Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40344 del 07/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 40344 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LELLI LAURO N. IL 09/06/1939
avverso la sentenza n. 3373/2009 TRIBUNALE di BOLOGNA, del
29/09/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ()Dio
eam eu
che ha concluso per ,e
(gu.14-e_

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv. (icutAt ulkt: 242.k.446cLuoU-40

Data Udienza: 07/10/2014

Ritenuto in fatto

Con sentenza emessa in data 29 settembre 2010 il Tribunale di Bologna dichiarava Lelli Lauro
colpevole del reato di cui all’art. 5 L. n. 283/1962 perché, in qualità di legale rappresentante della
“Lelli Lino & figli s.r.l.” deteneva per vendere 1574 latte da 5 litri cadauna di “olio extravergine di
oliva Perchinunno Nicola”, 170 latte da 5 litri cadauna di “olio extravergine di oliva Piacentino

Francesco”, 408 bottiglie di “olio Olivo-olio extravergine di oliva Liuni Giuseppe”, non rispondenti
per natura, sostanza e qualità alla denominazione con cui erano designate. Le stesse, infatti, dalle
analisi svolte nei laboratori ARPA di Bologna risultano miscele di olio di semi.
L’imputato veniva, quindi, condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di
euro 15.000,00 di multa.
In particolare, il giudice di primo grado ha fondato la penale responsabilità del Lelli su un controllo
effettuato dai NAS di Ferrara presso un ristorante della zona nel corso del quale era stato trovato
dell’olio imbottigliato che riportava sull’etichetta la dicitura olio extravergine di oliva mentre, in
realtà, dalle analisi effettuate, risultava essere una mescolanza di olio di soia con olio di oliva.
Dalla fattura di acquisto fu possibile risalire all’azienda fornitrice che risultò essere quella di Lelli
Lino e figli s.r.l. presso la quale fu eseguito un controllo che portò al rinvenimento di un consistente
quantitativo di olio avente le stesse caratteristiche. Di qui l’imputazione a carico di Lelli Lauro
quale legale rappresentante della srl Lelli Lino e Figli.
Proposto appello, la Corte di Appello di Bologna, con ordinanza emessa in data 5.7.2013, rilevato
che nel dispositivo della sentenza appellata era comminata la pena della multa mentre nella
motivazione era indicata la pena dell’ammenda, questa correttamente individuata, trattandosi di
contravvenzione, peraltro punita con pena alternativa, provvedeva alla correzione dell’errore
materiale della sentenza disponendo che dove era indicato nel dispositivo la dizione “multa”,
doveva leggersi ed intendersi la pena dell’ammenda.
Di conseguenza, trattandosi di sentenza non appellabile disponeva la trasmissione degli atti alla
Cassazione competente sull’impugnazione proposta.
La difesa dell’imputato depositava, quindi, memoria contenente motivi aggiunti rispetto ai motivi di
impugnazione già dedotti con l’atto di appello.
A sostegno dell’impugnazione sono stati dedotti in sintesi i seguenti motivi:
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1) Erronea valutazione delle risultanze processuali in punto di ritenuta esistenza dell’elemento
soggettivo.
Secondo la difesa il Tribunale ha ritenuto esistente l’elemento soggettivo del reato in esame sulla
base dei seguenti elementi: inesistenza delle ditte fornitrici dell’olio rinvenuto presso la società
Lelli; identità fra il prezzo di vendita del prodotto ed il prezzo di acquisto; storno di somme nei
conti correnti intestati. Tali risultanze non sono, a detta del ricorrente, idonee a dimostrare la

consapevolezza da parte dell’imputato della effettiva composizione dell’olio.
Quanto all’inesistenza delle ditte fornitrici – profilo indicato in sentenza come indice
incontrovertibile della conoscibilità o addirittura della conoscenza della natura alterata o
contraffatta del prodotto acquistato – il giudice di merito, nel riconoscere tale valenza probatoria alla
suddetta circostanze ha omesso di considerare che la s.r.l. Lelli aveva richiesto ed ottenuto dalle
imprese fornitrici il referto delle analisi del prodotto i cui risultati certificavano valori organolettici
addirittura nella norma e che, peraltro, la confezione e le altre caratteristiche di presentazione del
prodotto deponevano univocamente per l’assoluta genuinità dello stesso, dando anche l’idea di un
prodotto di alta qualità, come riferito dall’agente accertatore il quale ha anche confermato
l’esistenza delle analisi.
Rileva, inoltre, la difesa che l’omesso riferimento in motivazione a tali risultanze dell’istruttoria,
dimostra, non solo il mancato assolvimento da parte del giudice dell’obbligo motivazionale di dare
conto dei risultati probatori acquisiti su una circostanza decisiva, quale la conoscibilità della natura
contraffatta del prodotto, ma anche i profili di illogicità della motivazione posto che essa fonda la
dimostrazione dell’elemento psicologico solo sulla inesistenza delle ditte fornitrici, desumendo da
tale dato il rimprovero di omesso controllo. Ciò senza tener conto di altri indici che potevano
ragionevolmente indurre l’imputato a ritenere genuino il prodotto, escludendo in tal modo quegli
indici di sospetto e di esigibilità del controllo e, quindi, il rimprovero colposo su cui si fonda la
contestazione.
Altro vizio logico della motivazione è quello di ritenere elemento di sospetto l’equivalenza fra il
prezzo di acquisto dal rivenditore e il prezzo praticato dalla Lelli srl ai clienti. A parere della difesa
la vendita di un prodotto a prezzo di costo è di per sé una circostanza probatoriamente neutra:
nessun elemento in ordine alla prova della colpa nell’acquisto e nella rivendita di un prodotto non
rispondente alla denominazione può trarsi da tale circostanza.
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A ben vedere, infatti, ciò porterebbe a sconfinare dalla colpa al dolo sussistendo in tal caso una
volontà di piazzare un prodotto di cui si conoscono le caratteristiche non a norma. Senza tener conto
della insufficienza dell’elemento della corrispondenza dei due prezzi a dimostrare l’assunto posto
che il prezzo di vendita era congruo rispetto ai prezzi di mercato per un prodotto avente quelle
caratteristiche e che altri fattori possono concorrere a determinare tale equivalenza di prezzi, quali
la scelta commerciale di vendere l’olio a basso costo, pari a quello praticato dal rivenditore, per

