano fornito i dati delle loro imprese ad altri soggetti,
non meglio individuati: considerazioni prive di pregnanza tale di scardinare lo
stretto legame individuato tra i tre imprenditori e la Vettorato e tra questa e la
Ben Chardoud.

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato e comunque generico.

Le dichiarazioni dibattimentali dell’ispettore di polizia giudiziaria che ha
riferito sugli accertamenti effettuati sull’intestazione e interazione delle utenze
cellulari non integrano una testimonianza indiretta ai sensi dell’art. 195 cod.
proc. pen., ma piuttosto una testimonianza sul contenuto di documenti: in
effetti, tutte le circostanze riferite non potevano che emergere dalla
documentazione in possesso delle aziende telefoniche (l’intestazione di
un’utenza, l’effettuazione di chiamate tra diverse utenze) o dalle domande di
assunzione presentate alla Prefettura (l’indicazione di Jouini come proprietario
dell’immobile dove ospitare gli stranieri, l’indicazione di quella determinata
utenza come in disponibilità dello stesso Jouini).
Quanto all’interazione tra le utenze, va puntualizzato che lo schema
ricostruito dall’Isp. Morgana è stato acquisito agli atti su consenso delle parti,
come riconosciuto nello stesso ricorso.

Non sussisteva, quindi, il divieto di cui all’art. 195, comma 4, cod. proc.

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conosciuto la Vettorato e avevano avuto piuttosto contatti con altra

pen.; d’altro canto, il contenuto rappresentativo di un documento può essere
provato attraverso una testimonianza (Sez. 6, n. 37367 del 06/05/2014 – dep.
09/09/2014, Seppia, Rv. 261931; Sez. 3, n. 3110 del 20/11/2013 – dep.
23/01/2014, C, Rv. 259318).
Non vi è dubbio che la testimonianza sul contenuto di documenti rischia di
essere imprecisa o errata: ma, nel caso di specie, non si ravvisano argomentate
contestazioni dell’esattezza delle circostanze – assai puntuali – riferite
dall’ispettore che aveva svolto gli accertamenti, né, con l’atto di appello, si era

acquisire tale documentazione.
In sostanza: il ricorrente pone esclusivamente il tema dell’inutilizzabilità
della testimonianza, in quanto tale infondata.

Sono, poi, palesemente generiche le considerazioni concernenti l’effettivo
utilizzo delle due utenze rispettivamente da parte della Vettorato e del Jouini:
l’intestazione di un’utenza cellulare ad una determinata persona giustifica una
logica presunzione di utilizzo da parte di quella stessa persona; ovviamente si
tratta di una presunzione semplice, che può essere sconfessata con varie
modalità, ma che – nel caso di specie – non lo è stata (l’imputata non ha mai
negato di avere utilizzato quell’utenza).
Quanto all’utenza attribuita a Jouini, logicamente la Corte territoriale si è
disinteressata della sua intestazione, atteso che l’indicazione ripetuta del
nominativo di Jouini e di quell’utenza nei documenti presentati alla Prefettura
forniva la prova che l’imputato la utilizzasse.

3. La motivazione della sentenza impugnata in punto di diniego delle
attenuanti generiche, infine, è adeguata e corrispondente ai parametri di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 21 maggio 2015

Il Consigliere estensore

Il resi ent

espressamente chiesta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di

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