Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40372 del 07/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40372 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Vit.

FRE’ ANGELO N. IL 20/07/1971
avverso l’ordinanza n. 13/2014 TRIB. LIBERTA’ di PORDENONE, del
28/03/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA
SAVINO;
lptt/sentite le conclusioni del PG Dott. P
el”S,eibk-c2.

Uditi difensor Avv.;

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d

cs-

WZ-A-Maz”

Data Udienza: 07/05/2015

Ritenuto in fatto

Dal Fre’ Angelo ha proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza emessa in data 28.03.2014 con
la quale il Tribunale del riesame di Pordenone — decidendo sulla richiesta di riesame proposta dal
medesimo avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal GIP in data 21.02.2014
fino alla concorrenza dell’importo di euro 128.581,94, avente ad oggetto beni mobili (fra cui denaro

e beni immobili, riconducibili nella disponibilità del predetto — in parziale accoglimento della richiesta,
Fm.‘
ha ridotto il sequestro preventivo disposto sulla quota di 1/2 dell’immobile cointestato alaR Angelo e Sist
Sandra sito in Azzano Decimo, alla minore quota corrispondente al valore di euro 108.063,59, valutato
in euro 472. 000,00 il valore dell’intero immobile.
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente era stato disposto nell’ambito del
procedimento penale a carico del Dal Frè per il reato di cui all’art. 4 d.lgs 74/2000, scaturito dalle
vicende attinenti alla riqualificazione dell’attività dell’associazione dilettantistica “30 Minuti al
femminile” in attività commerciale vera e propria sotto forma di impresa individuale facente capo al Dal
Frè, presidente dell’associazione sportiva dilettantistica. Trattandosi di ente non esente da I.V.A.,
l’indagato, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe omesso di indicare nel modello unico ENC 2011,
presentato il 28.9.2011, una serie di operazioni soggette ad IVA che avrebbero dato luogo al reato di
dichiarazione infedele di cui all’art. 4 D.lgs 74/2000, in quanto l’IVA evasa, pari ad euro 64.290,97,
sarebbe stata di importo superiore alla soglie previste dall’art. 4 D.lvo 74/2000.
A sostegno del ricorso la difesa del ricorrente ha dedotto:
1) Violazione dell’art. 125 co. 3 c.p.p. e vizio di motivazione
Assume la difesa del ricorrente che, in presenza di cinque distinti motivi nei quali si articolava la
richiesta di riesame, il Tribunale ha dato una risposta effettiva solo a due di essi, in particolare a quello
concernente la nozione di profitto confiscabile e quello, poi accolto, avente ad oggetto l’entità dei beni
da sottoporre a sequestro di valore.
Quanto ai restanti motivi, si è limitato a dare una risposta solo apparente che si è tradotta nella suddetta
violazione di legge. Ciò è avvenuto con riferimento alla dedotta insussistenza del fumus delicti in
quanto, contrariamente a quanto affermato nel decreto impugnato, l’a.s.d. “30 Minuti al Femminile”
aveva svolto attività sportiva dilettantistica nel pieno rispetto della normativa civile e fiscale cosicché la
sua attività non poteva essere riqualificata sub specie di attività commerciale, stante il carattere non
profit che le era proprio nonché, con riguardo al criterio utilizzato dal GIP per l’accertamento degli
elementi positivi di reddito ed al mancato superamento della soglia di punibilità prevista dall’art. 4 d.lgs
74/2000 ed in relazione alla individuazione dei beni da sottoporre a sequestro, alla quantificazione del
1

depositato su conti correnti, depositi, azioni, quote societarie o altri cespiti e crediti di qualunque natura)

valore economico dell’immobile sequestrato ed al mancato accertamento dell’impossibilità di procedere
al sequestro dei beni dell’associazione.
Orbene, premesso che il ricorso per Cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’art. 322 bis e
324 c.p.p. in materia di sequestro preventivo e probatorio può essere proposto solo per il vizio di
violazione di legge — ivi compresa la mancanza di motivazione o la motivazione apparente tale da
tradursi nella violazione della legge processuale (art. 125 co. 3 c.p.p.) — la difesa ritiene che, nel caso in

