Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4051 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4051 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Catanzaro Patrizia n. il 2.3.1980
Coluccia Pasquale Danilo n. il 13.12.1980
Conversano Salvatore n. il 19.9.1969
Lezzi Vanessa n. il 4.12.1989
Protopapa Angela n. il 1.12.1972
Protopapa Carla n. il 11.12.1969
Tornese Rosanna n. il 27.7.1974
avverso la sentenza n. 962/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Lecce il 28.11.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del
dott. Marco Dell’Utri;

12.12.2013

la relazione fatta dal Cons.

udito il Procuratore Generale, in persona del dott. F. Salzano, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità dei ricorsi di Coluccia
e Conversano e per il rigetto degli altri ricorsi.

Data Udienza: 12/12/2013

Ritenuto in fatto
1. — Con sentenza resa in data 2.12.2011, il giudice dell’udienza
preliminare presso il tribunale di Lecce, tra le restanti statuizioni, ha
condannato Catanzaro Patrizia, Coluccia Pasquale Danilo, Conversano Salvatore, Lezzi Vanessa, Protopapa Angela, Protopapa Carla e
Tornese Rosanna alle pene rispettivamente loro inflitte in relazione a
una serie di reati concernenti il traffico di sostanze stupefacenti, nonché – ad eccezione di Catanzaro Patrizia e di Coluccia Pasquale Danilo
– al reato di associazione per delinquere finalizzata al compimento di
detto traffico, commessi, nei territori e nei periodi di tempo specificamente indicati nei capi d’imputazione ascritti a ciascun imputato.
Con sentenza in data 28.11.2012, la corte d’appello di Lecce, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, tra le restanti statuizioni accessorie, ha ridotto la pena nei confronti di tutti i ridetti imputati, ad eccezione di Coluccia Pasquale Danilo in relazione al quale
ha disposto l’integrale conferma della sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza d’appello, anche a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli odierni imputati.
Catanzaro Patrizia, Lezzi Vanessa, Protopapa Angela,
Protopapa Carla e Tornese Rosanna, con un unico ricorso congiunto,
a mezzo del comune difensore, censurano la sentenza d’appello sulla
base di due motivi d’impugnazione.
Con il primo motivo, le ricorrenti (con esclusione della Catanzaro) si dolgono del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata con riguardo all’imputazione associativa di cui
all’art. 74 d.p.r. n. 309/90, essendo emerso, dalle risultanze processuali, come il solo coimputato Antonio Protopapa disponesse in via
esclusiva della sostanza stupefacente; sostanza la cui cessione tutti gli
altri imputati erano, di volta in volta, costretti a richiedergli, dietro il
necessario pagamento di (sia pur esigue) somme di denaro.
Tale circostanza mal si concilierebbe, ad avviso delle ricorrenti, con la prospettata ipotesi criminosa associativa alle stesse ascritta,
atteso che queste ultime – pur volendo escludere la reale destinazione
all’uso personale delle sostanze di volta in volta acquistate – si sarebbero unicamente rese responsabili di singole violazioni dell’art. 73,
co. 5, d.p.r. n. 309/90, essendosi costantemente interfacciate con una
2.1.1. –

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singola persona (e non già con un gruppo associato cui avrebbero in
ipotesi prestato la propria adesione), al solo scopo di procedere
all’acquisto di modestissimi quantitativi di sostanza stupefacente.
Con il secondo motivo – articolato in ventiquattro paragrafi riferiti alle corrispondenti imputazioni relative a singoli reatifine – le ricorrenti censurano la sentenza d’appello per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale omesso di fornire un’adeguata
risposta ai motivi d’impugnazione con i quali le ricorrenti avevano
contestato la sentenza di primo grado nella parte in cui, per la trattazione dei singoli reati-fine, aveva rinviato alle motivazioni dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari prima del giudizio, in tal modo omettendo di analizzare criticamente il valore probatorio dei gravi indizi rinvenuti ai soli fini cautelari, senza avvedersi del difetto di alcuna prova certa, tanto della
riferibilità delle conversazioni intercettate allo scambio di sostanze
stupefacenti, quanto dell’effettivo avvenuto ricorso della consegna e
della successiva destinazione di tali sostanze allo spaccio piuttosto
che all’uso personale degli acquirenti.
Sulla base di tali premesse generali, le ricorrenti hanno quindi
analiticamente evidenziato i vizi motivazionali della sentenza impugnata riferiti ai singoli episodi criminosi, denunciando gli evidenti
difetti probatori partitamente riscontrati in relazione ai capi es); mg);
mr); mz); nm); ns); nu); oc); od); pa); pb); pe); pg); mq); ng); of);
os); ot); ou); ov); pi); pn); po) e pr) della rubrica.
Coluccia Pasquale Danilo censura la sentenza d’appello
per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale asseritamente omesso di articolare in modo logico le argomentazioni probatorie addotte a sostegno dell’affermazione della relativa
responsabilità per l’episodio di traffico ad esso ascritto.
2.2. –

