Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4048 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4048 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Ripamonti Affilio n. il 20.4.1945
avverso la sentenza n. 1804/2008 pronunciata dalla Corte d’appello
di Milano del 8.3.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 11.12.2013 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Mura, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 11/12/2013

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 8.3.2013, la corte d’appello di
Milano ha integralmente confermato la sentenza in data 21.9.2007
con la quale il tribunale di Lecco ha condannato Affilio Ripamonti
alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in relazione al reato di
omicidio colposo ai danni di Romeo Corbetta, commesso, in violazione delle norme sulla circolazione stradale, in Monticello Brianza il
13.11.2005.
In particolare, all’imputato era stato contestato d’essersi approssimato a un attraversamento pedonale, posto sulla direttrice di
marcia percorsa, non regolando la velocità come imposto dalle specifiche condizioni dei luoghi, finendo per investire il Corbetta intento
all’attraversamento della strada sulle strisce pedonali, così provocandone il decesso.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di tre motivi
di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione in relazione alla prova della circostanza costituita dal corretto funzionamento del semaforo installato sul palo posizionato sulla direttrice percorsa dall’imputato in corrispondenza dell’attraversamento pedonale.
In particolare, il ricorrente rileva come la corte territoriale abbia omesso di analizzare in modo congruo, sul piano logico, il contenuto della deposizione resa dal teste Luca Ripamonti il quale aveva
attestato l’effettivo mancato funzionamento del semaforo collocato
sulla direttrice di marcia percorsa dall’imputato, viceversa valorizzando alternative fonti di prova prive di analoga attendibilità.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, avendo la corte territoriale trascurato la valutazione critica delle doglianze avanzate in
sede di gravame con riguardo a una serie di circostanze decisive, ai
fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, quali quelle
relative alla mancanza di una segnaletica verticale riferita al passaggio pedonale, all’assenza di un’illuminazione artificiale specifica, alla
natura delle condizioni atmosferiche esistenti in loco e alla velocità di
guida nella specie tenuta dell’imputato.
2.1. –

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Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione del
nesso causale tra la condotta di guida dell’imputato e il decesso della
persona offesa, avendo la corte territoriale trascurato di approfondire
criticamente gli elementi prospettati in sede di appello con riguardo
alle specifiche occorrenze del decorso causale ch’ebbero a condurre
alla morte del Corbetta, così pervenendo all’affermazione della sussistenza di detto nesso di causalità sulla base di una motivazione del
tutto incongrua sul piano logico e argomentativo.
2.3. – Con l’ultimo motivo di ricorso, l’imputato si duole della
violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata in
relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore dell’imputato; omissione nella specie non adeguatamente giustificata dai giudici del merito a dispetto dei numerosi e
consistenti indici positivi di valutazione circa il concreto ricorso di
dette attenuanti.
Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.
Con riguardo al tema relativo al corretto funzionamento del
semaforo installato sul palo posizionato sulla direttrice percorsa
dall’imputato in corrispondenza dell’attraversamento pedonale, rileva il collegio come la corte territoriale abbia correttamente valutato,
sul piano dei criteri logici d’interpretazione della prova, l’attendibilità
della deposizione resa dal teste Luca Ripamonti (figlio dell’imputato),
avendo evidenziato come lo stesso, intervenuto dopo il sinistro sul
luogo del fatto, abbia sostenuto di aver constatato il mancato funzionamento del semaforo, senza tuttavia saper fornire alcuna giustificazione in relazione alla contestazione contrapposta dalla pubblica accusa circa le dichiarazioni rese dallo stesso imputato in sede di interrogatorio, laddove quest’ultimo ebbe a confermare l’effettivo funzionamento della luce verde del semaforo.
Sulla base di tali premesse, in modo del tutto coerente sul piano logico e conseguente sul piano argomentativo, la corte territoriale
ha rilevato l’inidoneità della testimonianza del figlio dell’imputato a
confutare la diversa prova risultante dagli accertamenti operati dalla

