Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4044 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4044 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONACO RAFFAELE N. IL 20/03/1974
avverso la sentenza n. 2037/2006 CORTE APPELLO di CATANIA, del
14/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ACto bUtAQJ
che ha concluso per .0 2Lbe~d g ik:cd-7,à0

Data Udienza: 10/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. In data 8/06/2006 il Tribunale di Catania condannava Monaco Raffaele e
Intravaia Emanuele alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euro 1.000,00
di multa ciascuno, ritenendoli colpevoli del delitto di cui agli artt. 56,110, 61 n.5
e 628, commi 1 e 3, n.1 (terza ipotesi) cod.pen. perché, per procurarsi un
ingiusto profitto, in concorso ed agendo riuniti tra loro e con altra persona non
potuta identificare, attendendo il ritorno di Luciano Caruso dall’ufficio postale ove
aveva prelevato la pensione; seguendolo da vicino e tentando di entrare con lui

corsa per bloccarlo all’uscita dell’ascensore, ponevano in essere atti idonei e
diretti in modo non equivoco ad impossessarsi con violenza e minaccia del
denaro detenuto da Luciano Caruso, non riuscendo nell’intento a causa della
reazione della vittima e dell’intervento di tale Angela Vitale, condomina del
Caruso. Con le aggravanti di aver commesso il fatto agendo in più persone
riunite e di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona (in
particolare, l’età della persona offesa) tali da ostacolare la pubblica o privata
difesa. In data 5/07/2003. Con la recidiva specifica, reiterata ed
infraquinquennale.
2. Il 14/12/2012 la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza di
primo grado, qualificato il fatto ai sensi degli artt.56-624 bis c.p., determinava la
pena inflitta a Raffaele Monaco in anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euro 300,00 di
multa, assolvendo l’altro imputato e confermando nel resto la sentenza
impugnata. Il fatto era descritto nella sentenza con le seguenti modalità:i due
giovani a bordo di una moto, avvistato il Caruso provenire dall’ufficio postale ove
aveva riscosso la pensione, lo avevano seguito fino a casa, raggiungendolo
mentre imboccava l’ingresso dello stabile. A quel punto la Vitale, intuito il
pericolo, aveva preso a urlare; indi, il Caruso riusciva ad aprire velocemente il
portone e a richiuderlo in faccia ai due giovani. Subito dopo, anziché dare o
pretendere spiegazioni, gli stessi riuscivano a penetrare nell’androne, suonando
al citofono della famiglia Caruso e spacciandosi per impiegati delle Poste, e solo
le urla della Vitale li costringevano a fuggire in moto.
2.1. La Corte territoriale escludeva che si potesse giungere all’assoluzione
dell’appellante Monaco, riconosciuto con assoluta certezza dalla teste Angela
Vitale, ma riteneva che il fatto, in applicazione del principio del favor rei, dovesse
qualificarsi come ipotesi di tentato furto con strappo in quanto non vi era
certezza che i malviventi intendessero impossessarsi del denaro mediante
minacce o violenza alla persona; la sentenza impugnata riteneva che la gravità
della condotta, volta a depredare un anziano della pensione, e la personalità del
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nel portone della sua abitazione; facendosi aprire il portone e salendo le scale di

colpevole, desunta dai plurimi precedenti, anche specifici, fossero ostative alla
concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3. Ricorre per cassazione Raffaele Monaco sulla base dei seguenti motivi:
a) violazione dell’art.606 lett.b) cod.proc.pen. in relazione agli artt.56,624
bis cod pen. e 606 lett.e) cod.proc.pen. per illogicità della motivazione, sia per
non avere la Corte esaminato le giustificazioni addotte dall’imputato in merito
alla sua presenza nel luogo del fatto, sia perché gli atti posti in essere dal
ricorrente non erano dotati dell’idoneità e dell’univocità richieste dall’art.56