2.3. — Conversano Salvatore censura la sentenza d’appello per
violazione di legge in relazione agli artt. 69 e 132 c.p., avendo la corte
territoriale omesso di dettare qualsivoglia motivazione sulle ragioni
della ritenuta equivalenza delle circostanze attenuanti generiche e
della circostanza attenuante di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. 309/90 ri-

2.1.2. –

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2.4.1. — Protopapa Angela, con ricorso personalmente proposto, censura la sentenza impugnata sulla base di due ulteriori motivi
d’impugnazione per vizio di motivazione e violazione della legge processuale e sostanziale in relazione agli artt. 34, 63-64,191-194 c.p.p. e
129 stesso codice.
Con il primo motivo la ricorrente si duole dell’incompatibilità
del giudice di primo grado a pronunciare la sentenza dallo stesso
emessa all’esito del rito abbreviato, celebrato dopo che lo stesso aveva
provveduto (in separata sede e stralciandone la posizione) a emettere
sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di alcuni coimputati nell’odierno procedimento.
2.4.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione ai delitti di cui agli
artt. 74 e 73 d.p.r. n. 309/90, essendosi il giudice di merito limitato
(pur nell’elaborazione di una sentenza “copiosamente redatta con
ben 141 pagine”) a un inammissibile e inadeguato rinvio per relationem all’ordinanza applicativa della misura cautelare emessa prima
del giudizio: circostanza “palesemente ammessa dal giudice a quo
[…] al foglio 32 dell’impugnata sentenza” (cfr. pag. 2 del ricorso),
senza procedere ad alcuna analitica valutazione critica degli elementi
di prova relativi a ciascuna delle imputazioni partitamente contestate
alla ricorrente, con particolare riguardo alla sussistenza degli elementi oggettivi e al dolo specifico riferito alla partecipazione e alla volontà
di contribuire alla realizzazione degli interessi del sodalizio criminoso
ascrittole.
In particolare, la ricorrente rileva come, lungi dall’aver raggiunto la prova della sussistenza di una struttura associativa finalizzata al traffico degli stupefacenti (come rilevabile dalla “difficoltà argomentativa operata dal giudice a quo nel motivare una condanna
per il reato di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309/90” emersa “in maniera
palese a foglio 130” della sentenza), gli elementi di prova complessivamente acquisiti avrebbero al più dovuto indurre il giudicante al
mero riconoscimento di talune ipotesi di concorso nella violazione
dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90, nella forma attenuata di cui al co. 5 del

spetto alla recidiva contestata, nonché in ordine all’entità della pena
applicata, sensibilmente superiore al minimo edittale.

