Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40551 del 25/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40551 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– VENUTI PAOLO, n. 19/02/1957 a PADOVA

avverso la sentenza del GIP del tribunale di SALERNO in data 7/06/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. F. Baldi, che ha chiesto annullarsi senza rinvio l’impugnata
sentenza in accoglimento del primo motivo di ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. E. Fragasso, che ha chiesto
accogliersi il ricorso;

k

Data Udienza: 25/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza del GIP del tribunale di SALERNO, pronunciata in data

7/06/2012, depositata in data 8/06/2012, il ricorrente VENUTI PAOLO veniva
prosciolto per intervenuta estinzione per prescrizione, dai reati di cui agli artt.
292/295, d.P.R. n. 43/1973, 110 ed 81 c.p. nonché artt. 48/479 c.p. (fatti

imputazione, è sufficiente in queste sede precisare che, in sintesi, al Venuti,
unitamente ad altri soggetti nei cui confronti si è proceduto, veniva contestata
l’evasione dell’IVA all’importazione, sub specie dei diritti di confine relativi
all’importazione di banane; in particolare, per quanto è dato desumere
dall’imputazione mossa, i legali rappresentanti della Chiquita Italia S.p.A.
avrebbero effettuato importazioni di banane dall’estero per il tramite di società
titolari di certificati AGRIM, che consentivano una riduzione dell’ammontare dei
dazi dovuti; una di queste società, la LONDON FRUIT LTD. con sede nel Regno
Unito, di cui il ricorrente è rappresentante fiscale ex art. 17, d.P.R. n. 633/1972,
avrebbe acquistato le banane per poi rivenderle a Chiquita Italia S.p.A., che
avrebbe a sua volta beneficiato di una consistente riduzione dei dazi doganali, sì
da integrare il delitto di contrabbando. Quanto alla residua imputazione, è
contestato l’aver reso, con la predetta condotta, false dichiarazioni al P.U. nelle
bollette doganali.

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista dell’imputato,
vengono dedotti tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., per
violazione della legge penale, avendo il tribunale erroneamente dichiarato
prescritto il reato di contrabbando, laddove avrebbe dovuto prosciogliere il
ricorrente per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, attesa
l’intervenuta aboliti° criminis a seguito dell’entrata in vigore del Reg. CE n.
1964/2005 e succ. modd., con conseguente violazione dell’art. 2, comma 2, c.p.
In particolare, si censura quanto afferrnato dalla Corte territoriale che ha ritenuto
di dover prosciogliere per intervenuta estinzione per prescrizione dal reato di
contrabbando doganale il ricorrente, nonostante i pretesi diritti di confine evasi
(previsti dal Reg. CE 404/1993 che regolava, in ambito comunitario, la materia
dell’importazione delle banane, imponendo dazi doganali per gli acquisti allo
stato estero), non fossero più previsti dalla normativa successiva, costituita dal
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commessi sino al 31 dicembre 2005); per migliore intelligibilità della

Reg. CE 1964/2005, in vigore dal 1 gennaio 2006, che fonda l’organizzazione del
mercato comune delle banane esclusivamente sul sistema tariffario, stabilendo
che l’aliquota tariffaria applicabile alle banane è fissata in € 176 per tonnellata;
non sarebbe, quindi, più necessario presentare il certificato AGRIM per importare
le banane a dazio ridotto da paesi terzi né, quindi, più previsto il pagamento dei
diritti di confine, non più contemplati dalla disciplina di settore; il contingente

