Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4060 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4060 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

su(, ricors+ propost+ da:
CAPUZZI MARCELLO N. IL 15/03/1966
BIANCO BRUNO N. IL 20/11/1960
avverso la sentenza n. 2501/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
29/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FR 14cEico sA LzAN0
che ha concluso per ti 1.1. r4ao
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Data Udienza: 12/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Marcello Capuzzi e Bruno Bianco venivano tratti a giudizio avanti il
Tribunale di Brescia per rispondere del reato p. e p. dagli artt. 40 cpv. e 590,
primo e terzo comma, cod. pen. perché, nelle rispettive qualità – Capuzzi di
institore dell’impresa presso cui lavorava la persona offesa, Bianco di legale
rappresentante della società Bianco S.r.l. produttrice della segatrice
semiautomatica utilizzata nell’occorso – cagionavano al lavoratore Viola Natale

dito della mano sinistra al terzo distale: accadeva infatti che il predetto, mentre
operava alla sega nastro suddetta, nell’eseguire il taglio di una barra in ferro
piena del diametro di 50 mm veniva inavvertitamente a contatto con la lama
procurandosi le descritte conseguenze lesive.
Il fatto era ascritto ai predetti a titolo di colpa consistita:
– per il Capuzzi, nell’aver omesso di mettere a disposizione dei lavoratori
un’attrezzatura idonea in relazione alla sicurezza e di adottare tutte le misure
tecniche ed organizzative atte a ridurre al minimo i rischi per i lavoratori durante
l’uso delle attrezzature stesse, nello specifico di dotare la sega a nastro,
utilizzata presso il reparto “ferro”, di idonei dispositivi di sicurezza atti ad
eliminare il rischio di contatto accidentale con la lama;
– per il Bianco, nell’aver costruito e venduto l’attrezzatura in questione
(segatrice semiautomatica) non rispondente alle disposizioni legislative ed ai
regolamenti vigenti in materia di sicurezza, atteso che in particolare gli elementi
mobili della macchina non risultavano dotati di dispositivi di protezione tali da
prevenire qualsiasi rischio di contatto.
La responsabilità penale di entrambi i prevenuti, riconosciuta in primo grado,
con la conseguente condanna degli stessi anche al risarcimento del danno in
favore della parte civile, era confermata dalla Corte d’appello di Brescia, che
riformava la sentenza di primo grado solo in punto di determinazione della pena
inflitta a Capuzzi Marcello, ridotta in considerazione della minore incidenza
causale della condotta colposa dello stesso.
Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione entrambi gli
imputati, ciascuno articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, Marcello Capuzzi deduce (ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.) inosservanza degli artt. 521 e
522 cod. proc. pen. in tema di correlazione tra imputazione contestata e
sentenza.

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lesioni personali gravi consistite tra l’altro nell’amputazione traumatica del quinto

Rileva che, mentre nel capo di imputazione si contestava al Capuzzi di aver
omesso di mettere a disposizione dei lavoratori un’attrezzatura idonea in
relazione alla sicurezza e in particolare di aver omesso di dotare la sega a nastro
di idonei dispositivi atti ad eliminare il rischio di contatto accidentale con la lama,
in sentenza la condotta colposa omissiva ravvisata in capo allo stesso è quella di
non aver adottato una politica aziendale in grado di fargli apprezzare con
tempestività la manchevolezza da cui è originato l’infortunio. In altre parole si
sarebbe trattato di una carenza organizzativa, come tale riconducibile alla

implicitamente, all’imputato.

2.2. Con il secondo motivo deduce contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione nella parte in cui, da un lato, si afferma che le deficienze della
macchina segatrice erano facilmente rilevabili a colpo d’occhio, stante la notevole
frequenza di occasioni in cui si operavano tagli di materiale con diametro
inferiore ai 200 mm e, dall’altro, si afferma, per motivare la minore efficienza
causale della condotta colposa ascritta ad esso ricorrente, che erano più
frequenti le occasioni di utilizzo della segatrice per il taglio di tubi aventi
diametro maggiore di 200 mm, nelle quali non si manifestavano evidenti
situazioni di rischio.

3.1. Bianco Bruno, con il primo motivo di ricorso, deduce inosservanza di
norme processuali stabilite a pena di nullità e segnatamente degli artt. 79, 125 e
492 cod. proc. pen., con riferimento all’ammissione della costituzione di parte
civile di cui era stata eccepita in primo grado la tardività.
Era accaduto che il Tribunale, dopo aver provveduto alla dichiarazione di
apertura del dibattimento e alla ammissione delle prove, su istanza del difensore
della persona offesa che aveva chiesto di potersi costituire parte civile
assumendo di