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Considerato in diritto
3.1.1. – Il ricorso proposto da Catanzaro Patrizia, Lezzi Vanessa, Protopapa Angela, Protopapa Carla e Tornese Rosanna è infondato.
Preliminarmente, con riguardo alle doglianze relative al preteso carattere acritico del richiamo operato dai giudici del merito alle
motivazioni dettate in sede cautelare dal giudice per le indagini preliminari, osserva il collegio come la corte territoriale abbia correttamente e adeguatamente rilevato come il primo giudice, lungi dal limitarsi a un formale ed estrinseco richiamo alle motivazioni dell’ordinanza di custodia cautelare indicata dalle odierne ricorrenti, abbia
proceduto a un adeguato vaglio critico di ciascun apporto istruttorio
ricavabile dal complesso degli atti processuali esaminati, tanto emergendo dall’accurata analisi svolta, sia in relazione ai profili e ai requisiti dell’ipotesi associativa prospettata dall’accusa, sia con riguardo
agli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, di ciascuna violazione
riscontrata ai sensi dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90, così come risultante
dalle argomentazioni della sentenza del primo giudice partitamente
richiamate nella sentenza d’appello (cfr. pagg. 25 ss. della sentenza
d’appello); da tanto conseguendo il pieno rispetto, da parte del giudice di primo grado, di una misura di congrua adeguatezza motivazionale nell’esposizione del proprio autonomo convincimento sui fatti
relativi a ciascuna delle imputazioni sollevate.
Nel merito, con riguardo alle doglianze avanzate dalle ricorrenti in relazione all’ipotesi associativa loro ascritta, osserva il collegio come la corte territoriale – con motivazione coerentemente elaborata e logicamente argomentata – abbia adeguatamente dato conto
della sussistenza di tutti gli elementi d’indole oggettiva e soggettiva
relativi alla corrispondente responsabilità riconosciuta a carico di
ciascuna delle imputate odierne ricorrenti, rilevando come l’ingente
materiale probatorio acquisito avesse evidenziato la sussistenza di
una ben riconoscibile diversificazione strategica dei ruoli distribuiti

medesimo articolo (così come nella forma attenuata di cui all’art. 74,
co. 6, d.p.r. cit., avrebbe dovuto al più ricondursi l’ipotesi associativa,
in contrasto con le censurabili argomentazioni sul punto dettate, “al
foglio 131”, nell’impugnata sentenza), con la conseguente assoluzione
nel merito della ricorrente, in applicazione dell’art. 129 c.p.p..

tra i diversi associati, così da ascrivere una posizione egemonica, di
promotori e organizzatori del sodalizio, agli imputati Protopapa Antonio, Tornese Rossana e Conversano Salvatore.
In termini di piena coerenza rispetto a tali premesse, la corte
territoriale ha quindi evidenziato il frequente utilizzo, ad opera degli
interlocutori intercettati, di termini allusivi e criptici per la definizione delle dosi di stupefacente trattate, il frequente riferimento a sostanze da taglio, il ricorso ripetuto agli importi da suddividere, nonché i diversi approvvigionamenti di sostanza da parte di ciascuno dei
soggetti che ne avrebbe operato lo spaccio al dettaglio: elementi, tutti,
altamente sintomatici di un contesto organizzativo ben strutturato,
permanente nel tempo, all’interno del quale ogni sodale è risultato
capace di padroneggiare tutte le tecniche e gli accorgimenti (tra cui
proprio quelli relativi all’abilità d’intendere con rapidità la terminologia criptica e allusiva utilizzata nelle conversazioni apparentemente
prive di un senso logico immediato) indispensabile per la continuativa perpetrazione dell’illecita attività di spaccio.
All’interno di tale contesto, la corte d’appello ha quindi inserito le chiavi interpretative relative al contenuto delle numerosissime
conversazioni captate, coerentemente derivandone la ricostruzione
dei singoli episodi di narcotraffico logicamente corredate da argomentazioni giustificative pienamente congrue ed elaborate in termini
di stringente linearità argomentativa.
Anche con riguardo all’accertamento dell’elemento soggettivo
costituito dalla consapevolezza dei singoli sodali di partecipare alle
attività del gruppo criminale, la corte territoriale ha sottolineato gli
indici, probatmiamente corroborati, relativi alla profusione da parte
di ciascun imputato del proprio contributo necessario ai fini della
realizzazione degli interessi dell’associazione, ciascuno essendo risultato impegnato nelle diverse attività, di volta in volta, relative alla
consegna dei diversi quantitativi di stupefacenti, alla spartizione delle
somme, all’attività di taglio e confezionamento presso la base logistica del coimputato Conversano Salvatore, oltre alla “pletora” di altre
circostanze espressive della piena consapevolezza di ciascun partecipe di contribuire al più largo contesto associativo accuratamente organizzato sulla base dei ruoli rispettivamente assegnati a ciascun sodale (cfr. pagg. 35 ss. sent. appello).

