Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4065 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4065 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GUTTADAURO MARIO N. IL 16/07/1959
avverso la sentenza n. 494/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 15/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 16/12/2014

R.G. 10031/2014
Considerato che:
Guttadauro Mario ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Caltanissetta del 15/10/2013, confermativa della sentenza del Tribunale di Enna
del 28/4/2011, con la quale era stato condannato alla pena di mesi uno di
reclusione ed € 100,00 di multa per il reato di ricettazione, chiedendone
l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen.;
deduce l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla sussistenza

del fatto e con memoria pervenuta in cancelleria insiste nelle questione’ già
proposte con il ricorso.
La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, si è
adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la
consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia
peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e
completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato
presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano
tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la
comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del
resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e
quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza
della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non
attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458;
sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza
impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione
del telefono cellulare risultato rubato si pone come coerente e necessaria
conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha
recentemente affermato (Sez.U. n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324;
sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, Screti, Rv. 247718) l’elemento psicologico della
ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in
presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità
della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio,
non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in
un mero sospetto.
Tutto ciò vale ad escludere, anche attraverso il richiamo alla se te rza di

dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione ed alla qualificazione giuridica

primo grado, qualsiasi vizio della motivazione anche in ordine alla qualificazione
giuridica del fatto ai sensi dell’art. 648 cod. pen:, non potendo il fatto, per le
considerazioni sopra svolte, essere inquadrato nell’ipotesi dell’incauto acquisto di
cui all’art. 712 cod. pen. Difatti, sulla base di quanto sopra detto, la Corte
territoriale ha dato atto, con argomentazioni prive di contraddittorietà logiche e
conformi alle risultanze processuali, che la qualificazione giuridica operata dal
giudice di primo grado era corretta, sussistendo l’elemento materiale e quello
psicologico del delitto di ricettazione. E la scelta effettuata dai giudici di merito

Collegio, in base alla quale in tema di ricettazione, il dolo può ricorrere anche
nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio
che la cosa accettata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad
una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che
invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta
provenienza (sez. 2 n. 45256 del 22/11/2007, Rv. 238515).
Le su esposte considerazioni impongono di dichiarare inammissibile il
ricorso, perché i motivi sui quali è fondato risultano manifestamente infondati.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 16 dicembre 2014

si pone in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal

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