«non essere stato chiamato fuori dall’aula e informato»,

nonostante l’opposizione dei difensori degli imputati, aveva revocato l’ordinanza
di apertura del dibattimento e consentito la costituzione di parte civile, ciò sulla
base del rilievo che «la mancata comparizione in aula del difensore di parte civile
appare riconducibile alla mancata presenza di ufficiale giudiziario».
L’eccezione di nullità della costituzione di parte civile, riproposta in grado
d’appello, era stata ritenuta inammissibile dalla corte territoriale con la
motivazione che «l’impugnazione dell’ordinanza di restituzione nel termine non
espone motivo alcuno a sostegno della doglianza, limitandosi ad una
affermazione autore ferenziale secondo cui il provvedimento non sarebbe idoneo

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previsione di cui all’art. 4 d.lgs. n. 626/94, profilo non contestato, neanche

a giustificare la remissione in termini e la contestuale revoca dell’originaria
ordinanza di apertura del dibattimento».
Il ricorrente censura tale motivazione, rilevando che l’eccezione era fondata
sul rilievo che la mancata presenza di ufficiale giudiziario non poteva giustificare
il contestato provvedimento.

3.2. Con il secondo motivo il Bianco deduce mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, derivanti anche da travisamento della

Premesso che la sua responsabilità penale è stata ritenuta sulla base del
rilievo secondo cui egli stesso, nell’evidenziare che il blocchetto fissato all’interno
della morsa consentiva di utilizzare la sega in sicurezza per il taglio di materiali
con diametro superiore a 200 mm, finiva in tal modo «per affermarne la perfetta
inutilità proprio nel caso di lavorazione di barre di diametro inferiore», rileva che
in realtà egli non ha mai detto che con quella macchina era possibile tagliare
pezzi di diametro inferiore a 200 mm, ma ha piuttosto affermato, al contrario,
che «sotto i 200 mm non si sarebbe potuto tagliare» (verbale del 29/11/2010,
pagina 16).
Lamenta al riguardo che la Corte ha peraltro anche travisato le dichiarazioni
del teste Mazzotta, funzionario Asl, e ignorato la deposizione, a lui favorevole
dell’ingegner Strabla, consulente tecnico dell’altro imputato.
Dalle prime, risulta invero tratto in sentenza il convincimento secondo cui
all’interno la fabbrica

«nessuno ha mai visto H fantomatico blocchetto

distanziatore», laddove il teste – osserva il ricorrente – si era limitato ad
affermare che «di questo blocchetto di taglio noi siamo venuti a conoscenza
quando abbiamo sentito il signor Bianco» (verbale del 7 giugno 2010, pagina
38): affermazione che – secondo il ricorrente – non giustifica il predetto
convincimento, sia perché non risulta che la polizia giudiziaria abbia svolto
indagini e abbia chiesto informazioni ai dipendenti sull’esistenza del blocchetto,

prova.

sia perché il fatto che il blocchetto distanziatore non fosse stato rinvenuto sul
luogo di lavoro non vale di per sé a dimostrare, a distanza di quasi 10 anni dalla
vendita dell’attrezzo, che esso mancasse ab origine, ossia che non fosse stato
fornito insieme con il prodotto, escludendo che piuttosto fosse stato
successivamente rimosso dall’acquirente per proprie esigenze di produzione.
Dalla seconda inoltre assume il ricorrente – avrebbe potuto ricavarsi
conferma del proprio assunto circa l’originaria fornitura, in uno con la macchina,
del predetto blocchetto.

Considerato in diritto
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4.1. Il primo dei motivi dedotti dal Capuzzi si appalesa infondato nella
premessa da cui muove, la quale non sembra confrontarsi con l’effettivo e ampio
tenore del capo d’imputazione.
In questo, invero, si fa espresso riferimento anche alla mancata adozione di

«tutte le misure tecniche ed organizzative atte a ridurre al minimo i rischi …»,
senza dire che, pur a prescindere da tale espresso riferimento, non potrebbe
comunque postularsi l’ipotizzato difetto di correlazione tra accusa e sentenza,
atteso che questa (con la locuzione “non tanto”) non esclude che l’adozione

rappresentata dalla violazione di norme antinfortunistiche, ma semplicemente
individua a monte una regola di condotta (ossia l’adozione di una politica di
sicurezza in grado di fargli apprezzare con tempestività il fattore di rischio) la cui
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inosservanza appare a sua volta adtorigine della violazione predetta: si tratta in
altre parole di una spiegazione delle ragioni organizzative che hanno condotto
alla violazione ascritta all’imputato, non già di una ricostruzione del fatto-reato
ritenuto in sentenza diversa da quella oggetto di imputazione.

4.2. È infondato anche il secondo motivo del ricorso del Capuzzi.
È agevolmente rilevabile, infatti, che non vi è alcuna contraddizione tra le
due affermazioni segnalate dal ricorrente: il fatto che il taglio di tubi con
diametro maggiore di 200 mm fosse più frequente, non toglie che anche l’altra
operazione riguardante tubi con diametro minore di 200 mm rimanesse
comunque sufficientemente frequente al punto da consentire l’apprezzamento
della situazione di pericolo.

