Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4049 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4049 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Granata Teodoro n. il 9.8.1947
avverso la sentenza n. 441/2011 pronunciata dalla Corte d’appello di
Messina del 12.11.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 11.12.2013 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Mura, che ha
concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 11/12/2013

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 12.11.2012, la corte d’appello di
Messina ha integralmente confermato la sentenza in data 27.5.2010
con la quale il tribunale di Patti (dichiarata la prescrizione di due reati contravvenzionali contestati all’imputato con riguardo alla violazione di norme antinfortunistiche) ha condannato Teodoro Granata
alla pena di un mese di reclusione in relazione al reato di lesioni colpose ai danni del prestatore di lavoro Salvatore Serraino, commesso,
in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Patti, il 17.5.2005.
In particolare, all’imputato era stata contestata la violazione
delle norme antinfortunistiche funzionali alla protezione del lavoratore nell’uso di una macchina squadratrice che, nell’occasione de qua,
posta a disposizione del prestatore di lavoro senza l’adozione delle
prescritte misure di sicurezza, aveva ‘nel corso della relativa utilizzazione da parte del Serramo,~~ lesioni
personali a carico dello stesso (consistite nella frattura con perdita
della falange distale del terzo dito della mano sinistra) della durata
superiore a trenta giorni.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi
di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge in relazione
all’art. 192 c.p.p., avendo la corte territoriale proceduto a un’erronea
qualificazione giuridica dei fatti e a un’errata interpretazione della
normativa richiamata nei capi d’imputazione sollevati a carico del
Granata.
In particolare, si duole il ricorrente dell’erroneità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui attesta la mancata
consegna al lavoratore, da parte del datore di lavoro, dei dispositivi di
protezione individuale indispensabili al fine di prevenire i rischi di
infortunio sul lavoro nella specie prospettabili, in contrasto con le
contrarie risultanze emerse ad esito dell’istruzione probatoria della
causa.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel mancato appro2.1. –

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Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione (anche sotto il profilo del travisamento dei fatti), avendo la corte territoriale omesso di confrontarsi
criticamente con il complesso delle censure avanzate dall’imputato in
sede di gravame avverso la sentenza di primo grado, segnatamente in
relazione ai punti concernenti l’effettiva consegna al lavoratore della
strumentazione di protezione individuale, oltre all’attestata inconferenza delle norme cautelari contestate all’imputato in relazione alle
caratteristiche specifiche della prestazione nell’occasione eseguita dal
lavoratore rimasto infortunato.
2.2. –

Considerato in diritto
3. — Osserva preliminarmente la Corte che il reato di lesioni
personali colpose ascritto all’imputato è prescritto.
Al riguardo, rilevato che l’odierno ricorso proposto
dall’imputato non appare manifestamente infondato, né risulta affetto da profili d’inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in
conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del
giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori
dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale
all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una ‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274).
E invero il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma
dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge ri-

fondimento critico del rapporto tra l’uso degli strumenti di protezione individuale da parte del lavoratore e la specifica lavorazione cui il
lavoratore era stato addetto, essendo stata nella specie contestata al
Granata la violazione di norme cautelari nella specie del tutto inconferenti rispetto al tipo di prestazione nell’occasione eseguita in concreto dal Serraino.

chiede per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del
reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato
occorre applicare il principio di diritto secondo cui ‘positivamente’
deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato,
e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non
rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra
opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui
questa Corte – anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle
motivazioni delle sentenze di merito – non ravvisa alcuna delle ipotesi
sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma
dell’art. 129 c.p.p..
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato all’imputato estinto per prescrizione.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato ascritto all’imputato è estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11.12.2013.

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