2.2. –

polizia stradale e dalle dichiarazioni rese dal teste Mauri (di cui la
corte ha evidenziato i caratteri di estraneità e di disinteresse rispetto
all’esito dell’accertamento processuale), dai quali era risultata la circostanza del regolare funzionamento della luce rossa del semaforo
nel momento in cui l’imputato conduceva la propria autovettura in
prossimità dell’incrocio, mentre il pedone attraversava la carreggiata
sulle strisce pedonali con la luce verde in suo favore.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di cassazione, secondo il quale deve ritenersi non sindacabile, in sede di legittimità, la valutazione del giudice
di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle
fonti di prova, circa contrasti testimoniali o circa la scelta tra divernti versioni e interpretazione dei fatti, salvo il controllo su eventuali
vizi di congruità e illogicità della motivazione; vizi, nella specie – come appena indicato – del tutto insussistenti (Cass., Sez. 2, n.
20806/2011, Rv. 250362; Cass., Sez. 4, n. 8090/1981, Rv. 150282).
Parimenti del tutto prive di fondamento devono ritenersi le
censure avanzate dal ricorrente in relazione alla pretesa mancata valutazione critica, da parte della corte territoriale, delle doglianze avanzate in sede di gravame con riguardo a una serie di circostanze
decisive ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato,
avendo la corte d’appello specificamente sottolineato – dopo aver richiamato la coerente ricostruzione della dinamica del sinistro operata
dal giudice di primo grado – le significative circostanze costituite
dall’assenza di tracce di frenata in corrispondenza del punto d’impatto tra il veicolo dell’imputato e la vittima, e l’individuazione di tale
punto al centro della corsia: elementi di prova tali da evidenziare in
modo inequivocabile come il pedone avesse già impegnato la sede
stradale, sì che l’osservanza di una velocità di guida più adeguata, da
parte dell’imputato, avrebbe con elevata probabilità consentito al Ripamonti di arrestare la marcia del proprio veicolo non appena avvistato il pedone, al fine di evitare l’urto.
La motivazione su tale punto elaborata dalla corte territoriale
deve ritenersi del tutto congrua sul piano logico e argomentativo,
giacché proprio gli elementi costituiti dall’assenza di tracce di frenata
in corrispondenza del punto d’urto tra la vettura dell’imputato e la
vittima (per di più al centro della corsia percorsa dall’imputato) sono
valsi a dimostrare ragionevolmente come il Ripamonti procedesse

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distrattamente alla guida, per tale ragione non avvedendosi del pedone, se non nel momento del relativo attraversamento della sede
stradale.
In breve, là dove l’imputato avesse prestato la necessaria attenzione e cura alla guida, ben avrebbe avuto la possibilità di avvistare il pedone all’inizio del suo attraversamento stradale (e non già
quando lo stesso si trovava a metà della carreggiata) e così azionare
tempestivamente il sistema frenante (che a bassa velocità avrebbe determinato un arresto in pochi metri della vettura condotta), così evitando il sinistro, quanto meno nelle rovinose conseguenze nella specie determinatesi.
Quanto alla ricostruzione delle occorrenze del decorso causale
ch’ebbe a condurre al decesso della vittima — tema sottoposto al giudizio di questa corte attraverso la proposizione del secondo motivo di
ricorso -, rileva il collegio come del tutto correttamente la corte territoriale abbia sottolineato la mancata prospettazione, da parte della
difesa dell’imputato, di alcuna ricostruzione antitetica, rispetto
all’evidenza processuale dell’investimento del pedone da parte
dell’imputato, omettendo di comprovare, sia pure sul piano di una
ragionevole prospettazione alternativa, l’eventuale sussistenza di altri
e diversi decorsi patologici a carico della persona offesa, da porre come eventuali fattori concausali dell’intervenuto 44cesso del Corbetta; e tanto, a fronte dell’analitica specificazione, da parte del giudice
di primo grado, degli elementi a tal fine rilevanti, quali, in primo luogo, quello riferito all’entità dell’impatto (riscontrato dai gravi danni
alla carrozzeria del veicolo dell’imputato, nonché dalla violenza
dell’urto capace di sbalzare la vittima in avanti per oltre venti metri),
oltre alle risultanze del referto di prognosi del pronto soccorso confermative dell’intervenuto trauma toracico a carico del Corbetta, individuato in sede autoptica come concausa del decesso, unitamente al
trauma encefalico dallo stesso subito (cfr. pag. 3 della sentenza
d’appello).
Sempre in ordine all’incidenza causale del comportamento
stradale tenuto dall’imputato (eventualmente in correlazione a quello
astrattamente ascrivibile alla vittima), varrà richiamare i principi sul
punto sanciti dalla giurisprudenza di legittimità in forza dei quali, in
caso di attraversamento stradale di pedoni pur al di fuori dalle apposite strisce, deve ritenersi che il conducente di autoveicoli sia tenuto a

