Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40526 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40526 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IMBESI ANTONINO N. IL 01/01/1984
avverso l’ordinanza n. 117/2014 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
06/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

cbjc,9

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 05/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1- Con ordinanza 6.10.2014 il Tribunale di Messina ha respinto l’appello
proposto contro il provvedimento che aveva a sua volta rigettato la richiesta di
revoca del sequestro preventivo per equivalente della somma di C. 351.360,00
disposto nell’ambito di un procedimento penale per dichiarazione infedele di IVA
(D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4) promosso nei confronti di Imbesi Antonino in
relazione agli anni di imposta 2009 e 2011.
Per giungere a tale conclusione, il Tribunale ha ritenuto che la

già esaminata in sede di riesame.
2 Per l’annullamento dell’ordinanza, l’indagato ricorre personalmente in
Cassazione violazione del DPR n. 917/1986 e vizio di motivazione rimproverando
in particolare al Tribunale di non avere considerato le giustificazioni da lui offerte
e cioè che si trattava di somme escluse da tassazione in quanto derivanti dal
versamento di una caparra eseguito dal promissario acquirente di un immobile in
sede di contratto preliminare (non seguito dalla stipula del definitivo). Risultava
pertanto giustificata sia la provenienza che l’impiego della somma.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – che è limitato a censurare, in relazione all’anno di imposta 2009
la mancata restituzione del restante importo di C. 351.360,00 (avendo il Tribunale
in sede di riesame già disposto, con riferimento all’annualità 2011, il dissequestro
della somma di C. 638.170,00) – è inammissibile sia per difetto di specificità sia
perché denunzia un motivo non consentito.
Priva di specificità (art. 581 lett. c cpp) è la censura con cui si deduce
genericamente l’inosservanza del T.U.I.R. (“delle specifiche disposizioni di legge
in materia”) senza alcun riferimento alla norma extrapenale che sarebbe stata
violata dal Tribunale laddove non ha considerato che

“la persona fisica

(contrariamente alla società) non sconta alcun tipo di tassazione in relazione
all’operazione – lecita – effettuata”.
Sotto altro profilo il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 606 ultimo
comma cpp perché denunzia un motivo non consentito (la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 comma 1
lett. e cpp).
Secondo la costante giurisprudenza, è ammissibile il ricorso per cassazione
contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo
per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia
del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi
per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal
giudice nel provvedimento impugnato (tra le varie, Sez. 6, Sentenza n. 6589 del

2

documentazione prodotta dall’appellante non era idonea a mutare la situazione

10/01/2013 Cc. dep. 11/02/2013 Rv. 254893; Sez. U, Sentenza n. 25932 del
29/05/2008 Cc. dep. 26/06/2008 Rv. 239692).
Nel caso di specie, si è però al di fuori di tale ipotesi estrema perché il
Tribunale ha motivato il rigetto dell’impugnazione considerando che gli elementi
sopravvenuti addotti dall’appellante non consentono di ritenere superabili le
argomentazioni ostative già espresse dai giudici del riesame (di cui ha riportato
stralci del relativo provvedimento, fondato, a sua volta, sulla mancanza di prove
circa la natura degli incrementi patrimoniali riportati dall’Imbesi nel 2009);

rilevato che non è dato sapere ad oltre cinque anni dalla sua sottoscrizione, se e
quando sia avvenuta la stipula del contratto definitivo. Ed ha osservato, ancora,
che la dichiarazione allegata al contratto preliminare, con cui le parti davano atto
dell’avvenuto versamento della caparra confirmatoria e delle relative modalità di
pagamento, non reca data certa, rappresentando, allo stato, soltanto un mero
riscontro posticcio dei dati contabili riportati negli estratti conto depositati.
Secondo il Tribunale, poi, nessun ulteriore elemento significativo può trarsi dalla
documentazione bancaria prodotta dall’indagato, trattandosi soltanto di stralci
funzionali alla propria richiesta. Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ha
ritenuto immutato il giudizio di sussistenza del fumus del reato già espresso in
sede di riesame.
Come si vede, la motivazione non solo esiste ma è assolutamente priva di
vizi logici perché poggia sulla assorbente considerazione che – come già
evidenziato in sede di riesame – l’indagato non aveva documentato la causale
dell’accredito degli 800.000 euro sul suo conto nel febbraio 2009 e che né il
preliminare di vendita, né la dichiarazione di parte, né gli ulteriori estratti conto
esibiti apparivano idonei a mutare il quadro probatorio valutato dai giudici del
riesame.
La critica meramente fattuale contenuta nel ricorso tende sostanzialmente
a dimostrare il reimpiego di dette somme (cioè una circostanza non rilevante) e a
suggerire una diversa valutazione degli elementi di fatto esaminati dai giudici
della cautela (con riferimento alla provenienza degli 800.000 euro versati nel
2009 sul conto dell’Imbesi che in quell’anno dichiarò al fisco, secondo quanto
risulta dal provvedimento impugnato, un reddito imponibile di appena 524,00
euro): essa pertanto non coglie nel segno.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.

3

inoltre, pur prendendo atto della data certa del preliminare di vendita, ha però

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 5.5.2015.

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