Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40257 del 08/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 40257 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 08/07/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di FORTE Riccardo, n. a Napoli il
01.04.1959, rappresentato e assistito dall’avv. Silvio Romanelli e
dall’avv. Raffaella Multedo, avverso la sentenza della Corte d’Appello
di Genova, seconda sezione penale, n. 3160/2012 in data
16.01.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott.ssa
Elisabetta Cesqui che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché la
discussione della difesa, avv. Silvio Romanelli che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

r

1

1. Con sentenza in data 16.01.2013, la Corte d’Appello di Genova, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Genova in data
25.01.2012, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Forte
Riccardo in ordine al reato di furto del motociclo Aprilia Leonardo,
esclusa l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. per
improcedibilità dell’azione penale a ragione del difetto di querela ed
esclusa l’aggravante del travisamento di persone, dichiarava la

nullità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva
dichiarato l’imputato responsabile del furto del motociclo Kimco per
nullità della relativa contestazione suppletiva, rideterminando la
pena per i restanti reati (capo A: artt. 61 n. 7, 110, 628, commi 1 e
3 cod. pen.; capo C: artt. 110, 582, 585 cod. pen.) in complessivi
anni otto e mesi undici di reclusione ed euro 2.300,00 di multa. Pena
finale, così rideterminata: pena base per il capo A, anni cinque e
mesi otto di reclusione ed euro 1.300,00 di multa, aumentata ex art.
61 n. 7 cod. pen. ad anni cinque e mesi dieci di reclusione ed euro
1.400,00 di multa, ulteriormente aumentata per la recidiva specifica,
reiterata, infraquinquennale ad anni otto e mesi nove di reclusione
ed euro 2.100,00 di multa, definitivamente aumentata ex art. 81
cod. pen. ad anni otto e mesi undici di reclusione ed euro 2.300,00
di multa. Con revoca della declaratoria di delinquenza abituale
nonché dell’applicata misura di sicurezza e conferma nel resto.
2.

Avverso detta sentenza, nell’interesse di Forte Riccardo, veniva
proposto ricorso per cassazione, lamentandosi:
-nullità del verbale d’udienza del 18.01.2012 e degli atti successivi e
dipendenti, con violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) in relazione
all’art. 142 cod. proc. pen. attesa la mancanza di sottoscrizione
olografa, oltre che del Presidente del Collegio, anche del cancelliere
(primo motivo);
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per
mancanza di motivazione in relazione alle argomentazioni difensive
svolte in atto d’appello, e segnatamente sui comportamenti
dell’imputato, sul contenuto di talune telefonate intercettate, sulla
presenza del medesimo in determinati luoghi ed ore (secondo
motivo);
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 56, 628 cod. pen., avendo la Corte d’appello

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errato nel ritenere il reato consumato anzichè tentato alla luce delle
dichiarazioni degli agenti di Polizia intervenuti ed essendo l’azione
avvenuta sotto il controllo e la vigilanza dei medesimi (terzo
motivo);
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per
violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod.

pen., avendo l’imputato contestato la ricorrenza della medesima sia
in relazione alla qualificazione della rapina come tentata che in
relazione alla dedotta inesistenza del danno (quarto motivo);
– violazione dell’ad 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 582 cod. pen., attesa l’incompatibilità della dinamica dei fatti
descritta in denuncia (atto acquisito su accordo delle parti) con il
“danno”, riscontrato a carico della persona, dai medici del Pronto
Soccorso, ben una settimana dopo il fatto (quinto motivo);
– violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in
relazione alla mancanza di motivazione in merito al diniego delle
circostanze attenuanti generiche (sesto motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso è infondato nel suo primo motivo e manifestamente
infondato nei restanti profili di gravame: ne consegue la doverosità
del suo rigetto.

4.

Peraltro, prima di passare alla trattazione dei singoli motivi di
doglianza, si rende doveroso premettere come lo sviluppo
argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, da
integrarsi con quella di primo grado, risulti fondato su una coerente
analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un
organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi
del requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine
concernente la responsabilità del ricorrente in ordine ai delitti a lui
contestati (capi A e C). La motivazione della sentenza impugnata
supera quindi il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, alla
quale non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva “finale” del

