Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40592 del 24/09/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 40592 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 24/09/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di MALVONE Gennaro, n. a Torre
Annunziata (NA) 22.01.1970, rappresentato e assistito dall’avv.
Antonio Valentini, avverso l’ordinanza del Tribunale di Lanciano, n.
245/2013, in data 21.02.2014;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
udite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Alfredo
Pompeo Viola che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 23.10.2013, il Tribunale di Lanciano
condannava Malvone Gennaro e contestualmente revocava nei

1

suoi confronti la misura cautelare in essere.
Avverso tale decisione de libertate, proponeva appello il pubblico
ministero; con provvedimento n. 371/2013, il Tribunale della
libertà de L’Aquila, in funzione di giudice dell’appello, accoglieva il
gravame e disponeva il ripristino della misura cautelare sul
presupposto che non risultava articolata alcuna motivazione
(contestuale) al provvedimento di revoca della misura né

Nei confronti di tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il
Malvone adducendo che il giudice a quo ben avrebbe potuto
motivare il provvedimento sulla libertà in uno con la sentenza,
non essendosi in presenza di un provvedimento soggetto a
termine perentorio (motivazione che, in effetti, interveniva in
seno alla sentenza).
Nei confronti dell’ordinanza cautelare contenuta nella sentenza di
primo grado depositata in data 14.01.2014, il pubblico ministero,
a propria volta, proponeva appello ex art. 310 cod. proc. pen.
che veniva dichiarato inammissibile dal Tribunale della libertà con
provvedimento in data 17.02.2014. A seguito di ciò, il Malvone
proponeva nuova istanza di revoca della misura ex art. 299 cod.
proc. pen. al Tribunale di Lanciano che, con ordinanza in data
21.02.2014, veniva dichiarata inammissibile sul presupposto che,
in assenza di nuovi elementi fattuali, la revoca di una misura
cautelare “la cui applicazione non è definitiva perché ancora
sottoposta a giudizio … deve ritenersi inammissibile, incontrando
la preclusione che deriva dalla situazione di litispendenza …”.
2. Nei confronti del predetto provvedimento, veniva proposto,
nell’interesse di Malvone Gennaro, ricorso per cassazione per
dedotta violazione di legge. Assume il ricorrente come, pur
esistendo una misura cautelare

sub judice,

ha avuto inizio

l’ulteriore procedimento incidentale basato su nuovi elementi.
Inoltre, ipotizza il ricorrente che, nell’ipotesi che la Suprema
Corte avesse respinto il ricorso del Malvone avverso l’ordinanza
371/2013 del Tribunale de L’Aquila, lo stesso sarebbe finito per
essere (ri)privato della libertà personale “sulla base di un
provvedimento emesso da un Giudicante che non ha avuto
contezza per intero del contenuto del provvedimento impugnato”.

A

risultava il successivo deposito di apposita ordinanza cautelare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta
inammissibile.
Invero, come riconosciuto da questa Suprema Corte (Cass., Sez.
1, n. 20297 del 13/05/2010, dep. 27/05/2010, De Simone), va
innanzitutto premesso come le peculiarità del sistema cautelare

4.

rendono evidente che al termine “giudicato”, non può in alcun
modo, in tale materia, riconnettersi il rigore e l’assolutezza del
principio sancito dall’art. 648 cod. proc. pen. ma ha il solo
significato, logicamente e giuridicamente corretto, di “preclusione
endoprocessuale”, idoneo ad impedire la reiterazione di domande
su questioni già dedotte e trattate (anche implicitamente purché
necessariamente correlate a queste), mentre sicuramente non
copre fatti e questioni deducibili, ma non dedotte e non
esaminate.
Fermo quanto precede, costituisce principio consolidato (cfr.,
sentenze S.U. n. 14535 del 19/12/2006, Librato; n. 18339 del
31/03/2004, Donelli; n. 8 del 25/06/1997, Gibilras; n. 11 del
08/07/1994, Buffa; n. 20 del 12/10/1993, Durante; nonché Sez.
6, Sentenza n. 5374 del 25/10/2002, Riccieri; n. 26 del
12/11/1993, Galluccio) che, rispetto alle ordinanze in materia
cautelare, all’esito del procedimento di impugnazione o allo
scadere dei termini per impugnare, si forma una preclusione
processuale, anche se di portata più modesta di quella relativa
alla cosa giudicata, perché è limitata allo stato degli atti e copre
solo le questioni dedotte.
Peraltro, come già statuito con sentenza di questa Corte Sez. 6 n.
1892 del 18/11/2004 (con la quale si citavano le precedenti
sentenze di Sez. 5, n. 1919 del 02/10/1995, Pandolfo; Sez. 6,
08/07/1996, Gianino; Sez. 6, n. 512 del 12/03/1999, Siragusa e
sulla scorta di C. cost. n. 318 del 2001 e 39 del 2002), il divieto
di bis in idem ha nel sistema processuale penale portata più
generale, trovando espressione oltre che nel divieto di un
secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.) e nella disciplina
dell’ipotesi di una pluralità di sentenze (art. 669 cod. proc. pen.),

3

nelle norme sui conflitti positivi di competenza (artt. 28 e segg.
cod. proc. pen.), ed è finalizzato ad evitare che per lo stesso
fatto si svolgano più procedimenti o si adottino più provvedimenti
anche non irrevocabili, l’uno indipendentemente dall’altro.
Su queste premesse, questa Suprema Corte (S.U. n. 34655 del
28/06/2005, Donati) ha quindi chiarito che, mentre il fenomeno
della litispendenza è tendenzialmente regolato dall’art. 28 cod.

proc. pen. nel caso in cui a procedere siano differenti uffici
giudiziari, ove siano lo stesso ufficio del pubblico ministero e lo
stesso ufficio giudiziario a procedere in relazione ad una
determinata imputazione contro la stessa persona deve
comunque trovare applicazione il principio di preclusioneconsumazione che impedisce, oltre al nuovo esercizio dell’azione
penale, anche il potere di ius elicere sull’identica regiudicanda.
Ne consegue che, come non è consentito instare per la revoca di
una misura divenuta “definitiva” sulla base di argomenti che non
sono diversi rispetto a quelli già esaminati, neppure può
ammettersi che, in pendenza di altro procedimento ed esistendo
una precedente misura cautelare sub iudice, si inizi in relazione
alla stessa persona e lo stesso fatto un nuovo procedimento
incidentale basato su i medesimi elementi.
Tale situazione vale difatti a costituire preclusione in base al
principio, anch’esso derivante dal generale divieto di bis in idem,
della litispendenza che in sintonia con le esigenze di razionalità e
di funzionalità connaturate al sistema, parimenti impedisce, in
tutte le situazioni che non implicano un conflitto di competenza e
non sono accompagnate dall’esistenza di un provvedimento
irrevocabile, di riproporre e di esaminare più volte la stessa
domanda: da qui l’inammissibilità del presente ricorso.
5. Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

4

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla
Cassa delle ammende.

Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 24.9.2014

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