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rallentare la velocità, fino a interrompere la marcia, al fine di evitare
incidenti che potrebbero derivare proprio dalla mancata cessione della precedenza in favore del pedone, dovendo il conducente
dell’autovettura vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il
relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo in
presenza della quale lo stesso conducente è tenuto a porre in essere
gli accorgimenti necessari a prevenire il rischio di investimento, salva
l’ipotesi di un’oggettiva e assoluta impossibilità per il conducente di
avvistare il pedone, al di là di ogni possibile adempimento degli obblighi di diligenza (cfr. Cass., Sez. 4, n. 3347/1994, Rv. 197931; Cass.,
Sez. 4, n. 40908/2005, Rv. 232422).
In breve, pur in presenza di eventuali profili di rimproverabilità nel comportamento stradale del pedone (nella specie, peraltro, recisamente esclusi), questa corte ha avuto modo di precisare come tale
comportamento vale, al più, a integrare una mera concausa dell’evento lesivo, inidonea ad escludere la responsabilità del conducente; e
può costituire causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare
l’evento, soltanto nel caso in cui risulti del tutto eccezionale, atipica,
non prevista né prevedibile, ossia quando il conducente si sia trovato,
per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nell’oggettiva
impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile
(cfr. Cass., Sez. 4, n. 23309/2011, Rv. 250695; Cass., Sez. 4, n.
10635/2013, Rv. 255288).
Nel caso di specie, la corte territoriale ha espressamente evidenziato come, dal complesso degli elementi istruttori acquisiti, non
fosse emerso alcun elemento per poter sostenere un eventuale concorso di colpa del pedone, in ipotesi tale da rendere impossibile per
l’imputato l’avvistamento del pedone, non essendo emersa alcuna repentinità nel relativo attraversamento (giudicata piuttosto inverosimile dallo stesso giudice di primo grado, avuto riguardo all’età della
vittima, di 82 anni: cfr. pag. 3 della sentenza d’appello), né alcunqimprevedibilità nel comportamento dello stesso.
La motivazione così complessivamente compendiata dalla corte territoriale deve ritenersi pienamente esauriente e del tutto immune da alcun vizio d’indole logica o giuridica, tale da sfuggire integralmente ad ognuna delle censure contro di essa rivolte dall’odierno ricorrente.

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Da ultimo, con riguardo alla censura riferita alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, rileva il collegio come
la doglianza genericamente presentata dal ricorrente, con riguardo
alla mancata concessione delle attenuanti generiche I non individui
alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a prospettare
questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in
questa sede.
In thema, con riferimento al contestato diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare il consolidato (e qui condiviso) indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di
legittimità, ai sensi del quale la sussistenza di circostanze attenuagli
rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fOit., e
può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati
nell’interesse dell’imputato (in termini, ex multis, Cass., Sez. 6, n.
7707/2003, Rv. 229768).
Quanto all’onere di motivazione sul punto imposto al giudice
del merito, è stato altresì precisato come quest’ultimo non è tenuto a
prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati
dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso
del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle
ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (in tal senso, ex multis, v. Cass. Sez. i, n.
3772/1994, Rv. 196880).
In particolare, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in
esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene
prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può
essere sufficiente in tal senso (così Cass., Sez. 2, n. 3609/2011, Rv.
249163).
Nel caso in esame, la corte territoriale ha correttamente negato
il ricorso di circostanze attenuanti generiche correlando tale giudizio

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4. – L’accertamento dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza avanzati dal ricorrente impone il rigetto del ricorso e la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delen.12.2o13.

al significato dei precedenti specifici a carico dello stesso e alla gravità complessiva del fatto, così radicando, il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio, al ricorso di specifici presupposti di
fatto, sulla base di una motivazione in sé dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.

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