certificato AGRIM sarebbe utilizzato solo come strumento per monitorare il
mercato, ossia per controllare la quantità di banane che viene importata nell’area
comunitaria, ma non avrebbe più la funzione di titolo preferenziale per
l’importazione a dazio ridotto; poiché il diritto dell’UE sarebbe applicabile
direttamente nell’ordinamento giuridico interno, avendo il Regolamento CE
immediata efficacia applicativa, sarebbe fonte del diritto immediatamente
applicabile nell’ordinamento interno, sicchè, integrando il Reg. CE 1964/2005 il
precetto penale in relazione al delitto di contrabbando doganale, vi sarebbe
un’incompatibilità tra la normativa nazionale e quella dell’UE che ha eliminato i
diritti di confine, con conseguente abolitio criminis in relazione al contrabbando
doganale con riferimento all’evasione dei diritti di confine dovuti
sull’importazione delle banane; la normativa UE, peraltro, introducendo norme
penali di favore, sarebbero a maggior ragione applicabili nell’ordinamento
interno.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett, b), c.p.p., per
violazione della legge penale, avendo il tribunale erroneamente operato una
valutazione di equipollenza tra la qualifica giuridica di rappresentante legale e
quella di rappresentante fiscale dell’impresa, estendendo indebitamente l’ambito
di applicazione della disciplina della rappresentanza fiscale a fini IVA alla materia
dei dazi doganali, con conseguente violazione delle norme extra-penali
integratrici del precetto penale.
In particolare, si censura quanto affermato dal giudice di merito che ha operato
un’implicita valutazione di equipollenza tra la qualifica di rappresentante fiscale e
quella di rappresentante legale, attribuendo al ricorrente la veste di organo
societario responsabile per gli illeciti assenta mente commessi nell’importazione
delle banane; inoltre, si censura la contestazione relativa al mancato pagamento
dei diritti di confine sull’importazione delle banane che hanno natura fiscale
distinta ed una diversa funzione giuridico – economica rispetto all’IVA
all’importazione, essendo regolati da fonti giuridiche diverse ed essendo ispirati a
finalità di tipo protezionistico, estranee alla disciplina IVA; poiché, quindi, il
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tariffario, quindi, pur permanendo, avrebbe diverso oggetto e finalità, ed il

ricorrente venne nominato rappresentante fiscale solo ai fini IVA, non sarebbe
ipotizzabile in astratto una sua responsabilità in relazione all’evasione dei diritti
di confine, non essendo titolare di alcuna qualifica soggettiva che lo rendesse
soggetto passivo dell’obbligazione doganale, essendo peraltro il delitto di
contrabbando doganale un reato proprio del soggetto su cui grava l’imposizione
doganale, né, peraltro, risultando che al ricorrente fossero state attribuite

d.P.R. citato; l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui non sussistevano
elementi che giustificassero il proscioglimento nel merito sarebbe errata, non
avendo il giudice valutato che il ricorrente non poteva essere ritenuto soggetto
passivo dell’obbligazione doganale e, quindi, responsabile del delitto di
contrabbando doganale nè del delitto di falso.

2.3. Deduce, con il terzo ed ultimo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e),
c.p.p., per mancanza di motivazione in ordine alle circostanze, emergenti anche
dalla produzioni documentali, che rendevano evidente la sussistenza dei requisiti
per il proscioglimento nel merito.
In particolare, si censura quanto affermato dal giudice di merito che avrebbe
pretermesso la valutazione della produzione documentale difensiva da cui
emergevano elementi che comprovavano l’estraneità alle imputazioni del
ricorrente; il giudice si sarebbe, quindi, limitato a ritenere che non ricorrevano
elementi che rendevano evidente il proscioglimento nel merito.

CONSIDEFtATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere rigettato per la ragioni di seguito esposte.

4. Seguendo l’ordine sistematico imposto dalla struttura dell’impugnazione, deve
essere, anzitutto, esaminato il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si
duole per aver il giudice di merito adottato sentenza di proscioglimento con la
formula “perché il reato è estinto per prescrizione” anziché, come sarebbe stato
invece corretto, per non essere il fatto previsto dalla legge come reato.
La tesi difensiva, come anticipato, è che i pretesi diritti di confine evasi (previsti
dal Reg. CE 404/1993 che regolava, in ambito comunitario, la materia
dell’importazione delle banane, imponendo dazi doganali per gli acquisti allo
stato estero), non siano più previsti dalla normativa successiva, costituita dal
Reg. CE 1964/2005, in vigore dal 1 gennaio 2006, che fonda l’organizzazione del
mercato comune delle banane esclusivamente sul sistema tariffario, stabilendo
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mansioni operative diverse da quella tipiche del rappresentante fiscale ex art. 17

che l’aliquota tariffaria applicabile alle banane è fissata in C 176 per tonnellata.
In questo senso, dunque, integrando il Reg. CE 1964/2005 il precetto penale in
relazione al delitto di contrabbando doganale, vi sarebbe un’incompatibilità tra la
normativa nazionale e quella dell’UE che ha eliminato i diritti di confine, con
conseguente

abolitio criminis

in relazione al contrabbando doganale con

riferimento all’evasione dei diritti di confine dovuti sull’importazione delle

La tesi, pur suggestiva, non può essere accolta.

