Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40294 del 09/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 40294 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da PINTO Antonio, nato a Ostuni (BR) il 14/05/1961,
avverso la sentenza emessa il 16/04/2012 dalla Corte di Appello di Lecce;
esaminati gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G. Oscar Cedrangolo, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione
1. Il difensore di Antonio Pinto impugna per cassazione la sentenza della Corte di
Appello di Lecce del 16.4.2012 che ha confermato la decisione del Tribunale di Brindisi,
con cui l’imputato è stato condannato, unificati i reati ex art. 81 cpv. c.p. e concessegli le
attenuanti generiche, alla pena sospesa di un anno e otto mesi di reclusione ed euro 800
di multa per i reati di millantato credito (art. 346 co. 2 c.p., così diversamente qualificato
il fatto contestato come concussione) e di resistenza, perché quale impiegato della sede
di Brindisi dell’ente Acquedotto Pugliese si faceva consegnare da Domenico Elia la
somma di euro 300 con il pretesto di doverla conferire ad un impiegato (non indicato)
dello stesso Acquedotto al fine di far evadere celermente la richiesta di allacciamento
idrico e fognario avanzata dall’Elia per un immobile in sua disponibilità (intestato alla
moglie). Somma che, sotto la dissimulata osservazione dei carabinieri all’uopo
predisposta dopo la denuncia della persona offesa, l’Elia effettivamente gli consegnava
nel suo ufficio e le cui banconote (sei biglietti da 50 euro) tentava -all’intervento dei
carabinieri per arrestarlo in flagranza di reato- di ingoiare, altresì prendendo a calci e
gomitate gli operanti per opporsi alla loro attività d’istituto.
Condotte criminose che la sentenza di appello, con autonoma valutazione delle
fonti di prova, ha ritenuto dimostrata: a) dalla testimonianza del denunciante e persona
offesa Domenico Elia, che ha indicato la “causa” del pagamento nella rapida definizione
della “pratica” di duplice allacciamento oggetto di risalente richiesta all’Acquedotto e
nella possibilità, assicuratagli da Pinto, di pagare il contributo per il solo allacciamento
idrico e non anche per quello fognario, pur ottenendo anche il secondo; b) dalle

Data Udienza: 09/05/2014

2. Con il ricorso si deducono i vizi di legittimità di seguito riassunti.
2.1. Erronea applicazione dell’art. 346 co. 2 c.p. in rel. Artt. 357 e 358 c.p. e

mancanza, contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione.
Recependo acriticamente la tesi del Tribunale, la Corte di Appello ha qualificato
in maniera impropria come pubblico ufficiale l’ignoto impiegato al quale l’imputato
asseriva di dover consegnare la somma di denaro chiesta all’Elia. Ma, ripercorrendo i
vari passaggi della “pratica” di allacciamento attivata dalla moglie di Elia venuti in luce
nel dibattimento di primo grado, emerge che nel dicembre 2007 (in cui si colloca
l’episodio incriminato) l’Elia -quando l’imputato gli chiede il versamento della somma
di 300/350 euro per far “proseguire la pratica”- sa che la stessa pratica è ferma in attesa
dell’inserimento dei relativi dati nel sistema informatico dell’ente Acquedotto. Egli sa,
cioè, che la pratica non si trova nella disponibilità di un pubblico ufficiale, ma di un
semplice impiegato o tecnico con mansioni d’ordine, cui non può riconoscersi la qualità
di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio ex art. 346 c.p. Se ne inferisce,
allora, che, in difetto della qualifica soggettiva in capo al soggetto apparente destinatario
della somma, la millanteria spesa dal Pinto non è inquadrabile nella fattispecie dell’art.
346 co. 2 c.p., potendo eventualmente essere ricondotta al diverso reato di truffa,
improcedibile per mancanza di querela della p.o. Elia.
2.2. Mancanza e/o illogicità di motivazione con riferimento al reato di resistenza.

In relazione a tale reato la sentenza di appello si è limitata a richiamare la
decisione di primo grado, dando per scontata la sussistenza della condotta criminosa del
prevenuto senza offrire risposta ai puntuali rilievi espressi nell’atto di appello. E in
particolare senza considerare opportunamente che il contegno assunto dall’Elia (che si è
procurato anche lesioni alla lingua nel vano tentativo di ingoiare le banconote) è
derivato unicamente dal suo stato di evidente agitazione, non connotato da gesti di
violenza verso gli operanti o da gesti che abbiano comunque trasceso un contegno di
mera resistenza passiva non punibile.
3. Il ricorso presentato nell’interesse di Antonio Pinto è inammissibile per difetto
di specificità e infondatezza manifesta dei motivi di censura, con cui in buona sostanza
si ripropongono gli stessi rilievi formulati contro la sentenza del Tribunale, vagliati e
disattesi dalla Corte distrettuale all’esito di un’autonoma rilettura delle risultanze