attirare i clienti, come riferito dall’imputato, ed indurli all’acquisto anche di altri prodotti.
L’omessa argomentazione su tali aspetti, emersi dall’istruttoria determina un vuoto motivazionale
tanto più che l’elemento di sospetto sulla genuinità del prodotto desunta dalla vendita a prezzo di
costo è neutralizzato dall’accertata congruità del prezzo ai prezzi di mercato.
Quanto all’utilizzo di altro elemento relativo allo storno di somme, contestualmente al pagamento
alle aziende di Piacentino, nei conti correnti personali intestati all’imputato ed al figlio si tratta di
una mera ipotesi investigativa cui ha fatto riferimento l’agente accertatore priva di qualsivoglia
approfondimento.
2) Mancata motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
A detta della difesa il giudice di primo grado ha condannato l’imputato ad una pena (15.000 euro di
ammenda) che, discostandosi notevolmente dal minimo edittale, imponeva una motivazione ben più
articolata del mero riferimento agli indici di cui all’art. 133 c.p.
In particolare tale determinazione della pena in misura così elevata, sostiene il ricorrente, non trova
giustificazione in presenza di un fatto storico che, per le sue modalità (assenza di nocività, tipologia
del prodotto, intensità della colpa), non poteva che collocarsi in prossimità del minimo edittale.

Ritenuto in diritto

La censura inerente l’assenza dell’elemento soggettivo della contravvenzione in esame è
inammissibile in quanto investe profili meramente fattuali, come tali, sottratti al sindacato di questa
Corte. Deducendo il vizio di motivazione, infatti, il ricorrente cerca di ottenere una valutazione del
materiale probatorio diversa rispetto a quella effettuata dal giudice di merito; operazione,
quest’ultima, preclusa in sede di legittimità.
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Peraltro, sotto il profilo della motivazione, la sentenza impugnata appare sul punto esaustiva e del
tutto logica nella misura in cui ravvisa nella vendita delle latte di olio al medesimo prezzo di
acquisto e nello storno contestuale al pagamento delle fatture in favore delle aziende del Piacentino
nei conti correnti personali dell’imputato e del figlio indici univoci della sussistenza a carico
dell’odierno ricorrente dell’elemento soggettivo quantomeno sub specie di colpa.
Il Lelli, infatti, quale legale rappresentante della srl Lelli era tenuto a garantire il rispetto del

precetto normativo di cui all’art. 5 L. n. 283/1962 e, quindi, deve rispondere della mancata o
negligente verifica della natura non autentica dell’olio acquistato, detenuto e venduto.
Né possono ritenersi decisive al fine di escludere suddetta responsabilità penale le dichiarazioni del
figlio Lelli Luca, acquisite al fascicolo del dibattimento, relative alla esclusiva competenza di
quest’ultimo nel settore degli acquisti effettuati dalla Lelli srl.
Al pari inammissibile, in quanto manifestamente infondata, appare la doglianza relativa alla
motivazione della pena. A ben vedere, infatti, la pena di 15.000,00 euro irrogata dal giudice di
prime cure si colloca esattamente a metà dell’arco edittale della contravvenzione in questione (da
309 euro a 30.987 euro) e, quindi, ben può ritenersi adeguata alla portata offensiva della condotta
del Lelli.
Peraltro, nella sentenza impugnata si tiene conto della necessità di adeguare il trattamento
sanzionatorio all’effettiva offensività del fatto: proprio su tale presupposto, infatti, sono state
concesse all’imputato le attenuanti generiche.
Infine merita ricordare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, le statuizioni in
ordine all’entità della pena, al pari di quelle relative al riconoscimento o meno delle attenuanti
generiche, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, rientrano
nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice. Dunque un giudizio che
sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico
ma sia, come nel caso di specie, sorretto da sufficiente motivazione ( ex pluris Sez. Un. 2010 Rv.
245931, Sez. Un. 2011 Rv. 249163).
Inoltre è stato precisato che, proprio perché la determinazione della misura della pena tra il minimo
ed il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi
ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 co. 3 c.p.p. anche nel caso in cui abbia
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richiamato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p.p. o abbia impiegato espressioni come
“pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”( tra le altre Sez. Unite 2010 RV. 245931).
Tanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tale inammissibilità prevale sulla
prescrizione del reato intervenuta in data 7 gennaio 2014. Di conseguenza il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di euro 1.000,00 in favore della

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
alla somma di euro 1.000,00 in favore della Casa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 7 ottobre 2014.

Cassa delle Ammende.

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