4.1. Per meglio comprendere l’approdo cui è pervenuto il Collegio è utile un,

seppur sintetico, richiamo alla normativa applicabile.
La normativa penale contestata è costituita, nel caso in esame, dall’art. 292 del
d.P.R. n. 43/1973 che, sotto la rubrica «Altri casi di contrabbando», punisce con
la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti medesimi
“chiunque, fuori dei casi preveduti negli articoli precedenti, sottrae merci al
pagamento dei diritti di confine dovuti”. L’art. 295 del medesimo decreto, sotto
la rubrica «Circostanze aggravanti del contrabbando», prevede un inasprimento
del trattamento sanzionatorio (multa non minore di cinque e non maggiore di
dieci volte i diritti di confine dovuti) nei confronti di “chiunque, per commettere il
contrabbando, adopera mezzi di trasporto appartenenti a persona estranea al
reato”. Lo stesso articolo, prevede che, unitamente alla pena pecuniaria, si
applichi anche la reclusione da tre a cinque anni, in uno dei seguenti casi: a)
quando nel commettere il reato, o immediatamente dopo nella zona di vigilanza,
il colpevole sia sorpreso a mano armata; b) quando nel commettere il reato, o
immediatamente dopo nella zona di vigilanza, tre o più persone colpevoli di
contrabbando siano sorprese insieme riunite e in condizioni tali da frapporre
ostacolo agli organi di polizia; c) quando il fatto sia connesso con altro delitto
contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione; d) quando il
colpevole sia un associato per commettere delitti di contrabbando e il delitto
commesso sia tra quelli per cui l’associazione è stata costituita.
Per gli stessi delitti, alla multa è aggiunta la reclusione fino a tre anni quando
l’ammontare dei diritti di confine dovuti è maggiore di euro 49.993,03.
Nel caso di specie, troverebbe applicazione il disposto della lett. C), essendo
contestato il reato di cui all’art. 483 cod. peri.
Per quanto concerne la normativa comunitaria, con riferimento alla
materia de qua, la norma di riferimento è costituita dal Reg. (CEE) 13 febbraio
1993, n. 404/93 (Regolamento del Consiglio relativo all’organizzazione comune
dei mercati nel settore della banana, in G.U.C.E. 25 febbraio 1993, n. L 47),
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banane.

entrato in vigore il 26 febbraio 1993, abrogato dall’art. 201 del regolamento (CE)
n. 1234/2007, con decorrenza indicata nello stesso articolo (1 gennaio 2008);
tale ultimo Regolamento è stato, poi, abrogato dall’art. 230 del regolamento
(UE) n. 1308/2013, con la decorrenza indicata nell’art. 232 del medesimo
regolamento 1308/2013.
La difesa del ricorrente ha, poi, richiamato il Reg. (CE) 29 novembre
2005, n. 1964/2005 (Regolamento del Consiglio relativo alle aliquote tariffarie

il 5 dicembre 2005, successivamente abrogato dall’art. 1 del regolamento (UE)
n. 306/2011. Orbene, il richiamato Reg. n. 1964/2005, all’art. 1 prevede(va) che
a decorrere dal 10 gennaio 2006, l’aliquota tariffaria applicabile alle banane
(codice NC 0803 00 19) è pari a 176 EUR/t. Il § 2, poi (soppresso dall’art. 25 del
regolamento (CE) n. 1528/2007), aggiungeva, ad ulteriore chiarimento, che dal
10 gennaio di ogni anno, a partire dal

10 gennaio 2006, viene aperto un

contingente tariffario autonomo di 775.000 tonnellate di peso netto a dazio zero
per le importazioni di banane (codice NC 0803 00 19) originarie dei paesi ACP
(v., per le modalità di rilascio dei titoli d’importazione di banane del codice NC
0803 00 19 originarie dei paesi ACP nell’ambito del contingente tariffario di cui al
presente paragrafo, il regolamento (CE) n. 2015/2005).