3

ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da
quelli fatti propri dal giudice del merito. Di contro, le censure di
merito proposte dal ricorrente si profilano inammissibili posto che,
con le stesse, si muovono non già precise contestazioni di illogicità
argomentativa, ma solo sostanziali doglianze in fatto, non
condividendosi dal ricorrente – in ultima analisi – le conclusioni
attinte ed anzi proponendosi, di versioni più persuasive di quelle

dispiegate nella sentenza impugnata.
5. Infondato – come detto – è il primo motivo di doglianza.
Come da insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., Cass., Sez. 5,
n. 15980 del 10/02/2012, dep. il 26/04/2012, Cassani, Rv. 251525),
la mancata sottoscrizione del verbale d’udienza da parte del pubblico
ufficiale che lo ha redatto (oltre che del presidente del collegio
giudicante) non comporta l’annullamento dell’intero giudizio a cui si
riferisce qualora non risulti che detta omissione abbia in qualche
modo pregiudicato l’attività defensionale ovvero l’effettivo
svolgimento di quella giurisdizionale.
Invero, non può contestarsi come la disposizione contenuta nell’art.
142 cod. proc. pen., che sanziona con la nullità il verbale dal quale
emerga una incertezza assoluta sulle persone che siano intervenute
o la mancata sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo abbia
redatto, debba essere intesa in senso restrittivo, risultando evidente
non solo dal testo del codice ma anche dal tenore dei lavori
preparatori che ne hanno preceduto l’emanazione, la volontà del
legislatore di restringere al massimo la sfera di situazioni con effetti
invalidanti sul verbale, da annoverare, piuttosto nell’orbita delle cd.
“irregolarità formali” non sanzionabili processualmente.
Ne deriva che i requisiti minimi in base ai quali considerare valido un
verbale siano la certezza che l’ufficio che ha proceduto alla redazione
sia stato effettivamente ricoperto e che siano stati assolti anche i
compiti istituzionali, essendo questa la soglia minima irrinunciabile di
legittimità (in questo senso, v. Cass., Sez. 2, n. 3513 del
22/05/1997).
Quanto sopra è stato riaffermato ripetutamente da questa Suprema
Corte, che ha riconosciuto la nullità del verbale solo in quei casi nei
quali vi sia stata una incertezza assoluta, tale cioè da impedire
qualsiasi possibilità di identificazione, sulle persone intervenute

4

ovvero di mancanza della sottoscrizione da parte del pubblico
ufficiale che avesse redatto il verbale (v. Cass., Sez. 5, n. 6399 del
06/11/2009 e Cass., Sez. 3, n. 17801 del 20/01/2011).
Quanto al regime di tale nullità, il relativo vizio deve essere
considerato come nullità a regime intermedio, in quanto non
ricompreso nelle ipotesi di cui all’art. 179 cod. proc. pen..
Sulla base di quanto dianzi affermato, questo Collegio ritiene

l’impossibilità di una declaratoria di totale invalidità dell’intero
giudizio d’appello sulla base della mera mancanza della
sottoscrizione del presidente e del cancelliere d’udienza che ebbe a
redigere il verbale dell’udienza celebratasi in data 18 gennaio 2012
avanti al Tribunale di Genova in quanto:
a)

non è stata evidenziata alcuna incertezza sulle persone

partecipanti all’udienza e soprattutto sull’attività svolta (e l’omessa
sottoscrizione del Presidente del Collegio non può far ritenere incerta
o non individuabile l’identità dello stesso e degli altri componenti del
Collegio);
b) non è stata evidenziata la mancata partecipazione all’udienza del
verbalizzante ne’ la non conformità di quanto redatto al reale
accadimento dei fatti processuali.
In sostanza, va ribadito il principio secondo il quale pur sussistendo,
da un lato, gli estremi in fatto della dedotta nullità non
evidenziandosi, però, ne’ essendo stati aliunde proposti validi motivi
per ritenere concretamente pregiudicata, in primo luogo, l’attività
defensionale

nonché

l’effettivo

svolgimento

dell’attività

giurisdizionale ecco che non possa giungersi all’estrema soluzione
della caducazione dell’intero giudizio d’impugnazione per la
mancanza della sottoscrizione in calce al verbale dell’udienza
dibattimentale del Presidente del Collegio e del cancelliere.
In ogni caso, quand’anche si volessero “superare” gli assorbenti
profili sopra evidenziati, nondimeno la censura non potrebbe trovare
accoglimento essendosi in presenza di una nullità relativa che risulta
essersi sanata (cfr., Cass., Sez. 2, n. 2503 del 09/01/2007, dep. il
24/01/2007, Piccolo e altro, Rv. 235627) attesa la sua tardiva
proposizione avvenuta solo in sede di appello.
È indubbio infatti che la nullità denunciata rientra nella categoria
delle nullità relative. Sulla questione non pone discussione neppure il

