Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40525 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40525 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Baietto Giovanna, nata il 21 ottobre 1953
avverso la sentenza del Tribunale di Torino del 19 dicembre 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
letta la requisitoria scritta del pubblico ministero, in persona del sostituto
procuratore generale Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 05/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 19 dicembre 2013, pronunciata ex art. 444 cod. proc.
pen., il Tribunale di Torino ha applicato all’imputata la pena da questa richiesta, in
aumento sulla pena irrogata con altra sentenza, riconosciuta la continuazione con i
reati oggetto di tale sentenza, e con confisca per equivalente del profitto, in relazione
al reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000.
2. – Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso

di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.; 2) l’illegittimità della confisca per
equivalente, in mancanza di un previo sequestro della relativa somma e in presenza di
una rateizzazione del debito pattuita con l’amministrazione finanziaria.
Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio di fronte a
questa Corte unitamente a documentazione, la difesa ha proposto “motivi nuovi”,
sostenendo , che il debito tributario sarebbe stato estinto integralmente, in esecuzione
del piano di rateizzazione concordato con l’Agenzia delle entrate; con la conseguenza
che la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata con riferimento alla disposta
confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
La ricorrente si limita ad asserire, senza alcuno specifico riferimento al
contenuto della sentenza impugnata, che il Tribunale avrebbe dovuto fornire una
specifica motivazione con riferimento a tutte le possibili cause di proscioglimento
contemplate dall’art. 129 c.p.p. e muove rilievi manifestamente infondati circa la
disposta confisca per equivalente del profitto del reato.
3.1. – Deve, peraltro, richiamarsi il costante orientamento di questa Corte,
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125,
comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur
non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del
patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa
l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ne consegue che il
giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc.
pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui
dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
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per cassazione, deducendo: 1) la mancanza di motivazione sull’insussistenza di cause

applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso
contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è
stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.

(ex plurimis, sez. 3, 14

marzo 2012, n. 27311; sez. 3, 22 settembre 1997, n. 2932; Sez. un. 27 settembre
1995, n. 10372; Sez. un., 27 marzo 1992, n. 5777).
Tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui la
ex art.

129 cod. proc. pen. appare pienamente sufficiente, perché si fonda su quanto emerge
dagli atti di indagine e, in particolare, dalla segnalazione di reato.
3.2. – Quanto allo specifico profilo della confisca, deve rilevarsi che la censura
della ricorrente non tiene conto del principio di diritto — costantemente enunciato da
questa Corte — secondo cui la confisca per equivalente disciplinata dall’art. 322

ter

cod. pen. opera in via obbligatoria, discendendo tale conclusione, da un lato, dal dato
testuale della norma, ove si prevede infatti, sia nel primo che nel comma 2, che la
confisca sia “sempre ordinata”, sia dalla natura sanzionatoria ad essa
incontestabilmente riconosciuta dalla giurisprudenza; attraverso di essa, infatti, si è
inteso privare l’autore del reato di un qualunque beneficio economico derivante
dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale,
nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che
assume, così, i tratti distintivi di una vera e propria sanzione, non commisurata né alla
colpevolezza dell’autore del reato, né alla gravità della condotta. La confisca per
equivalente, che opera — come anticipato — oltre che in caso di condanna, anche, in
virtù del testuale contenuto della norma, in ipotesi di sentenza di applicazione della
pena ex art. 444 cod. proc. pen., va poi applicata, tanto più in quanto, come
precisato, obbligatoria, pur laddove la stessa non abbia costituito oggetto dell’accordo

motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di proscioglimento

delle parti (ex multis, sez. 2, 4 febbraio 2011, n. 20046), conclusione, questa,
ulteriormente discendente dal fatto che la sentenza di patteggiamento è sentenza
vincolata relativamente al solo profilo del trattamento sanzionatorio e non anche a
quello relativo alla confisca, per il quale la discrezionalità del giudice (discrezionalità
vincolata quanto alla confisca obbligatoria) si riespande come in una normale sentenza
di condanna, sì che, ove accordo tra le parti su tale punto vi sia comunque stato, il
giudice non è obbligato a recepirlo o a recepirlo per intero (sez. 2, 19 aprile 2012, n.
19945, rv. 252825). Né è necessario, per l’assenza di norme che dispongano in senso
contrario, che la confisca per equivalente sia preceduta dal sequestro preventivo dei

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beni oggetto della stessa (sez. 3, 4 febbraio 2013, n. 17066, rv. 255113). In altri
termini – per quanto qui rileva — la confisca per equivalente del profitto di reato deve
essere obbligatoriamente disposta, anche con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.,
pur quando non abbia formato oggetto dell’accordo tra le parti, non potendo tale
accordo vincolare il giudice né per quel che attiene alla disposizione della misura
stessa, né per quel che concerne il suo concreto oggetto (ex multis, sez. 3, 9 ottobre
2013, n. 44445, rv. 257616; sez. 3, 11 marzo 2014, n. 19461).

l’esame dei motivi nuovi proposti con la memoria depositata in prossimità della
camera di consiglio, perché si estende a questi ultimi, ai sensi dell’art. 585, comma 4,
cod. proc. pen. E del resto per l’esame di tali motivi, fondati sul raffronto fra la
documentazione che dimostrerebbe l’avvenuto pagamento e quella relativa
all’ammontare del debito tributario, sarebbero comunque necessarie valutazioni di
fatto, che non possono essere condotte in sede di legittimità; ferma restando,
ovviamente, la competenza del giudice dell’esecuzione in ordine alle questioni relative
alla confisca, ex art. 676 cod. proc. pen.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2015.

3.3. — L’inammissibilità dei motivi principali di ricorso impedisce a questa Corte

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