4.2. Tanto premesso quanto alla normativa applicabile, va ricordato che i dazi

doganali, che sono percepiti sulle importazioni di prodotti provenienti dai paesi
terzi, sono riscossi dagli Stati membri per conto dell’UE e versati al bilancio
comune dell’UE. Gli Stati mernbri trattengono il 25 0/0 degli importi riscossi a titolo
di spese di riscossione. Questa risorsa propria tradizionale costituisce solo una
piccola parte delle entrate finanziarie del bilancio dell’Ue.
Secondo la prospettazione difensiva, i regolamenti comunitari (segnatamente il
reg. n. 1964/2005) hanno introdotto un sistema tariffario fisso con eliminazione
dei dazi doganali, quindi, essendosi verificata un’aboliti° criminis, il ricorrente
avrebbe dovuto essere prosciolto perché il fatto non è più previsto dalla legge
come reato.
A sostegno di tale assunto, la difesa richiama un precedente di questa Corte, che
ha ritenuto sussistere l’aboliti° criminis del reato di contrabbando doganale
consistente nell’omissione del pagamento del dazio ad valorem del 6°/0 gravante
sull’alluminio in pani proveniente dalla Repubblica Federale Yugoslavia, in virtù
della sopravvenienza del regolamento comunitario n.2007 del 2000, integrato e
modificato dal regolamento n.2563 del 2000 che ha sottratto tale merce ai diritti
di confine sulla stessa gravanti, in quanto le norme impositive del dazio
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applicabili alle banane, in G.U.U.E. 2 dicembre 2005, n. L 316), entrato in vigore

costituiscono norme extrapenali integratrici del precetto penale ed, in quanto
tali, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art.2 cod. pen. (Sez. 3, n. 14329
del 04/02/2003 – dep. 27/03/2003, Pertot, Rv. 224243). Nello stesso senso,
peraltro, si colloca quella decisione che ha ritenuto che l’esigibilità dei diritti di
confine viene meno in presenza di norme internazionali che aboliscano i dazi
doganali e le tasse di effetto equivalente, che ai sensi dell’art. 34 d.P.R. 43/1973

relativa all’importazione clandestina di argento dalla Svizzera: Sez. 3, n. 4135
del 19/01/1994 – dep. 13/04/1994, Antoci ed altri, Rv. 197760).

4.3. L’assunto, sebbene supportato anche da decisioni di questa Corte, non può
essere condiviso.
Ed infatti, osserva il Collegio, come del resto autorevolmente sostenuto dalle
Sezioni Unite di questa Corte, che in tema di successione di leggi penali, la
modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione
incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale
norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva
(Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007 – dep. 16/01/2008, P.G. in proc. Magera, Rv.
238197).
Nel caso in esame, ci troviamo di fronte ad una norma penale (artt. 292/295
d.P.R. n 43/1973) che punisce l’evasione dei diritti di confine dovuti per
l’importazione delle banane e di una norma comunitaria che, a seguito
del’evoluzione legislativa, ha visto trasformarsi il sistema di imposizione (da
dazio doganale a sistema tariffario fisso con conseguente eliminazione dei dazi
doganali e specifica indicazione anche dell’ammontare delle aliquote),
confermando l’eliminazione dei diritti di confine su tali prodotti.
Ritiene i Collegio che la fattispecie penale applicabile nel caso di specie in
materia doganale non possa ritenersi norma penale in bianco e, per tale ragione,
si sottragga al criterio indicato dal ricorrete (e in precedenza sostenuta da latre
decisioni di questa Corte).
Ed invero, osserva questa Corte che il fenomeno della “norma penale in bianco”
riguarda la determinazione del precetto della norma penale (e, sporadicamente,
anche la determinazione della sanzione penale entro stretti limiti prefissati dalla
legge), la cui definizione la stessa legge penale demanda ad atti normativi
sottordinati nella gerarchia delle fonti del diritto, quale il regolamento o il
provvedimento della pubblica autorità.
La norma penale in questione, invece, definisce la condotta sanzionata rinviando
non ad una fonte sottordinata ma ad una legge extrapenale, quale appunto il
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fanno parte della categoria generale dei diritti doganali di confine (fattispecie

regolamento U.E. che determina il sistema di tassazione comunitaria (rectius,
europea) del prodotto “banana” all’atto dell’importazione da paesi terzi, il cui
precetto non diviene esso stesso norma penale, ma opera come un requisito del
fatto previsto dal precetto contenuto nella norma penale.
In applicazione, pertanto, della richiamata sentenza delle Sezioni Unite di
questa Corte (v. anche, per un caso particolare, affrontato in precedenza dalle
medesime Sezioni Unite con riferimento alla materia tributaria: Sez. U, n. 2885

norma penale in bianco della fattispecie in esame, la disciplina “comunitaria” non
esplica alcun effetto retroattivo e, pertanto, non può escludersi la punibilità del
fatto precedentemente commesso per le ragioni evidenziate.
Corretta, dunque, appare la decisione del giudice di merito che ha
ritenuto di dover applicare la causa di estinzione del reato di cui all’art. 157 c.p.