h) violazione dell’art.606 lett.b) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli
artt.132 e 133 cod.pen. per avere la Corte determinato la pena senza previa
individuazione della pena base per il delitto consumato, così omettendo la
motivazione necessaria al controllo sull’uso del potere discrezionale per la
determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Esaminando il ricorso qui proposto, il primo motivo tende ad una
rivalutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimità ove
la motivazione sia congrua e logicamente argomentata, ed, in ogni caso, le
censure mosse con riguardo al vizio motivazionale sono infondate.
1.1. La Corte territoriale ha ritenuto che non potesse escludersi la
responsabilità dell’imputato, valorizzando il dato per cui, dopo che il pensionato
era riuscito ad aprire velocemente il portone e richiuderlo in faccia ai due
giovani, questi ultimi avevano citofonato alla famiglia Caruso spacciandosi per
impiegati delle Poste (pag.4). La Corte ha implicitamente escluso la tesi difensiva
secondo la quale il Monaco fosse sul posto per rintracciare altra persona,
trattandosi di ipotesi logicamente incompatibile con il comportamento del
giovane descritto dalla teste Vitale.
1.2. La motivazione risulta, dunque, esauriente e logicamente argomentata,
con riferimento all’indicazione delle ragioni per le quali le modalità del fatto
rivelassero al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’imputato in
ordine al delitto di tentato furto con strappo, facendo riferimento alla precisa
testimonianza di una condomina la cui attendibilità non risulta messa in
discussione.
2. Con riferimento alle ragioni per le quali la condotta posta in essere
dall’imputato fosse connotata dai caratteri dell’idoneità ed univocità richiesti per
il giudizio di sussunzione nella fattispecie astratta del delitto tentato, va ricordato
che secondo la giurisprudenza di legittimità sussiste il tentativo di reato qualora
il comportamento dell’imputato abbia superato la soglia della fase meramente
preparatoria (Sez. 5, n.49670 del 20/10/2009, Digioia, Rv. 245722) e siano posti
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cod.pen., trattandosi di atti preparatori dai quali era ancora possibile desistere;

in essere atti esecutivi tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, come
inizio di esecuzione, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma
libera o vincolata, in quanto la univocità degli atti indica non un parametro
probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della
condotta (Sez. 1, n.9411 del 07/01/2010, Musso, Rv. 246620).
2.1. La prossimità della condotta alla sottrazione del denaro al pensionato
mediante introduzione nell’edificio in cui quest’ultimo abitava, configurando un
comportamento idoneo in concreto a raggiungere la vittima per sottrarle il

punibile, tanto più ove si consideri che anche un atto preparatorio può integrare
gli estremi del tentativo punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non
equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla
base di una valutazione ex ente e in relazione alle circostanze del caso, di
raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto (Sez.2,
n.41649 del 05/11/2010, P.G. in proc. Vingiani e altri, Rv.248829).
2.2. Quanto, poi, alla fase in cui è ancora possibile desistere, tale argomento
non rileva se non nelle ipotesi, diverse dalla presente, in cui si discuta del
discrimine con il recesso attivo ai fini della determinazione del trattamento
sanzionatorio ovvero nelle ipotesi in cui non sia contestato che la fattispecie sia
pervenuta alla fase del tentativo punibile, onde la censura si rivela infondata
anche perché intrinsecamente contraddittoria.
2.3. Nel caso in esame la sentenza impugnata si è attenuta, in ogni caso, ai
criteri sopra indicati, evidenziando come l’imputato avesse desistito dal condurre
a termine una serie di atti esecutivi tipici del delitto di furto con strappo per
l’intervento di una condomina che aveva iniziato ad urlare.
3. Con il secondo motivo si è, invece, censurato il percorso che ha condotto
il giudice di merito alla determinazione della pena, avendo la Corte territoriale
applicato la riduzione prevista dall’art.56 cod. pen. senza indicare la pena base
per il delitto consumato.
3.1. Occorre, in proposito, prendere le mosse dal principio affermato nel
2001 da questa Corte, secondo il quale, posto che il delitto tentato costituisce
figura autonoma di reato, qualificato da una propria oggettività giuridica e da
una propria struttura, delineate dalla combinazione della norma incriminatrice
specifica e dalla disposizione contenuta nell’art. 56 cod. pen., consegue che, in
presenza di delitto tentato, la determinazione della pena possa effettuarsi con il
cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla
pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il
calcolo “bifasico”, cioè mediante scissione dei due momenti indicati, purchè siano
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denaro, correttamente è stata ritenuta dai giudici di merito integrare il tentativo

rispettati i vincoli normativi della riduzione da un terzo a due terzi
(Sez. 1, n.37562 del 16/05/2001, Botto, Rv. 220189).
3.2. Nel caso in esame la Corte territoriale ha determinato la pena base per
il delitto tentato con metodo diretto, in anni uno di reclusione ed euro 200,00 di
multa, rispettando il vincolo normativo enunciato dall’art.56 cod.pen. ove si
consideri che l’art.624-bis cod.pen. prevede la pena edittale della reclusione da
uno a sei anni e della multa da 309 a 1.032 euro, attenendosi al principio sopra
enunciato, peraltro confermato negli esatti termini da successive pronunce della

4. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, a norma
dell’art.616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M .
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 10/12/2013

Il Presidente

Corte (Sez. 6, n. 25573 del 14/12/2011, dep. 02/07/2012, Zagaria e altri).

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