5

ricorrente, che invece critica la sentenza impugnata laddove ha
affermato che la nullità, verificatasi nell’ambito del dibattimento,
fosse da “ritenersi sanata per accettazione degli effetti dell’atto ex
art. 183, lett. a) cod. proc. pen.” per non essere stata la medesima
formulata all’udienza successiva (si evidenzia come la sentenza di
primo grado sia stata pronunciata all’esito della successiva udienza
del 25.01.2012). Sotto questo ultimo profilo, il ricorrente sostiene la

tempestività delle deduzioni con l’atto di appello a norma dell’art.
181, comma 4 cod. proc. pen., al rilievo che l’imputato e il suo
difensore non partecipano alla redazione del verbale e al suo
deposito in cancelleria.
Osserva il Collegio, in adesione alle considerazioni svolte nella
sentenza n. 2503/2007 cit., che il verbale d’udienza è atto del
processo, mediante il quale si documenta quello che si compie. La
collocazione sistematica nel vigente codice inserisce infatti il verbale
nel libro secondo (intitolato “atti”) e specificamente nel titolo terzo
(intitolato “documentazione degli atti”). Il verbale di udienza
dibattimentale è disciplinato in maniera autonoma dagli artt. 480 e
segg. cod. proc. pen. e, se è vero che la sua redazione è demandata
all’ausiliario del giudice (ma con la possibilità di interlocuzione e
verifica anche da parte della difesa, per tramite del giudice: art. 482)
e la sua sottoscrizione avviene subito dopo la conclusione
dell’udienza o la chiusura del dibattimento (art. 483), non può essere
trascurato che ne è disposto l’inserimento nel fascicolo per il
dibattimento. La sottoscrizione del verbale da parte dell’ausiliario è
successiva alla conclusione dell’udienza ed è quindi attività alla quale
la parte non assiste. Ma ogni verbale d’udienza (nel caso, come
quello in esame, in cui il dibattimento si sviluppa in più udienze)
conserva la sua autonomia, sicché il compimento, ad opera della
parte, di attività processuale nelle udienze successive determina
accettazione implicita degli effetti del verbale precedente, non fosse
altro per la parte in cui ha disposto il rinvio, fissando l’udienza
successiva. La nullità denunciata ha ad oggetto la regolarità formale
del verbale di un’udienza – per così dire – interlocutoria, udienza
diversa da quello di discussione e quindi doveva essere eccepita
prima della proposizione dell’atto di appello e precisamente alla
prima udienza successiva a quella in cui si era verificata l’irregolarità.

6

Va quindi confermata la regola interpretativa secondo la quale, dal
combinato disposto degli artt. 134 ss., 480, 461 e 483 cod. proc.
pen., si desume che, benché il dibattimento sia un complesso
unitario di attività processuali, allorquando esso si articoli in più
udienze, dev’essere redatto per ciascuna di esse un verbale dotato di
propria, rilevanza ed autonomia, sicché la relativa validità va
accertata in riferimento ad ognuno dei suddetti verbali, non essendo

sufficiente la sottoscrizione dell’ultimo di essi da parte del segretario,
che li abbia redatti. Sono, pertanto, affetti da nullità relativa ai sensi
dell’art. 142 cod. proc. pen. i verbali di udienza privi della
sottoscrizione del pubblico ufficiale redigente. Tale nullità è
suscettibile di sanatoria per accettazione degli effetti dell’atto ex art.
183, lett. a) cod. proc. pen. (Cass. Sez. 1, n. 11077 del
29/10/1993).
6. In relazione al secondo motivo, la sentenza impugnata – con
motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente
da vizi rilevabili in questa sede e comunque ampiamente idonea a
superare le censure proposte con riferimento a detto motivo di
gravame – ha riconosciuto come nessun dubbio potesse residuare “in
ordine alla partecipazione dell’imputato alla rapina presso la
gioielleria Degola, atteso che le letture ed interpretazioni, da parte
del difensore, delle circostanze poste dal giudice di prime cure a
sostegno della affermazione della penale responsabilità del Forte
Riccardo al riguardo, risultano dettate da una finalità meramente
difensiva priva di idonei elementi o supporti di sostegno ai vari
assunti sostenuti e, comunque, tali, da non poter vanificare le
risultanze processuali …. Invero, le giustificazioni e motivazioni …
fornite dal difensore sui vari spostamenti e condotte del Forte nei
giorni antecedenti la rapina e in quello della sua stessa commissione,
si rivelano mere e pure allegazioni difensive che, per la loro portata e
contenuto, non rivestono carattere di verosimiglianza ed attendibilità
né le stesse risultano assistite da idonei elementi di supporto o
riscontro. L’attività investigativa, che ha portato gli agenti della
Squadra Mobile di Genova ad osservare tutte le fasi della rapina,
anche nella sua fase preparatoria, ha, invece, evidenziato come il
Forte si è accompagnato moltissime volte con gli autori materiali
della rapina presso la gioielleria Degola, moltissime volte è stato

