Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4052 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4052 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BOCCACCINI FULVIO N. IL 04/07/1977
avverso la sentenza n. 2744/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
27/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 16/12/2014

R.G. 9752/2014
Considerato che:
Boccaccini Fulvio ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Ancona del 27/5/2013, confermativa della sentenza del Tribunale di Macerata
sez. dist. di Civitanova Marche del 23/2/2010, con la quale era stato condannato
alla pena di mesi sei di reclusione ed € 300,00 di multa per il reato di
ricettazione, chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b),
c) ed e) cod. proc. pen.; deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il

determinazione della pena.
La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, si è
adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la
consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia
peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e
completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato
presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano
tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la
comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del
resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e
quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza
della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non
attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in male fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458;
sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza
impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione
dell’assegno negoziato si pone come coerente e necessaria conseguenza di un
acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato
(Sez.U. n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del
17/6/2010, Screti, Rv. 247718) l’elemento psicologico della ricettazione può
essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della
rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza
della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi
desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero
sospetto.
Tutto ciò vale ad escludere, anche attraverso il richiamo alla sentenza di
primo grado, qualsiasi vizio della motivazione anche in ordine alla qualificazione

vizio di motivazione con riguardo all’elemento soggettivo del reato ed alla

giuridica del fatto ai sensi dell’art. 648 cod. pen., non potendo il fatto, per le
considerazioni sopra svolte, essere inquadrato nell’ipotesi dell’incauto acquisto di
cui all’art. 712 cod. pen. Difatti, sulla base di quanto sopra detto, la Corte
territoriale ha dato atto, con argomentazioni prive di contraddittorietà logiche e
conformi alle risultanze processuali, che la qualificazione giuridica operata dal
giudice di primo grado era corretta, sussistendo l’elemento materiale e quello
psicologico del delitto di ricettazione.
Le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano, poi, viziate da

determinazione della pena ed alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, facendosi correttamente riferimento ai precedenti penali già riportati
dall’imputato.
Le su esposte considerazioni impongono di dichiarare inammissibile il
ricorso per tutti i motivi proposti.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 1000,00;
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Roma, 16 dicembre 2014

illogicità manifesta e forniscono esaustiva motivazione in ordine alla

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