5. Può quindi, procedersi ad esaminare il secondo motivo di ricorso, che il
Collegio ritiene parimenti infondato.
In proposito, va rilevato che questa Corte ha già reiteratamente precisato (Sez.
5, Sentenza n. 13890 del 28/05/2008, Rv. 603966) che, il rappresentante fiscale
a fini Iva ex D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 17, comma 2 – se, per tale ruolo, è
elettivamente chiamato a rispondere, in solido con il rappresentato,
limitatamente agli obblighi derivanti dall’applicazione delle norme in tema di Iva
– ben può assumere, in concreto e in rapporto agli effetti ed agli obblighi
scaturenti dalla dichiarazione doganale, anche qualità di soggetto passivo
dell’obbligazione doganale. Ciò quale riflesso del fatto che, in forza della
previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, Iva all’importazione e diritti
di confine (che sono di natura doganale) presentano, quanto a meccanismi
applicativi, disciplina comune e, pur configurando tributi distinti e separatamente
liquidati, sono resi oggetto di unico prelievo effettuato sulla bolletta doganale
quale condizione per il rilascio della merce. Occorre, invero, rilevare che, in
materia doganale, obbligati al versamento dei dazi sono, non solo l’importatore
(direttamente e/o quale soggetto per conto del quale è resa la dichiarazione) e,
in via solidale, il di lui rappresentante indiretto, ma anche qualsiasi altro
soggetto che, pur partecipando alle formalità doganali, non dichiari di agire, a tal
riguardo, a nome o per conto di un terzo ovvero dichiari di agire a nome o per
conto di un terzo senza disporre del relativo potere di rappresentanza; questi è
considerato agire a suo nome e per proprio conto e, conseguentemente,
risponde dell’obbligazione doganale quale sottoscrittore della dichiarazione o,
comunque, “cooperante” al perfezionamento dell’operazione. In aderenza alla
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del 19/01/1994 – dep. 08/03/1994, Sampoli, Rv. 196259), esclusa la natura di

specifica finalità della norma doganale tesa a salvaguardare l’interesse
pubblicistico all’adempimento dell’obbligazione daziaria, l’art. 201, comma 3,
Reg. C.e.e. 2913/1992 precisa, infatti, che, quando una dichiarazione è resa in
base a dati che determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi
dovuti per legge, le persone che hanno fornito i dati necessari alla stesura della
dichiarazione e che erano od avrebbero dovuto essere a conoscenza della

vigenti disposizioni doganali; e, in linea con la regolamentazione comunitaria, il
D.P.R. n. 43 del 1973, art. 38 (T.U.L.D.), vincola all’obbligazione doganale,
generalizzatamente, tutti coloro comunque ingeritisi nell’operazione.
Se ne deve inferire che, in tale contesto normativo, chi risulti
incontrovertitamente affiancato al proprietario/destinatario delle merci nella
dichiarazione doganale (seppur con l’indicazione di rappresentante fiscale), non
può essere considerato estraneo alla conseguente responsabilità per i diritti
daziari, atteso che, all’uopo, rileva anche la mera fattuale ingerenza nel
perfezionamento dell’operazione d’importazione (la cui essenza l’Agenzia non è
tenuta a vagliare, essendo onere dell’interessato contraddire probatoriamente) e
che la responsabilità solidale ai fini dell’Iva all’importazione non vale ad
escludere quella di profilo strettamente doganale, ben potendo, con questa,
concorrere.
Ne discende, pertanto, infondatezza anche di tale secondo motivo.

6. Quanto, infine, al terzo ed ultimo motivo, con cui il ricorrente evoca un
preteso vizio motivazionale in ordine alle circostanze, emergenti anche dalle
produzioni documentali, che renderebbero evidente la sussistenza dei requisiti
per il proscioglimento nel merito, l’esame del medesimo – e persino la eventuale
fondatezza – non avrebbero alcun effetto per il ricorrente.
Ed infatti, per costante insegnamento delle Sezioni Unite, in presenza di una
causa di estinzione del reato (come nel caso in esame), non sono rilevabili in
sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il
giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla
declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep.
15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275; conf.: Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992 dep. 22/02/1993, Marino ed altri, Rv. 192471).
Anche tale motivo, quindi, dev’essere rigettato.

9

erroneità possono essere parimenti considerati debitori conformemente alle

7. Il ricorso dev’essere, dunque, complessivamente rigettato. Segue, a norma
dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2014

Il

s sigliere st.

Il Presidente

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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