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Sulla base di tali premesse, la corte territoriale ha quindi individuato gli specifici elementi di prova concernenti le singole odierne
ricorrenti, espressivi dell’obiettivo contributo dalle stesse fornito alla
realizzazione delle finalità dell’associazione, nonché della piena consapevolezza delle stesse di parteciparvi, nel rispetto del ruolo a ciascuna di esse singolarmente assegnato secondo le specifiche e comprovate descrizioni di cui ai rispettivi capi d’imputazione (cfr. pagg.
38 ss. sent. appello).
La motivazione su tali punti dettata dalla corte territoriale deve dunque ritenersi conclusivamente immune da vizi d’indole logica o
giuridica, completa ed esauriente, di per sé pienamente idonea a sottrarsi a tutte le censure contro la stessa sollevate dalle odierne ricorrenti.
3.1.2. – Le argomentazioni illustrate dalla corte territoriale in
relazione alla prova del reato associativo ascritto alle odierne ricorrenti (con l’eccezione della sola Catanzaro allo stesso estranea) valgono a fornire il quadro generale entro il quale s’inserisce la chiave interpretativa e la lettura di volta in volta fornita, dai giudici del merito,
circa il coerente significato di ciascuna singola conversazione captata
corrispondente a ognuna delle imputazioni di narcotraffico relative ai
reati-fine posti a oggetto dell’odierno ricorso per cassazione.
Sul punto – al fine di replicare alle corrispondenti censure sollevate dalle ricorrenti -, varrà evidenziare come la corte territoriale,
nel ricostruire l’accertamento della responsabilità penale di ciascuna
delle ricorrenti in relazione a ognuno degli episodi di traffico loro
ascritto, si sia correttamente allineata al costante insegnamento della
giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, ai fini
dell’accertamento della consumazione del reato di detenzione a fini di
spaccio di sostanza stupefacente, non è necessaria la prova diretta
della materiale disponibilità della sostanza da parte dell’acquirente,
essendo sufficiente la raggiunta dimostrazione dell’effettiva conclusione dell’accordo tra le parti ai fini della cessione della sostanza (v.,
ex plurimis, Cass., Sez. 4, n. 3950/2011, Rv. 251736; Cass., Sez. 4, n.
32911/2004, Rv. 229267; Cass., Sez. 5, n. 18368/2003, Rv. 229230).
Come evidenziato nelle richiamate sentenze di questa corte, in
tema di stupefacenti, il concetto di detenzione (illecita), non deve necessariamente coincidere con il concreto potere di fatto stabilito dal

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soggetto sulla droga, ossia con il diretto rapporto materiale con la
stessa. Ai fini della consumazione del delitto di detenzione di stupefacenti, invero, non rileva che il soggetto non abbia ancora stabilito tale
contatto fisico, essendo sufficiente che sia già intervenuto l’accordo
tra l’acquirente e il venditore attraverso il quale il primo, già al momento dell’incontro di volontà espresso dalle parti, inizia a detenere.
È dunque sufficiente, affinché il delitto in oggetto possa ritenersi consumato, che l’agente abbia posto in essere tutto quanto necessario per
acquisire la proprietà, e quindi la disponibilità dello stupefacente;
condizione che inizia a decorrere già dal momento della definizione
dell’accordo che, una volta intervenuto, pone la droga a disposizione
dell’acquirente ovunque essa si trovi e sia riposta e chiunque materialmente la possieda, evidentemente per conto d’altri. Ed è da quel
momento che l’acquirente ne può disporre, sia pure attraverso l’intervento di una terza persona, come meglio ritiene: facendosela consegnare o spedire, ovvero disponendone la consegna a terzi, ovvero
ancora cedendola ad altro acquirente (v. Cass., Sez. 4, n. 3950/2011,
Rv. 251736, cit.).
È, dunque, nel rispetto dei richiamati principi che, con riguardo alla vicenda che oggi interessa, la corte territoriale ha correttamente ritenuto che gli accordi di cessione dello stupefacente, intervenuti per ciascuno degli episodi censurati dalle odierne ricorrenti, siano da considerare pienamente operanti e idonei al trasferimento della droga in capo a ciascuna delle odierne imputate, indipendentemente dal fatto che le stesse avessero o meno assunto la materiale e
diretta disponibilità della stessa.
Ed è ancora nel rispetto degli stessi principi che la medesima
corte ha ritenuto che, avendo le imputate posto in essere tutte le
azioni necessarie a conseguire la titolarità della droga, debbano ritenersi realizzate, sotto il profilo della consumazione, tutte le fattispecie in questa sede contestate.
Anche con riguardo a ognuno dei singoli episodi costituenti i
reati-fine contestati alle odierne ricorrenti, le motivazioni dettate dai
giudici del merito devono ritenersi caratterizzate da coerente e lineare adeguatezza argomentativa, immuni da vizi d’indole logica o giuridica, e pertanto tali da sottrarsi alle censure sollevate dalle ricorrenti
in relazione a ciascuna delle imputazioni alle stesse ascritte.