7

visto nei pressi delle gioiellerie dove il Rhiyat e il Giardino hanno
effettuato sopralluoghi e visite presso la gioielleria Noli tentando
anche una rapina, ha effettuato molti giri nei pressi della gioielleria
Degola transitando a bassa velocità davanti il negozio per garantire
agli esecutori materiali una certa sicurezza in caso di arrivo delle
forze dell’ordine, più volte ha manifestato, nell’ambito delle
conversazioni intercettate, segni di preoccupazione per la possibilità

che i due suoi amici potessero essere fermati dalla polizia ed è stato,
a sua volta, dalla sua compagna esortato “a stare attento”, in tutte
le movimentazioni degli autori materiali della rapina vi è sempre la
presenza del Forte ed il suo locale appare come il crocevia di tutti gli
spostamenti. Trattasi, come agevolmente è dato rilevare, di una
serie di circostanze tutte concomitanti con gli spostamenti e le
movimentazioni dei coimputati Rhiyat e Giardino per la preparazione
e la esecuzione della rapina ai danni della gioielleria Degola e le
stesse, se valutate singolarmente in maniera avulsa dall’intero
contesto temporale di cui sopra, non assurgono al ruolo di prova
sulla partecipazione dell’imputato … a detta azione delittuosa,
mentre, nella loro valutazione globale e comparata con i movimenti
degli altri correi, assumono certi caratteri di gravità, concordanza e
precisione che consentono di ritenere le stesse quali elementi di
prova del reato al Forte contestato. Ciò emerge ancor di più ove si
consideri che subito dopo la rapina il Rhiyat ed il Giardino si sono
portati, col bottino, presso l’abitazione dell’imputato appellante,
evidentemente e necessariamente in virtù di un pregresso accordo
facente parte del piano criminoso cui tutti hanno preso parte con la
suddivisione dei compiti come emersi dalla svolta attività di
osservazione”.
7. Medesime conclusioni – sul presupposto delle identiche premesse di
cui al punto che precede – vanno assunte in relazione al terzo e al
quarto motivo di doglianza, trattabili congiuntamente per
omogeneità di tema.
Sul punto la motivazione della sentenza d’appello è congrua ed
esente da vizi logico-giuridici nella parte in cui ha riconosciuto come
il Forte fosse da ritenersi responsabile della rapina ascrittagli, da
ritenersi consumata “sia per il raggiungimento dell’evento tipico di
un tal reato che per la non applicabilità al caso di specie della

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giurisprudenza formatasi in tema di furto posto in essere da soggetto
sotto la sorveglianza di chi ha il potere di interrompere l’azione
sottrattiva, sia perchè trattasi di giurisprudenza contrastante con
altra di diverso ed opposto segno – pienamente condivisa da questo
Collegio – che per la diversa struttura delle due figure criminose”
riconoscendo altresì come “la ritenuta consumazione della rapina, in
luogo di quella tentata, non consente la esclusione dell’aggravante di

8.

Anche il quinto motivo di doglianza si profila manifestamente
infondato in presenza di motivazione ampiamente giustificata in
ordine al fatto che “dalle stesse descrizioni delle modalità della
condotta lesiva, come riferita dall’Ozzello in denuncia, è dato poter
ritenere che il dolore e l’edema alla mano sinistra dello stesso siano
conseguenza diretta della condotta dei due aggressori che,
afferrandolo alle spalle gettandolo a terra e ponendosi, uno dei due,
col suo peso sopra la sua persona, oltre che a colpirlo al volto con un
pugno, abbiano determinato anche le lesioni alla mano sinistra
refertate successivamente al Pronto Soccorso”.

9.

Anche il sesto motivo di doglianza è manifestamente infondato
avendo la Corte territoriale sufficientemente motivato in ordine al
diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche
riconoscendo come lo stesso ne fosse immeritevole (“… in difetto di
elementi positivi valutabili favorevolmente a tal fine …”).

10.Alla pronuncia consegue la condanna del ricorrente, ex art. 616
cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 8.7.2014

Il Consigliere estensore
Dott. An

a ellegrino “.

. -_-..——-

Il Presidente
Dott. Mario Gentile

cui all’art. 61 n. 7 cod. pen.”.

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