mancante risposta dei giudici del riesame alle deduzioni difensive svolte. Ne consegue che, non avendo
svolto il Tribunale il ruolo di garanzia che gli è demandato incorrendo nel vizio di violazione della
legge, l’ordinanza impugnata deve essere annullata.
2) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 4 d.lgs 74/2000, art. 4 co. 4 dpr 633/72, 148 DPR
917/1986.
Rileva la difesa che, ove si ritenesse superabile la violazione di legge in cui è incorso il Tribunale del
riesame dando una motivazione meramente apparente se non mancante ai rilievi difensivi suindicati,
l’ordinanza impugnata sarebbe, comunque, illegittima per avere il Tribunale ritenuto sussistente il fumus
del reato di cui all’art. 4 D.lvo 74/00.
A tale proposito, deduce la difesa l’erroneità del metodo con il quale sono stati individuati e quantificati
i componenti attivi del reddito sui quali è stata calcolata l’IVA che si assume evasa.
In particolare, sono stati considerati e sommati tra loro, quali componenti positivi, gli accrediti bancari
al netto di eventuali storni, laddove, in tema di reati tributari, non può farsi ricorso alle presunzioni
tributarie secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi, in quanto
spetta al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’impresa.
Sostiene la difesa che l’Agenzia delle Entrate ha determinato l’ammontare complessivo delle operazioni
attive, rilevando un imponibile pari ad Euro 321.454, 86 ed un’imposta pari ad euro 64.290,97. Tale
quantificazione non è corretta ad avviso della difesa, come si desume dalla normativa di riferimento.
3) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art 322 ter c.p. 321 c.p.p.
La difesa censura la decisione del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto, disattendendo la relativa
doglianza sollevata, e condividendo la tesi del GIP, che potesse farsi rientrare nella nozione di profitto
confiscabile, oltre al risparmio di spesa, anche l’ammontare della sanzione tributaria dovuta in seguito
all’accertamento del debito tributario.
4) Erronea determinazione del calcolo dell’imposta evasa.

2

esame, sussista tale vizio e, quindi, sia legittimo il ricorso per Cassazione data l’apparente ovvero

Ritenuto in diritto

Il primo motivo di ricorso è infondato in quanto, come correttamente osservato nell’ordinanza
impugnata, l’Associazione sportiva 30 Minuti al Femminile di cui il ricorrente è il legale rappresentante
non rispetta i requisiti di cui all’art. 90 L. 289/2009. In particolare dalla documentazione richiamata
nell’annotazione della Guardia di Finanza risulta che la suddetta associazione non rispettasse il principio

comunicazioni al pubblico e nei segni distintivi la denominazione sociale dilettantistica e che non
rendeva edotti i frequentatori della palestra del significato associativo e dei diritti e doveri conseguenti.
Infine l’organizzazione e gestione della palestra era improntata a criteri prettamente commerciali con
finalità di lucro e distribuzione degli utili.
Ciò porta a ritenere che l’associazione predetta svolgesse di fatto una attività diversa rispetto a quella
statutariamente disciplinata: di fatto il Dal Frè svolgeva un’attività di impresa in forma individuale
soggetta al regime dell’IVA. Il rapporto associativo era quindi fittizio con conseguente impossibilità di
fruire delle agevolazioni fiscali previste per le associazioni sportive di natura dilettantistica.
Al pari infondati risultano anche i restanti motivi di ricorso tramite i quali si contesta il metodo di
calcolo del profitto confiscabile in quanto, come più volte precisato da questa stessa Corte, in tema di
reati tributari previsti dal D.Lgs /4/2000, il profitto confiscabile anche nella forma per equivalente, è
costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e
può, quindi, consistere anche in un risparmio di spesa quale quello derivante dal mancato pagamento del
tributo, degli interessi e delle sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito tributario (ex pluris
Cass. Sez. Un. n. 18374/2013).
Dunque del tutto corretto appare il profitto confiscabile di euro 128.581,94 calcolato, così come indicato
nel provvedimento impugnato, tenendo conto dell’IVA pari ad euro 64.290,97 e della relativa sanzione
amministrativa minima di cui all’art. 5 co. 4 D.lvo 471/1997 pari al 100% dell’imposta evasa (vedi Sez.
V n. 1843/2011).
Tanto premesso il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 7 maggio 2015.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

di democrazia interna e di tracciabilità dei pagamenti. Inoltre è emerso che la stessa non indicava nelle

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