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È appena il caso rilevare, peraltro, come con l’odierno ricorso nella parte relativa ai singoli reati-fine analiticamente considerati – le
odierne imputate abbiano unicamente prospettato una diversa lettura delle risultanze istruttorie acquisite, in difformità rispetto alla
complessiva ricostruzione dei giudici di merito, limitandosi a dedurre
i soli elementi interpretativi del contenuto delle conversazioni captate
astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione di ciascun singolo fatto (atomisticamente considerato), senza
tuttavia farsi carico della complessiva riconfigurazione dei singoli
episodi nel più generale e compenetrato contesto organizzativo, che,
viceversa, i giudici del merito hanno ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la
modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n.
46/2006 consente la deduzione di eventuali vizi consistenti nel travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola
legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di
una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e, a
suo giudizio, più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v.,
ex multis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art.
606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare
una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione
si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n.
35683/2007, Rv. 237652).
Con particolare riguardo, infine, all’episodio contestato a Catanzaro Patrizia, rileva il collegio come la corte territoriale abbia coerentemente osservato come l’episodio traesse origine dall’intercetta-

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zione della conversazione intercorsa tra l’imputata e il Protopapa Antonio, nonché con il marito dell’imputata, Spedicato Luigi, dal cui
contenuto era inequivocabilmente emersa la custodia, presso l’abitazione della Catanzaro, della sostanza stupefacente oggetto della conversazione, tanto desumendosi anche dalla successiva attivazione dello stesso Protopapa e dello Spedicato, sempre presso la medesima
abitazione, al fine di procedere al taglio di quella sostanza. L’interpretazione fatta propria dai giudici del merito, non adeguatamente contraddetta dalle astratte censure dell’imputata, hanno inoltre trovato
riscontro in una successiva conversazione, pur essa riportata nella
sentenza d’appello, durante la quale la Catanzaro, conversando con il
Protopapa (soggetto comprovatamente coinvolto nelle attività di narcotraffico), opera significativi riferimenti alla “rimanenza di bicarbonato”, sostanza notoriamente utilizzata per il taglio della cocaina (cfr.
pagg. 49 s. sent. appello).
3.2. – Il ricorso di Coluccia Pasquale Danilo è infondato.
Sul punto, la corte territoriale, con motivazione dotata di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, ha evidenziato come
il Coluccia fosse stato adeguatamente identificato come protagonista
della conversazione intercettata e riportata nei provvedimenti dei
giudici del merito, attraverso gli appellativi utilizzati dal suo interlocutore (riferiti inequivocabilmente ai numeri di targa dell’automobile
dello stesso imputato), nonché in ragione dell’identificazione della
relativa voce avvenuta dagli ufficiali di polizia giudiziaria addetti
all’ascolto.
Ciò posto, la corte territoriale ha dato atto del carattere inequivoco dell’interpretazione di detta conversazione, nel senso dell’avvenuta trattativa concernente lo scambio di sostanze stupefacenti,
atteso l’inconfondibile tenore allusivo e criptico del linguaggio utilizzato, di per sé del tutto privo di alcun significato logico laddove non
opportunamente ricondotto all’illecito traffico ricostruito dai giudici
del merito, segnatamente consistito nell’acquisito, da parte dell’imputato, di sostanza stupefacente che lo stesso Coluccia avrebbe successivamente spacciato a sua volta ai suoi amici.
Anche in relazione al Coluccia, pertanto, la corte territoriale è
pervenuta all’accertamento delle relative responsabilità in relazione
all’episodio allo stesso ascritto, sulla base di una motivazione immu-