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testimonianze dei due sottufficiali dell’Arma Convertini e Turco che hanno assistito alla
consegna del denaro, il maresciallo Turco riferendo in particolare di aver udito il Pinto
comunicare ad Elia che il denaro non era per lui ma per l’impiegato dell’Acquedotto che
“doveva fare la pratica”; c) dal sequestro del bollettino di versamento consegnato, alla
ricezione del denaro, dall’imputato ad Elia e relativo all’importo del solo allacciamento
idrico (a conferma dell’assunto di Elia); d) dagli esiti della verifica ispettiva interna
svolta dall’Acquedotto Pugliese (acquisita relazione dell’internai auditing dell’ente), da
cui sono emersi taluni oggettivi e non sempre giustificati ritardi nella trattazione
dell’istanza dell’Elia (a riprova del suo reale interesse a una rapida definizione della
richiesta di fornitura); e) dalle deposizioni degli operanti sul contegno reattivo e
violento, integrante il contestato reato di resistenza, tenuto dall’imputato all’atto del loro
ingresso sulla scena dell’avvenuta consegna del denaro con piena consapevolezza della
veste degli stessi operanti (essendosi i carabinieri previamente qualificati).

processuali, senza delineare concreti elementi, in fatto e in diritto, in grado di
disarticolare il percorso valutativo della sentenza impugnata.
ha evidenziato la sussistenza di un atto di querela dell’Elia, avendo questi chiesto nella
sua denuncia la punizione del colpevole (Pinto), la rinnovata tematica della non
riferibilità della millanteria a un pubblico ufficiale o a un incaricato di pubblico servizio,
dipendente dell’Acquedotto Pugliese, che sarebbe intervenuto -secondo quanto
preannunciato dal Pinto alla persona offesa- per sveltire la pratica grazie alla somma
versatagli suo tramite, è palesemente infondata.
La sentenza di appello, anche richiamandosi alla specifica causale della dazione
della somma al Pinto riferita da Elia, per cui allo “sveltimento” della pratica si sarebbe
giustapposto anche il pagamento del contributo per il solo allacciamento idrico e non
anche per quello fognario, ha puntualizzato, in termini logici e coerenti, che ai vari
impiegati dell’Acquedotto Pugliese intervenuti nella trattazione della “pratica” deve in
ogni caso riconoscersi la qualifica di incaricati di pubblico servizio. L’ente Acquedotto
Pugliese era ed è, osserva la sentenza di appello, una società per azioni a capitale
interamente pubblico (regionale) che esercita il servizio, sicuramente pubblico, di
distribuzione idrica e fognaria, di guisa che tutti coloro che, impiegati o tecnici, ne
gestiscono l’attività sono quanto meno incaricati di un pubblico servizio ai sensi dell’art.
358 c.p. Qualifica necessaria e sufficiente per integrare il reato punito dall’art. 346 c.p.
(co. 1: “…un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio…”), perché -implicando
l’accoglimento della richiesta di allaccio idrico-fognario presentata dalla moglie dell’Elia
una verifica di sussistenza delle condizioni legittimanti lo stesso allaccio- la “evasione
della pratica” non può ritenersi frutto di mero automatismo concessorio, né può ritenersi
affidata a un impiegato d’ordine o con mansioni solo esecutive, prive di ogni inferenza
valutativa (come puntualmente rimarca la sentenza del Tribunale, p. 4: “l’impiegato
incaricato dell’evasione della pratica esercita poteri deliberativi per conto dell’Acquedotto
Pugliese, decidendo se e in quali termini debba essere accolta la richiesta del privato”).
La complessiva analisi dei dati processuali sviluppata dalla Corte di Appello di
Lecce si profila, per tanto, in linea con gli indirizzi interpretativi di questo giudice di
legittimità in tema di elementi strutturali e di latitudine funzionale della peculiare
fattispecie criminosa prevista dall’art. 346 co. 2 c.p. ascritta al ricorrente. Ciò
segnatamente con riguardo alla pretesa iniziativa che, secondo il ricorso, sarebbe stata
assunta dalla persona offesa Elia nel porsi in contatto con l’imputato per poter
“appianare” la pratica di suo interesse con l’Acquedotto Pugliese. Come hanno precisato
le Sezioni Unite di questa stessa S.C., ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 346
co. 2 c.p. è irrilevante che l’iniziativa parta dalla persona cui è richiesto di corrispondere
il denaro o l’utilità, così come non è necessario che il soggetto agente indichi
nominativamente i funzionari o impiegati i cui favori devono essere comprati o
remunerati (Sez. U. 21.1.2010 n. 12822, Marcarino, rv. 246270).

3.1. Premesso -per sola completezza di esposizione- che la sentenza del Tribunale

3.2. Destituite di serio pregio si mostrano le sommarie censure espresse dal ricorso

sulla sussistenza del connesso reato di cui all’art. 337 c.p., confermata dalla Corte
salentina a fronte -merita aggiungere- di doglianze dotate della stessa genericità di
quelle rinnovate con l’odierno ricorso (che le riproduce pressoché alla lettera).
Correttamente la Corte territoriale ha fatto rinvio alla ampia motivazione con
cui già il Tribunale, escludendo qualsiasi profilo di semplice resistenza passiva nel
contegno reattivo attuato dal Pinto al momento del suo arresto, ha evidenziato che -alla
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luce di quanto riferito dai sottufficiali operanti- l’imputato ha preso a dimenarsi e a
scalciarli per sottrarsi specificamente, più che all’arresto, alla contestuale perquisizione
volta a recuperare le banconote oggetto del’accordo millantatorio (e che, come chiarito,
l’imputato ha inopinatamente tentato di inghiottire per impedirne l’apprensione).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma alla
cassa delle ammende, che stimasi equo fissare in misura di euro 1.000 (mille).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 9 maggio 2014

P. Q. M.

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