5.1. È inammissibile il primo motivo del ricorso proposto da Bruno Bianco.
L’imputato deduce l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di
nullità, per avere il tribunale rimesso in termini la persona offesa, al fine di
consentirne la costituzione di parte civile dopo l’apertura del dibattimento di
primo grado.
Tale pretesa inosservanza non è stata però fatta valere tempestivamente
dall’imputato, il quale nulla precisa, sul punto, nel ricorso.
Deve anzi rilevarsi che, nel verbale dell’udienza dell’8 marzo 2010, dopo
che, a seguito della rimessione in termini, il giudice, motivatamente rigettando le
contestazioni riguardo a quest’ultima mosse dalla difesa, era avvenuta la
costituzione di parte civile da parte della persona offesa, nulla le parti, pur
nuovamente espressamente interpellate, hanno eccepito riguardo ad essa,
essendo anzi verbalizzata la loro mancanza di osservazioni in proposito.

dell’attrezzatura in questione resti di per sé imputabile a colpa dell’institore

Trova, perciò, applicazione il disposto dell’art. 491 comma 1 cod. proc. pen.,
secondo cui le questioni concernenti la costituzione di parte civile – ivi compresa
quella relativa alla sua tempestività – sono precluse se non sono proposte subito
dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione stessa.
Tale disposto è, infatti, applicabile anche nei casi – come quello di specie – in
cui la costituzione di parte civile sia avvenuta a seguito di rimessione in termini
ex art. 175 cod. proc. pen.; e ciò perché la rimessione in termini ha l’effetto di
riportare la situazione allo status quo ante.

dalla correttezza della motivazione adottata dalla sentenza impugnata sul punto
(v. in tal senso Sez. 3, n. 37507 del 13/07/2011, M., Rv. 251303).

5.2. È altresì infondato il secondo motivo di ricorso del Bianco.
Giova al riguardo anzitutto rammentare, con riferimento al denunciato vizio
di travisamento della prova, che, versandosi in ipotesi di doppia conforme e cioè
di doppia pronuncia di eguale segno (nel nostro caso, di condanna), questo può
essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti
(con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è
stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione
del provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi,
Rv. 243636).
Invero, sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza della novella
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotta dalla legge n. 46 del
2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando
nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel
processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può
essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella
di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite
del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice
d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti
a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (v. Sez. 2, n. 5223 del
24/01/2007, Medina, Rv. 236130).
Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso
materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle
censure degli appellanti, è giunto alla medesima conclusione della sussistenza
della dedotta responsabilità.
Ciò detto, deve inoltre rilevarsi che le censure tutte mosse dal ricorrente con
il motivo in esame, nel loro complesso mirate ad affermare che una corretta
valutazione delle prove raccolte avrebbe dovuto condurre la corte d’appello a
6

Ne deriva l’inammissibilità del relativo motivo di gravame, a prescindere

ritenere che la segatrice automatica fosse in realtà munita ab origine di un
blocchetto distanziatore, non si confrontano con il reale e più esteso contenuto
delle considerazioni svolte nelle sentenze di merito – suscettibili di integrarsi a
vicenda per il richiamato principio della c.d. doppia conforme – che fondano il
giudizio di responsabilità anche sul rilievo secondo il quale, quand’anche il detto
prodotto fosse stato dotato in origine del predetto dispositivo di sicurezza, posto
fra la morsa e il pezzo da lavorare in modo da consentire che la protezione del
nastro orizzontale coprisse interamente la lama non interessata alla operazione

«la macchina poteva funzionare anche senza detto blocchetto, sicché si trattava
in definitiva di un dispositivo il cui utilizzo era rimesso alla discrezionalità
dell’operatore». Come poi pure evidenziato dalla sentenza di primo grado (al
riguardo testualmente richiamata nella parte narrativa della sentenza d’appello),
che un siffatto utilizzo della macchina, senza il blocchetto distanziatore, non
potesse imputarsi a inopinata e imprevedibile manipolazione delle caratteristiche
proprie dell’attrezzo è dimostrato dalle modifiche successivamente apportate
dallo stesso costruttore dirette ad ottemperare alle prescrizioni impartite
dall’organo di vigilanza e tali da dimostrare «la concreta fattibilità di addivenire

ad una soddisfacente soluzione, grazie all’applicazione di un carter solidale con la
morsa mobile blocca pezzo».
Quest’ultima valutazione non risulta fatta segno di specifiche e conferenti
censure e in sé manifesta una intrinseca coerenza logica idonea a supportare il
giudizio di responsabilità penale.
A fronte di un siffatto più ampio impianto motivazionale desumibile dalle
sentenze di merito, si appalesa insussistente il dedotto vizio di

mancanza,

contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

6. Entrambi i ricorsi vanno, in definitiva, rigettati, con la conseguente
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/12/2013

di taglio, ciò non avrebbe comunque risolto il problema della sicurezza giacché

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