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3.3. – Il ricorso proposto da Conversano Salvatore in relazione
al trattamento sanzionatorio allo stesso inflitto è infondato.
Al riguardo, la corte territoriale ha espressamente sottolineato
come il giudice di primo grado avesse accuratamente rappresentato,
nell’affrontare la posizione di ciascun imputato, gli elementi peculiari
che hanno caratterizzato le relative condotte delittuose, illustrando
anche tutti gli eventuali profili di negatività e offensività idonei a giustificare il quantum di pena irrogato a carico di ciascuno, fornendo
anche di adeguata motivazione ciascun aumento di pena disposto per
la continuazione (cfr. pagg. 2955. sent. appello).
Con particolare riguardo alla posizione del Conversano, rileva
il collegio come le censure dallo stesso illustrate con l’odierno ricorso
si risolvano nella mera esplicitazione di censure in fatto riferite all’entità della pena allo stesso inflitta (comprensiva della mancata prevalenza delle circostanze attenuanti pur riconosciute in suo favore);
censure del tutto inidonee ad evidenziare le eventuali incongruenze o
le illogicità in cui sarebbero incorsi i giudici del merito nella determinazione della misura del trattamento sanzionatorio irrogato all’imputato, inammissibilmente limitatosi, sul punto, alla prospettazione di
questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in
questa sede.
3.4. – Dev’essere infine disatteso il ricorso personalmente proposto da Protopapa Angela.
Al riguardo, rileva il collegio come – di là dalle dirimenti argomentazioni più sopra illustrate, con riguardo alla correttezza della
motivazione dettata dalla corte territoriale in relazione all’accertamento della responsabilità dell’imputata per il reato associativo e i
singoli reati-fine alla stessa ascritti (cfr. supra par. 3.1.1. e 3.1.2.) – i
contenuti dell’odierno ricorso personale dell’imputata appaiono una
mera trasposizione letterale dell’originario ricorso in appello dalla
stessa illo tempore presentato, come si desume dai riferimenti ai passaggi e al numero delle pagine (pagg. 130 o 131) della sentenza (indicata come) impugnata, cui si ascrivono 141 pagine, a dispetto delle

ne da vizi d’indole logica o giuridica, esauriente e completa, come tale
idonea a sottrarsi alle (generiche) censure sollevate dall’odierno ricorrente.

sole 75 della sentenza d’appello: circostanza tale da lasciar ritenere
del tutto priva di adeguata specificità l’odierna impugnazione presentata in questa sede di legittimità.
È peraltro appena il caso di evidenziare – con riguardo alla doglianza (astrattamente reiterata da Protopapa Angela in questa sede
di cassazione) riferita alla rilevata incompatibilità del giudice di primo grado – come del tutto correttamente la corte territoriale si sia attenuta all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi
del quale la questione relativa all’incompatibilità del giudice, là dove
rilevata nel corso del giudizio, necessariamente trova la propria risoluzione, in via esclusiva, attraverso la promozione del procedimento
di ricusazione (artt. 37 ss. c.p.p.), definito il quale (o una volta che ad
esso si sia rinunciato), deve ritenersi non più consentito alla parte il
relativo rilievo in sede d’impugnazione (cfr., Cass., Sez. 6, n.
42707/2011, Rv. 250987 Cass., Sez. 6, n. 11483/1997, Rv. 209473).
4. — Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza
avanzati da tutti gli imputati segue il rigetto dei ricorsi e la condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.12.2013.

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